Testamento Alchemico

 
 

 Recensione di Paolo Piccari da:

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Morieno Romano
Testamento alchemico
A cura di Michela Pereira, Roma 1996, Atanòr, pp. 70, Lire 15.000.

Il Testamento di Morieno è il primo testo d’alchimia tradotto dall’arabo nel XII secolo. Esso compare in numerosi manoscritti ed è stato più volte stampato a partire dal XVI secolo sino alla monumentale opera di Jean Jacques Manget, la Bibliotheca chemica curiosa, pubblicata a Ginevra nel 1702. Lee Stavenhagen ne ha curato l’edizione critica nel 1974, omettendo il doppio prologo di Roberto di Chester, che nel 1144 appunto tradusse dall’arabo il Testamento.
Di tale edizione si è avvalsa Michela Pereira per offrire la traduzione italiana di questa preziosa testimonianza della letteratura alchimistica medievale, corredandola di una puntuale introduzione. Il Testamento
Nei procedimenti alchemici l’artefice è consustanziale alla pietra, giacché essa, come insegna Morieno a Khalid, «si estrae da te, tu sei la sua miniera, la si può trovare presso di te e trarla da te, e dopo che ne avrai fatto esperienza aumenterà in te l’amore per essa. Comprendi questo, e saprai che è la verità» (p. 55). Il dialogo tra Morieno e Khalid si sviluppa in modo piano, senza il gravame di eccessive cornici allegoriche, soffermandosi in modo particolare sull’analogia tra la trasformazione di sé e la trasformazione della materia e sullo sforzo e la pazienza che l’opera richiede, donde l’immagine del viaggio periglioso, che costituisce un topos di tutta la letteratura alchimistica, al termine del quale è possibile conseguire i segreti di tutta la sapienza divina.
Così accadde allo stesso Morieno, come narra Roberto di Chester nel suo secondo prologo (p. 37): «Allora Adfar disse: È bene che tu mi abbia cercato, e che tu mi abbia trovato solo. Infatti ti rivelerò i segreti di tutta la sapienza divina, che finora mi sono rifiutato di svelare quasi a tutti. Tu stati attento con tutte le facoltà della tua mente a ciò che ti dico: perché io voglio fare di te il figlio a cui trasmetterò tutta la mia dottrina». E in tal modo si comporterà Morieno nei confronti di Khalid:«Per la tua devozione, la tua bontà, il tuo affetto, ho capito che non è opportuno che uno come me ti tenga all’oscuro delle cose che vuoi sapere» (p. 43). Il maestro, dunque, trasmette come eredità sapienziale la dottrina alchemica al discepolo prediletto, affinché il sapere accumulato in una vita possa illuminare il cammino di un altro iniziato.
raccoglie le rivelazioni di Morieno, eremita di Gerusalemme e discepolo di Adfar d’Alessandria, a Khalid ibn Yazid ibn Mu‘awiyya, re degli arabi, «dei segreti divini del magistero e del compimento dell’arte alchemica». «Nell’alchimia –ricorda la Pereira- il sapere nasce dal fare, e non si dà una conoscenza puramente teoretica, né una subordinazione (‘applicazione’) della pratica».
Testamento Alchemicoultima modifica: 2012-02-08T19:30:00+01:00da giovannisantoro
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