Radici storico filosofiche dell’Europa unita

Di Leonardo Bigliocca

Si parla molto d’unificazione dell’Europa e dei problemi che ciò comporterà al nostro e agli altri paesi del Vecchio Continente, ma raramente ci si riferisce agli uomini di pensiero che nel passato anche remoto l’hanno concepita e progettata. In epoca greca i criterî di differenziazione culturali, morali e politici dell”Europa’ dal resto del mondo si basano principalmente sulla libertà politica delle genti greche in contrapposizione alla tirannide asiatica. V’è da aggiungere poi la barbarie dei costumi e la capacità militare, assai superiore nei popoli ‘europe’» in quanto combattono per sé e non per un padrone. Questo concetto di ‘Europa’ libera e Asia schiava si trasferirà per secoli nel mondo romano, e oltre, prendendo forma nel conflitto fra Augusto e l’Egitto di Cleopatra.
L’idea ‘europeista’ viene completamente accantonata nel periodo medioevale durante il quale il binomio Romano-Barbaro muta nel binomio Cristiano-Pagano; il termine ‘Europa’ è solo un termine geografico ed il complesso dei valori culturali e morali è riassunto con il termine «christianitas», il vocabolo europaeus verrà utilizzato per la prima volta solo nel XV secolo da Enea Silvio Piccolomini. Tutto il pensiero politico medioevale gravita attorno alla «christianitas» che esaudisce totalmente i desideri d’unità dei popoli, sia sotto l’aspetto temporale con l’Imperatore, sia sotto l’aspetto spirituale con il Papa. Progressivamente con l’esaurirsi del Medioevo anche l’aspetto geografico dell’Europa s’incomincia a modificare. Infatti la Germania e l’Ungheria, non più barbare, entrano di diritto a far parte del mondo civile, ovvero cristiano, e al tempo stesso il mondo greco bizantino sfuma progressivamente verso Oriente; l’asse portante dell’Europa si sposta verso Occidente e vi rimarrà con poche oscillazioni di assestamento nei secoli successivi. Solo nel pensiero di Enea Silvio Piccolomini troviamo un grande amore per i valori della cultura europea, intesi come tradizione classica; il papa senese intravede un’Europa elitaria, assemblea di umanisti tesi all’analisi del pensiero e dell’arte classica, concetto che ritroveremo più tardi, con lievi modifiche, in Voltaire.
L’Umanesimo rimarrà ancorato ai vecchi concetti per quanto riguarda la stretta connessione fra cultura e religione, infatti l’Europeo è ancora il «cristiano». Solo con Voltaire si riuscirà a superare questa concezione: per il grande pensatore la «republique literaire», comunità di dotti al di sopra dei nazionalismi, si forma «malgre’ les guerres et les religions differentes» ed è il primo a individuare nella religione un forte deterrente per la creazione d’una struttura di pensiero sovranazionale.
Machiavelli abbandona definitivamente il concetto unificatore di «christianitas» e il pensatore in varie opere coglie le diversità fra l’Europa e il mondo asiatico, sia durante l’epoca classica che durante il Rinascimento stesso. È chiaro che i sistemi politici dell’Europa e dell’Asia divergono nettamente e la diversità è esaltata nettamente nel nostro continente dallo sviluppo della virtù, ovvero della capacità d’imprendere e creare. Però in Machiavelli questo particolare senso della libertà è asservito al miglioramento strutturale e funzionale dello Stato, mentre in Montesquieu e Voltaire la libertà sarà intesa come rivolta dell’individuo contro l’azione politica del governo centrale. Machiavelli ribadisce la necessità di una molteplicità di stati, cioè di molte virtù individuali, ed in questa realtà, in Italia prima ed in Europa poi, nasce la dottrina dell’equilibrio fra gli stati.
