Giuseppe Balsamo – Conte di Cagliostro

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Biografia

Forse il più controverso tra i personaggi che legarono indissolubilmente la loro esperienza di vita all’alchimia, Alessandro Conte di Cagliostro, nacque Giuseppe Balsamo, a Palermo, in Sicilia, nel 1743. “Beppo” crebbe per la strada, ed i tentativi dei parenti di modificare le sue istintive tendenze naturali, affidando la sua formazione ai monaci, non ebbero grande successo. Fu proprio nella farmacia pertinente al monastero, che ricevette la sua prima istruzione in chimica e medicina. Un’istruzione di non lunga durata, perché fu espulso quando, essendo stato chiamato da un monaco alla lettura a voce alta di un martirologio, non seppe resistere a sostituire i nomi dei martiri con quelli di ben note prostitute.

Di qui si recò a Messina dove mise a segno un colpo, primo di molti, (almeno stando ai suoi detrattori) che gli fruttò 60 once d’oro ai danni di un ingenuo orafo di nome Marano. Fu sempre a Messina che Giuseppe Balsamo adottò il titolo di “Conte” ed incontrò Altus, un misterioso greco, che viaggiava accompagnato da un levriero albanese, e che ostentava abiti orientali, con caftano e tutto il resto. I due diventarono presto amici, ed il “Conte” prese lezioni da Altus in alchimia e nelle scienze esoteriche. Presto cominciarono le loro peregrinazioni in Egitto, Arabia e Persia. Altus era stato schiavo di un ricco pirata musulmano e aveva acquisto una fluente conoscenza dell’Arabo, che si rivelò utilissima nel corso dei suoi viaggi. All’età di 16 anni, il suo maestro-padrone morì, lasciandogli una fetta delle sue ricchezze e la libertà.

Cagliostro e Altus visitarono Malta, dove si accattivarono i favori del Gran Maestro dell’Ordine, che era grandemente appassionato degli esperimenti alchemici. Fu proprio là che Altus, descritto da Cagliostro come “il mio migliore amico e maestro, il più saggio ed il più dotto degli uomini” incontrò la morte.

Munito delle lettere di presentazione del Gran Maestro, Cagliostro, sconsolato, tentò di entrare a far parte della società romana.

La sua angoscia fu presto confortata; nel 1768 sposò la bellissima Lorenza Feliciani, figlia di un guantaio. Insieme visitarono le principali città d’Europa e Cagliostro si fece conoscere al mondo come alchimista, dispensatore di afrodisiaci ed elisir di giovinezza, guaritore, medium, indovino, e prestidigitatore.

Ma il momento di maggior successo giunse quando la coppia arrivò a Londra, nel 1776. La Massoneria, che a quel tempo fioriva in Inghilterra, era appena stata sottoposta ad attente indagini conoscitive per ordine delle autorità, e ne era uscita indenne, aumentando ancora la sua fama tra la popolazione. Cagliostro si unì ad una delle logge, e fu presto nominato Maestro Massone. Combinando le sue conoscenze in materia d’occultismo, con quello che aveva spigolato dalla Massoneria, decise di dare vita ad un nuovo sistema chiamato “Massoneria Occulta”. Dichiarò il suo proposito di uniformarsi alla perfetta Massoneria Egiziana, e promise ai suoi seguaci, fossero uomini o donne, una completa rigenerazione fisica e morale. I rituali ai quali erano sottoposti gli iniziati, servivano ad imprimere loro il potere del supernaturale; secondo i critici invece il vero intento del Conte era quello di sfibrarli nel corpo e nello spirito con lunghe veglie e digiuni, sviluppare in loro un timore riverenziale, per avere gioco facile nell’impadronirsi delle loro ricchezze.

Fu in questo periodo che ebbe origine il mito della presunta immortalità: alcuni lo identificavano con l’Ebreo errante, e lui non tentava di correggere coloro che credevano avesse parecchie centinaia di anni. I suoi principi si diffusero con una tale rapidità che presto fu acclamato in tutta Europa; il suo ritratto adornava milioni di case, e catturava l’immaginazione di alcune delle menti migliori, inclusi Goethe, Carlyle e Schiller. Era descritto come un uomo non esageratamente alto, ma di bel portamento e spalle larghe. I capelli corvini erano sempre pettinati all’indietro a scoprire una fronte spaziosa; gli occhi scuri trasmettevano bagliori d’intelligenza, specie quando si accalorava nel corso di una conversazione, aggrottando le sopracciglia e scotendo la testa con l’autorevolezza di un leone. Aveva mani e piedi piccoli – sintomo di nobile nascita, si diceva – e soleva vestirsi in un modo quanto meno insolito, che gli valse l’appellativo di “Padre dei Poveri”. E ciò, nonostante povero non fosse affatto, godendo di un magnifico palazzo e di molte ricchezze accumulate nel tempo.

La sua fama però conobbe anche dei momenti bui. Forse aveva sopravvalutato i suoi poteri; forse aveva peccato di superbia. In Francia affermò di poter prevedere il futuro delle persone vicine alla Regina. Ma la sua predizione si provò falsa, e fu rinchiuso nella Bastiglia.

