Templari Esoterismo e Massoneria

Fiore de’ fiori

Giovanni di Vasconia

(Ms. VIII D 75 della Biblioteca Nazionale V. Emanuele di Napoli)

Introduzione
di Massimo Marra

Il manoscritto XVII D 75 della Biblioteca Nazionale V. Emanuele di Napoli è una miscellanea di interesse alchemico citata per la prima volta in una relazione di Andrea Russo (Manoscritti di interesse alchimistico esistenti presso la Biblioteca Nazionale V. Emanuele di Napoli, in Alchimia ieri e oggi. Atti e memorie dell’Accademia di Storia Dell’Arte Sanitaria 3 1982 pp. 153-164). La miscellanea è nota agli studiosi per il più voluminoso dei trattati in essa contenuti, l’Auriloquio di Vincenzo Percolla, edito nel 1996 dall’Arché di Milano a cura di Carlo Alberto Anzuini. Il codice proviene originariamente dalla biblioteca del Convento napoletano di S. Eframo nuovo, e fu redatto tra la fine del XVI° e l’inizio del XVII secolo. Rimandiamo alla nota introduttiva dell’Anzuini alla citata edizione dell’Auriloquio per tutte le informazioni codicologiche e paleografiche sul codice.
Scritto in ogni sua parte dallo stesso pugno la miscellanea include, tra trattati noti e meno noti, anche alcuni testi mutili. Il piccolo scritto oggetto della nostra attenzione è posto immediatamente dopo il citato Auriloquio, ed è appartenente al genere delle visiones ermetiche. L’incipit attribuisce lo scritto a un Giovanni di Vasconia. Il testo è basato sulla visione di un libro incatenato con sette catene d’argento e d’oro, e sigillato con sette sigilli altrettanto preziosi. Questo è un topos assai diffuso legato all’Apocalisse di Giovanni (5, 1-5). Il trattato è conosciuto in circa una ventina di versioni manoscritte, in prosa ed in versi, in Latino, Francese ed Inglese. Si conosce una sola versione italiana, appunto quella inclusa nel Ms. VIII D 75.
Nella nota introduttiva a una versione francese (Didier Kahn, Les sept visions de Marie la profetesse sur l’oeuvre de la pierre des Philosophes, in Chrysopoeia, tome 2, fasc. 4, 1988 Arché Milan), Didier Kahn ricostruisce la storia della visione. Il breve trattato viene stampato una sola volta nel 1586, incluso in una miscellanea di trattati attribuiti ad Arnaldo Da Villanova (Arnaldi Villanovani […] Tractatus varii Exoterici ac chymici […] quibus […] accesserunt Cathena Aurea et Testamentum ejusdem philosophicum, Lyon 1586) col titolo di Cathena Aurea. Nella tradizione manoscritta il testo reca alternativamente il titolo di Le sette visioni di Maria la Profetessa sulla opera della pietra dei filosofi o quello di Flos Florum.
Kahn afferma che non si hanno notizie di versioni manoscritte antecedenti al XV sec., e per questa ragione l’attribuzione ad Arnaldo da Villanova (morto nel 1311) risulta assai improbabile. D’altronde non abbiamo notizia di componimenti di Arnaldo che utilizzassero la forma della Visio, ed inoltre, nella tradizione manoscritta, si incontrano assai spesso notevoli varianti di titolo ed attribuzione tra le varie versioni di uno stesso testo. Nel caso della nostra visio, l’attribuzione sembra oscillare tra la mitica Maria la Profetessa e diverse attribuzioni a un Giovanni di Vasconia o Vascovia o Joannes Bastonis, secondo almeno un manoscritto «…sepolto ad Anversa».