La dottrina dell’equilibrio europeo è variamente interpretata nel corso dei due secoli successivi in funzione delle necessità politiche; Voltaire al riguardo dice che «tra i principi di diritto pubblico e di politica, tipici dell’Europa e sconosciuti alle altre parti del mondo, vi è quello saggio, di mantenere fra i vari stati una bilancia uguale di poteri, a mezzo di incessanti trattative diplomatiche, anche durante le guerre». All’ampliamento dei confini geografici del mondo conosciuto corrisponde un ampliamento dei confini della coscienza portando alla luce nuovi territorî e nuove metodologie di indagine corredate di maggiore autocritica e scientificità. Gli Europei sono spinti a confrontarsi con nuove popolazioni, nuovi mondi, culture aliene e nel confronto si tenderà sempre più ad esaltare gli aspetti culturali, politici e di costume piuttosto che il ristretto aspetto religioso: ormai l’Europa non è più la culla unica del cristianesimo che viene trapiantato, spesso brutalmente, in America ed in Asia. Tra questi fattori favorevoli alla formazione d’una coscienza europea si inseriscono anche tendenze contrarie che prendono vita da un diffuso malcontento verso taluni aspetti dalla vita europea, quali i sistemi politici, le guerre continue che devastano il continente, la corruzione dilagante. Quest’avversione si manifesta attraverso taluni scrittori fra il Cinque e il Seicento (Montaigne, Thomas More, Campanella), ma culminerà nel Settecento con Rousseau ed il mito del «buon selvaggio», dove gli altri continenti e i popoli che li abitano sono visti come l’Eden primigenio incorrotto in contrasto con un’Europa di nome cristiana ma di fatto priva di valori morali.
È necessario notare che se dal Seicento in poi si osteggia il modus operandi europeo in contrapposizione alla purezza dei selvaggi, mai sorge il dubbio sul versante religioso, e unanimemente gli scrittori dell’epoca, cattolici o protestanti, considerano positivo l’avvicinamento dei selvaggi alla «vera» religione. Bisognerà attendere l’Illuminismo, con Boulainvilliers, Montesquieu e Voltaire, per invertire il concetto di cristianesimo come valore unificante dell’Europa e condannare la religione cristiana europea come fonte di fanatismo ed intolleranza. Montesquieu in una delle sue maggiori opere, del 1721, pur riconoscendo la superiorità politica e culturale dell’Europa rispetto agli altri, mette in luce il punto debole incarnato dal papismo, dal fanatismo religioso, dallo spirito teologico che impaccia la scienza e contraddice la filosofia.
La visione dell’Europa diviene sempre più definita nel lavoro principe di Montesquieu, l’Esprit des lois del 1748, in cui analizza in maniera più equilibrata i raffronti fra Europa e Asia e ricerca le radici storiche dell’assetto europeo fin dalle poleis greche. Aggiunge inoltre un tratto nuovo al disegno complessivo, ovvero il riconoscimento dell’apporto del senso di libertà proprio delle genti germaniche, che genera alla lunga quel governo ben equilibrato, la monarchia costituzionale, in cui i tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) sono separati a garanzia assoluta della libertà politica. Montesquieu nell’Esprit des Lois espone un concetto sulla religione contrastante con le posizioni radicali giovanili espresse nelle Lettres persanes: il cristianesimo che promette la felicità ultraterrena produce anche la felicità terrena ed è la religione che più si confà ai governi equilibrati, in contrasto con l’islamismo e la religione cinese. Senza dubbio questa è una considerazione discutibile ma è interessante notare incidentalmente quanta parte abbia e abbia avuto la religione nello scardinare i regimi dell’Europa orientale e dell’Unione Sovietica, basati sul materialismo marxista, che possono essere assimilati a quei governi dispotici asiatici da cui l’Europa fin dai suoi primordi ha sempre preso le distanze. Montesquieu non s’arresta all’esplorazione delle differenze culturali o politiche e mette in luce le differenze tra Europa e Asia anche sotto l’aspetto economico: gli stati totalitari si isolano in sè rifiutando gli scambi economici, mentre le nazioni libere fondano la propria esistenza sull’attività imprenditoriale nei campi industriale e commerciale, e quanto ciò sia vero l’abbiamo notato nella storia del Giappone e più recentemente nella storia degli stati dell’Europa orientale (si pensi alla recente riapertura della Borsa di Budapest dopo 42 anni).
Nel pensiero di Voltaire ritroviamo gli stessi toni sul rapporto tra gli Europei e gli altri popoli ma, diversamente da Montesquieu, il filosofo focalizza la propria attenzione sull’aspetto letterario e culturale piuttosto che su quello politico. Per esprimere sinteticamente il pensiero di Voltaire ecco un brano particolarmente significativo: «…Si è vista una repubblica letteraria stabilita insensibilmente in Europa, malgrado le guerre e malgrado le religioni diverse. Tutte le scienze, tutte le arti hanno così ricevuto dei soccorsi reciproci; le accademie hanno costituito questa repubblica … i veri scienziati in ogni ramo hanno stretto i legami di questa grande società degli spiriti, ovunque diffusa, e sempre indipendente. Questi legami durano tuttora; essi sono una delle consolazioni ai mali che l’ambizione e la politica spargono sulla terra».