Per il resto della sua vita, il Conte di Cagliostro ebbe problemi con la giustizia. In ultimo, a Roma, fu accusato di eresia, e condannato con l’approvazione della Contessa, sua moglie. Si appellò vanamente a coloro che un tempo avevano creduto in lui. Molti lo vedevano ormai come un arrogante, e avido mascalzone che aveva rubato oro e ricchezze e dato in cambio solo un mucchio di false credenze. Furono sordi alle sue implorazioni d’aiuto, anche se una volta avevano manifestato nei suoi confronti un’isterica devozione.

La condanna a morte, proferita dall’Alta Corte del Sacro Uffizio il 4 aprile del 1791, fu commutata nel carcere a vita da Papa Pio VI. Dietro l’accusa formale si celavano ragioni politiche che gli costarono 4 anni e 4 mesi di carcere duro. Era accusato di avere fondato una nuova lobby massonica nello Stato della Chiesa, e di tenere i contatti con la Massoneria Francese. Cagliostro non poteva negare le accuse perché il reato era provato dalla pubblicazione di uno dei suoi stessi scritti “Rituels de la maconnerie egiptienne” (“Rituali di massoneria egiziana”); poteva difendere solo la sua insostenibile posizione spirituale.

Inizialmente fu imprigionato a San Leo, (Pesaro-Urbino) nella cella dei “tesori”, così nominata perché il duca di Urbino la usava per nascondervi ori e gioielli. La cella era posta sulla cima più impervia della montagna, ed era la più sicura. In seguito, fu trasferito nella cella chiamata “del pozzo”, perché ci si accedeva solo tramite una botola sul soffitto. Caglistro non poteva scrivere né comunicare con nessuno. Era tenuto sotto stretta osservazione per la paura che potesse tentare il suicidio o l’evasione. Ma nonostante il suo completo isolamento, si mantenne un grande alone di curiosità e mistero attorno alla sua figura, e le leggende sul suo conto continuarono a fiorire anche molto tempo dopo la sua morte. La stessa avvenne nella prigione di San Leo, anche se per quanto riguarda la data, non esiste accordo unanime: si parla del 26 agosto del 1796 o dello stesso giorno dell’anno precedente, il 1795; a quanto pare, comunque, in seguito ad un colpo apoplettico. Non confessò mai, né mai rinnegò il suo credo, e per questo morì come eretico e scomunicato, e gli fu negata la sepoltura in terra consacrata.

Qui sotto si possiamo leggere il racconto di come, il 7 giugno del 1780, Cagliostro creò l’argento in una Loggia Massonica di Varsavia, secondo la descrizione che uno dei membri diede dell’esperimento:

«Cagliostro mi fece pesare una libbra di mercurio che era di mia proprietà ed era già stato purificato. In precedenza mi aveva ordinato di distillare un po’ di acqua piovana, fino a che tutto il liquido fosse evaporato, lasciando un deposito che egli chiamava Terra Vergine o secunda materia. Di questa rimasero circa 16 grani (NDT: 1 grano = g 0,0648). Su sua specifica istruzione avevo anche preparato un estratto di piombo.

Dopo che tutte queste preparazioni furono completate, egli entrò nella loggia, e mi affidò il compito di portare avanti l’intero esperimento con le mie mani. Lo feci seguendo le sue istruzioni nel modo che segue: la Terra Vergine fu posta in una fiaschetta, e metà del mercurio fu versato su di essa. Quindi aggiunsi 30 gocce di estratto di piombo. Dopo che la fiaschetta fu scossa per un po’, il mercurio sembrò essere rigido come un pezzo di ghiaccio. Quindi aggiunsi l’estratto di piombo nel mercurio rimanente, ma questa volta il mercurio rimase inalterato. Così dovetti versare le due parti di mercurio insieme in una fiasca più grande. Dopo che scossi il mercurio, per un certo tempo, tutto assunse la stessa consistenza. Il suo colore mutò in un grigio sporco.

L’insieme adesso fu agitato all’interno di un’ampolla piena per metà. Quindi Cagliostro mi diede un piccolo pezzo di carta, che si provò essere solo il rivestimento esterno di altri due. Il più interno conteneva una polvere luccicante color carminio, che pesava forse come un decimo di un grano. La polvere fu agitata dentro l’ampolla, e Cagliostro quindi inghiottì i tre pezzi di carta.

Mentre questa fase andava avanti, io riempii l’ampolla di gesso di Parigi, che era già stato preparato con acqua calda. Anche se l’ampolla era ormai piena, Cagliostro la prese dalle mie mani, aggiunse ancora più gesso di Parigi, e lo compresse fortemente con le sue mani. Quindi me la rese affinché la facessi asciugare su un fuoco di carbone di legna.

L’ampolla fu ora posta su un letto di ceneri sopra la fornace a vento. Il fuoco fu acceso e l’ampolla lasciata su di esso per mezz’ora. Fu quindi prelevata con un paio di pinze e portata nella loggia. L’ampolla fu rotta, e sul fondo giaceva un grumo di argento che pesava quattordici once e mezza.»

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Giuseppe Balsamo – Conte di Cagliostroultima modifica: 2010-01-17T16:11:00+01:00da giovannisantoro
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