Intorno alla figura di questo oscuro alchimista non abbiamo notizie storiche attendibili, e gli studiosi si mantengono nel campo delle pure congetture. Nazari nel Della Tramutatione Metallica sogni tre (1599) cita Giovanni di Vasconia tra gli autori elencati nel terzo sogno, attribuendogli uno sconosciuto Ars Magnae Operationis. Qualcuno ha identificato questo misterioso alchimista come il famoso teologo carmelitano John Baston (o Beston) morto nel 1428, intorno al quale d’altro canto non abbiamo alcuna notizia inerente una eventuale sepoltura ad Anversa. Altra ipotesi è quella del Thorndike, che considera Giovanni di Vasconia come corruzione di John Dastin, alchimista inglese contemporaneo dio Arnaldo che ci ha lasciato una Visio alchemica che non ha, tuttavia, alcuna connessione col testo in esame. Intorno alla ipotesi del Thorndike, del resto, valgono le stesse obiezioni già fatte per l’attribuzione ad Arnaldo in merito alla datazione dei manoscritti.
Un’altra ipotresi viene dalla Bibliotheca Chemica di Pierre Borel (1654) che riporta «Ioh. De Vasconia, vel de Vascouia cardinalis», ed è indubbiamente questa la notizia alla base delle informazioni riportate da alcuni studiosi dell’inizio del secolo (lo Chevalier ed il Frati, vedi il citato lavor del Kahn). In conclusione, intorno a questo testo, non possiamo dire di avere alcuna certa ed affidabile attribuzione.
Un trattato molto simile alla Cathena Aurea fu stampato nel 1597 nel testo di Nicolas Barnaud Commentariolum in enigmaticum quoddam epitaphium, Bononie studiorum… Huic additi sunt processus chimici non pauci. Lugduni Batavorum, Ex officina Thomae Basson 1597, p. 41-45 Processus quintus (vedi Antonie Calvet, Les «alchimica» d’Arnaud de Villeneuve à travers la tradition imprimée [XVI-XVII siécles]. Questions bibliographiques, in Alchimie, art, histoire et mythes Paris-Milan 1995 S.E.H.A., Arché). Il Flos Florum o Cathena Aurea è inoltre connesso con un testo assai noto della tradizione alchemica inglese, il Ripley Scrowle. Van Lennep dedica la sua attenzione alle corrispondenze tra il testo della Cathena ed il Ripley Scrowle nel suo Alchimie (Paris 1985).
Prendendo per buona l’attribuzione del nostro testo ad Arnaldo Da Villanova, egli identifica il testo che accompagna molte delle illustrazioni contenute (in latino o inglese) in varie copie manoscritte della visio del Ripley, con citazioni villanoviane. In realtà, sia i testi che gli stessi disegni sono ispirati dal ns. testo, che dovette dunque conoscere buona diffusione, oltre che in Italia e Francia, anche in Inghilterra. Addirittura, in un manoscritto del Ripley scrowle di Yale, il testo, in inglese, è in versione integrale. Basandoci su quanto esposto da Van Lennep su quattro manoscritti del Ripley Scrowle (Oxford, Cambridge, Yale e quello della Huntigton library) possiamo osservare la reiterazione insistente del motivo figurativo del vaso, al cui interno un vecchio incoronato e un giovane monaco presentano un libro sigillato a sette sigilli, ognuno legato a sette circoli, o anelli di una catena, all’interno dei quali sono illustrate le sette operazioni ermetiche.
In riproduzioni posteriori, l’immagine del vecchio del monaco e del libro si trasformano in un oggetto indistinto. I sette anelli sono a loro volta collegati uno per uno con il cerchio centrale a mezzo di anelli più piccoli. Solo il cerchio in alto a destra è collegato al cerchio centrale a mezzo di un filatterio recante la scritta materia prima. All’interno di questo cerchio il motivo simbolico disegnato presenta a destra un uomo che protende un maglio verso la testa di una donna, mentre a sinistra un uomo le punta una lancia alla testa di un altro uomo nudo, sulla cui gamba si sporge un dragone rampante. Ai piedi della donna sono accovacciati due leoni, uno rosso ed uno verde, sopra le teste dei personaggi troneggiano il sole e la luna, mentre tra l’uomo e la donna compare un rospo (il che allude a una delle allegorie del Ripley Scrowle), in alto a destra compare un uccello che s’invola.