Ma non tutte le voci sono concordi. Intorno al 1750 comincia a sorgere l’idea di nazione che prenderà vigore solo cent’anni dopo, proseguendo fino alle soglie della prima guerra mondiale. Il timore diffuso è che il cosmopolitismo di Voltaire soffochi e appiattisca le particolarità etniche e paladino di questa corrente di pensiero è Rousseau. Egli non disconosce il fatto che l’Europa sia una realtà civile concreta con una trama comune, anzi analizza acutamente il percorso sino a lì compiuto concludendo: «… non si può negare che non sia stato soprattutto al Cristianesimo che l’Europa deve il particolare legame che vi è fra i suoi popoli…».
Ma non solo storici e filosofi hanno accarezzato l’idea d’Europa, anche i politici l’hanno coltivata: in una lettera del 1824 a Wellington, Metternich considera l’Europa come una patria unica e aderisce al pensiero settecentesco in maniera pressoché integrale. L’europeismo di Metternich è prettamente settecentesco con il rifiuto netto delle realtà nazionali ed al tempo stesso fortemente conservatore rifiutando il concetto di libertà; ed è su questo campo che avviene lo scontro fra i patrioti liberali ed il sistema politico reazionario. Il dissidio sembra implacabile, ma uno degli artefici del nostro Risorgimento riesce a trovare la sintesi ed il superamento di posizioni diametralmente opposte.
Mazzini esalta il concetto di patria, ma lo mette in rapporto con l’umanità; la patria «è il punto di appoggio della leva che si libra tra individuo e Umanità». Le sue parole esprimono questa ricerca di sintesi: «Una grande associazione si formi tra gli uomini della libertà, a qualunque suolo appartengano, che richiami ad una unità di norme e di moto gli oppressi di tutte le contrade. Quando i patrioti d’una terra sapranno d’essere stretti ad un patto Europeo, quando diranno ad ogni azione codarda o generosa: i patrioti di tutta Europa ci contemplano, quando udranno nella zuffa una voce di soccorso e di conforto dagli altri popoli, saranno più forti all’impresa. Ad un’associazione siffatta spetta la vittoria del diritto: il trionfo del principio morale sul materiale, del principio europeo sul principio asiatico inerte». Al momento naturalmente l’Umanità si identifica con l’Europa, quell’Europa di popoli contrapposta all’Europa dei principi; il sogno del Nostro è l’Italia come realtà nazionale innestata in un’Europa unita, e genera dopo la «Giovine Italia» la «Giovine Europa». E le sue parole, in cui si rispecchiano i più cari concetti della Libera Muratoria, tratteggiano quella che sembra non essere più una mera divagazione filosofica: «La Giovine Europa è l’associazione di tutti coloro i quali, credendo in un avvenire di libertà, d’uguaglianza, di fratellanza per gli uomini quanti sono, vogliono consacrare i loro pensieri e le opere loro a fondare questo avvenire. Costituire l’Umanità in guisa ch’essa possa avvicinarsi il più rapidamente possibile, per un continuo progresso, alla scoperta ed all’applicazione della Legge che deve governarla: tale è la missione della Giovine Europa. L’associazione della Giovine Europa rappresenta l’avvenire europeo. Tale avvenire armonizzerà le sue idee fondamentali dell’epoca nuova: Patria ed Umanità. L’associazione della Giovine Europa rappresenterà queste due idee ed il legame che le armonizza. E` una grande associazione di due gradi, dei quali uno rappresenta la tendenza nazionale di ciascun Popolo ed insegna all’uomo ad amare la Patria, l’altro rappresenta la tendenza comune a tutti i popoli ed insegna all’uomo ad amare l’Umanità».
Ormai però i tempi sono maturi perchè il concetto europeo torni nell’ombra, quasi debba finire di formarsi prima di nascere intorno alla metà del nostro secolo. Il nazionalismo spadroneggia dal 1850 fino alla seconda guerra mondiale, addirittura la società degli spiriti si sfalda sotto le pressioni nazionalistiche e i suoi ex componenti si fanno servi dei regimi per disgiungere un paese dall’altro.
Nonostante tutto la Massoneria coltiva in maniera riservata l’idea europea. Nel discorso tenuto a Torino nel 1892 il G.M. Adriano Lemmi afferma fra l’altro: «…La Massoneria, vigile e previdente, studia ed opera perchè il diritto internazionale di tutti i paesi, base e leva della futura ed inevitabile Lega degli Stati Europei, abbia … le sue giuste e supreme rivendicazioni». e durante la prima metà del Novecento l’economista Giorgio Di Domenico, uno dei ricostruttori della Massoneria italiana postbellica e gran ministro di stato del Rito Scozzese Antico e Accettato, elabora, in un’allora ipotetica Europa unita, la teoria economica dell’Hallesismo che prevede fra l’altro una moneta comune a tutti i paesi europei.