Discendendo verso destra, nel circolo successivo vi sono quattro monaci intorno a un vaso, motivo che sarà la costante di tutti gli altri circoli. All’interno del vaso l’uomo e la donna sono coricati tra le fiamme. Ai piedi del vaso è scritto solutio. Ai bordi dell’anello si legge la scritta The soule for sothe is his sulphur not burninge (In verità l’anima è il suo zolfo non urente) non privo di relazione con una riga del nostro testo («L’anima è il solfore non urente, il quale congela»).
Nell’anello successivo al vaso contenente la coppia alchemica tra le fiamme, si aggiungono un essere aureolato e un uccello che fuoriescono da un becco di cui è dotato il tappo del vaso. Altri tre vasi si notano sullo sfondo. Ai piedi del vaso campeggia la scritta blacke (nero) mentre ai bordi dell’anello si legge A calido et humido primo ex illis passie quam debilis sum (nel nostro testo «Ponimi nel caldo e nell’humido, et di quelli pascemi, perché son debile»).
L’anello successivo ripresenta la stessa scena, ma sull’uomo e sulla donna nel vaso si notano due uccelli, uno che vola verso il basso, ed uno che vola verso l’alto. A latere si notano altri due vasi, sulla sommità dei quali sono visibili un uomo ed un uccello. La scritta sul bordo è Et leniter digestus amicabile sum ideo exalta ingressu illius, raffrontabile nel nostro testo con «Leggermente digesto son animato, et però essaltami».
Il circolo successivo presenta nel vaso, come sempre attorniato dai monaci, una donna partoriente nell’acqua, mentre un uccello si invola. La scritta che si legge sull’anello è Exalta separa subtilia me ut possim reducere ad simplex, nel nostro testo con «essaltami, separa sublimami, acciò possa esser ridutto all’essere semplice». Continuando a risalire sulla sinistra, nel vaso si vede una donna in piedi nell’acqua, motivo che sarà ripetuto più o meno identicamente nei due anelli successivi. Sul primo anello leggiamo: Scicio deficio pota me et me albifica, nel nostro testo correlabile alla scritta della quinta catena (ho sete, dammi da bere, fammi bianco) mentre la scritta che il nostro testo attribuisce alla sesta catena (noi siamo vedovi et orfani, et lontani di casa propria per riduttione ad essa casa propria, acciò che il corpo amicabilmente m’abbracci) fa riscontro la scritta del settimo anello: Vidui sumus et a domo propria elongati sumus ideo nos ipsum reduce ut corpus nos amplectet et amicabile nobis fiat. La scritta che nel nostro testo è impressa sulla settima catena è «fa leggermente, con foco amicabile, che niuna violenza non ci possa separare», ed è associabile a quella che nei manoscritti citati della Ripley Scrowle accompagna l’ottavo e ultimo anello: «Leniter cum igne amicabili fac ut aliqua violentia nos superare non possit».
Nel riscontro di tali analogie pare impossibile negare l’associazione tra il nostro testo e la visione attribuita al Ripley. In questa ottica si dovrà dunque considerare il Flos Florum come una delle probabili fonti del Ripley Scrowle. Nella trascrizione del manoscritto abbiamo scelto di non alterare il testo originale in nessuna sua parte. Gli unici interventi sono stati fatti sull’accentazione e sulla punteggiatura che sono stati ricondotte a quelle moderne. Qualche lemma illeggibile nel testo originale, intorno a cui si hanno dubbi di interpretazione, viene proposto tra parentesi quadre.