Le due guerre stravolgono il panorama politico ed economico dell’Europa ottocentesca alterando equilibri e creandone di nuovi; bisogna attendere la fine della II guerra mondiale per notare un lieve movimento sul fronte europeista. Il problema della ripresa economica è assai arduo a causa della pressoché totale distruzione delle strutture produttive portanti e della scarsità di valuta causata dall’azzeramento delle riserve valutarie, oltre alla necessità di importare materie prime, beni strumentali e generi di prima necessità. Nel luglio 1944, prevedendo e precorrendo i problemi suddetti, vengono stipulati gli accordi di Bretton Woods per l’eliminazione dei vincoli sui cambi e per il riconoscimento d’una moneta leader rispetto alla quale le altre si sarebbero impegnate a mantenere un rapporto fisso di cambio. Da quel momento le transazioni internazionali sono regolate in dollari USA convertibili in oro a corso fisso (32 $ l’oncia); il primo passo è compiuto. Nel 1946 le Nazioni Unite elaborano un progetto di statuto per una Organizzazione del Commercio Internazionale (International Trade Org, ITO) che avrebbe generato un accordo multilaterale sugli scambi commerciali (General Agreement on Tariffs and Trade, GATT). L’Europa però non è ancora in grado di usufruire appieno di questi strumenti e solo con il varo dell’«European Recovery Program» (ERP), meglio noto come ‘piano Marshall’, si riesce a dare all’Europa la forza finanziaria per affrontare la ricostruzione; la conditio sine qua non per la buona riuscita del Piano è il raggiungimento da parte dei paesi alleati d’Europa di una preventiva unione fra loro.
Nel periodo tra il 1947 e il 1949 si studia e prepara il varo del Consiglio d’Europa che avviene con il Trattato di Londra del 5 maggio 1949. Per la prima volta prende forma una struttura sovranazionale fra Gran Bretagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda, Danimarca, Italia, Norvegia, Svezia ed in seguito Austria, Germania Ovest, Turchia ed Islanda. La spinta europeista viene però controbilanciata dai paesi che temono limitazioni ed ingerenze nella propria sovranità; sono rilevabili due tendenze diverse: la prima, condivisa dall’Europa continentale e dall’Italia, a costituire un’unione doganale realizzando poi un «mercato comune» e infine l’integrazione totale, la seconda tendenza assai più riduttiva, sostenuta da Gran Bretagna e i paesi scandinavi, a creare un’area di libero scambio con remote prospettive di integrazione politica. Ciò porta allo stallo del Consiglio d’Europa.
Ma i tempi sono maturi e uomini del livello di Schumann per la Francia, Adenauer per la Germania, Monnet per l’Olanda, Martino per il Lussemburgo, Spaak per il Belgio e De Gasperi per l’Italia promuovono la creazione di una «Piccola Europa» avviando un’integrazione per settori a partire dalla gestione comune delle risorse minerarie e della siderurgia mediante la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), struttura sovranazionale le cui decisioni per la prima volta hanno il valore di leggi. Alla CECA segue ben presto l’integrazione nel settore energetico con l’EURATOM e si tenta anche l’integrazione nel settore agricolo che si mostra ben presto assai complessa. Il parziale fallimento dell’integrazione agricola e la remissione della Gran Bretagna circoscrive ai sei paesi della CECA l’iniziativa europeista; i negoziati avviati a Bruxelles il 26 giugno 1956 si concludono il 25 marzo 1957 con il Trattato di Roma, istitutivo della Comunità Economica Europea come oggi la conosciamo.
È tempo dunque che l’Italia si volga indietro e che sia conscia, realmente e non di maniera, dei propri figli che hanno generato e sviluppato l’idea d’un’Europa unita e al tempo stesso guardi avanti alla prima meta ormai prossima; per far ciò con profitto essa deve scrollarsi di dosso il provincialismo e il malcostume politico che l’impastoia, per prendere il posto che le spetta di diritto, per antico impegno e cultura, nell’emiciclo europeo e non essere, come ormai da troppo tempo, il ‘ventre molle’ economico e culturale dell’Europa.

tratto da: http://www.zen-it.com/

 


Radici storico filosofiche dell’Europa unitaultima modifica: 2011-10-07T18:25:00+02:00da giovannisantoro
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