 

Incomincia il libro chiamato Fiore de fiori di Giovanni di Vasconia sopra la Pietra de philosophi
et la prattica sua.

Viddi un vecchio di mirabil clarità splendente, tenere in mano un libro serrato con sette sigilli sigillato, nel quale, et per il quale, si fa il lapis. Et levando gli occhi viddi il libro di poste d’argento e foglie d’oro coperto, et in capo di questo libro vi era un anello sferico, aureo, coperto d’argento, nella cui circonferenza eravi tal scrittura: Spirito, Anima et Corpo . Dal quale anello procedevano sette sigillate catene, così d’argento, come di oro, et circondavano tutto il libro, et con aspetto retrogrado devolvente il libro, rivolgevansi, et ritornavano tutte al detto anello.
Interrogai il vecchio qual che questo significasse .
Rispose il vecchio, e dissemi che l’anello sferico aureo coperto d’argento, era la pietra, la quale nel suo profondo è aurea et masculina, e nel manifesto è argentea, et feminina, et quantunque sia divisa in parti, nondimeno sempre è ferma.
Le sette catene circondanti il libro sono le sette operazioni, le quali circondano tutto il magisterio, e lo perfiino.
Un’altra volta interrogai il vecchio, che cosa volesse significare la scrittura dell’anello; mi rispose e disse quella esser mirabile, perché in verità comprende e contiene tutto il segreto della philosophia.
Il spirito significa il Mercurio, il quale sottilmente entrando nel corpo per minima, lo assottiglia, e li trahe l’anima, e lo porta seco sopra in aere, e lassalo in tal dispositioni che diventa in natura di 5a essenza, et semplice. Dipoi, la qual semplice riduttione infonde l’anima nel corpo, et esso lo abbraccia, et rallegrasi con essa, et essa anima si rallegra con il corpo, et lo rivivifica, et lo risuscita et poi perpetuamente vive e questa è la pietra dè philosophi, la quale devi occultare.
L’Anima è il solfore non urente, il quale congela il in corpo over soccorrendo in luoco della natura. Il quale [solfore] si estrae da esso corpo, et questa è l’anima mediatrice fra il corpo et il spirito, et è quella che li congiunge e lega inseparabilmente, perché il spirito non si può unire con il corpo, se non per l’anima, la quale è tintura, et oro de Philosophi, perché senza essa non si può compire né perfiere cosa alcuna. Et però nota che il nostro solfore non è solfore del volgo, il quale è grasso, combustivo, destruttivo d’ogni cosa, perché le corrompe e dissipa, et le fa imperfette, ma il solfore de philosophi ammigliora, e riduce a perfettione.
Il corpo dinota l’oro, overo l’argento inanimato, nel qual prima era l’anima come forma del suo sogetto, e questo si dice dopo che l’anima è separata dal corpo, et che esso corpo sta morto insino a tanto che per ingressione dell’anima esso corpo un’altra volta sia perfetto. All’hora il corpo è detto esser vivo, et risuscitato, et immortale, et questa è la dichiaratione dell’anello, della quale siamo contenti.
Viddi poi nella prima parte della catena aurea un sigillo di lettere argentee, che diceva ponimi nel caldo, et humido, et di quelli pascemi, perché son debile. Interrogato il vecchio, sopra di questo disse: – questa scrittura, figliuolo, dinota la prima chiave, cioè operatione , la quale è detta digestione, et putrefattione, la quale si fa per ministerio del suo tempo nel fuoco caldo et humido. Perché sicome un moto non si può convertire in un altro moto, se non per la sua digestione, così il lapis nostro non si può convertire in semplice, né l’anima da spirito può esser tratta dal corpo, se non mediante la sua digestione, perché quanto più una cosa s’appropinqua al semplice, tanto più è perfetta. Et però sappi che se non sarà putrida, non potrà pervenire al secreto.
Viddi poi la seconda catena, la quale era in principio argentea et infine aurea, et in la parte argentea era un sigillo con tal scrittura che diceva: – leggermente digesto son animato, et però essaltami, et levami dalle cose più gravi.
Dimandai al vecchio questo, il qual mi rispose: – sappi figliuolo che questa è la seconda operatione della pietra, la quale è detta distillatione, et la prima parte della catena argentea dinota che quel che prima distilla è il spirito, cioè argento vivo animato, et è tintura bianca. E la seconda parte della catena, la quale è aurea, dinota che quel che distilla la seconda et terza volta è oglio tinto, et è tintura rossa, la quale si è oleo de philosophi, et questa è la seconda chiave della filosofia.
La terza catena aurea havea un sigillo di lettere argentee, che diceva: separa il tinto dal tinto. Et questo, dice il vecchio, significa la separattione dell’aere dal fuoco, recevendo l’aere da per se essaltandolo più volte nel fuoco humido, et questa è la terza parte dell’opera.
La quarta catena argentea havea un sigillo che diceva essaltami, separa, sublimami, acciò possa esser ridutto all’esser semplice. Dice il vecchio: questo dinota la essaltazione del spirito inanimato esser per sé sola, et questa è la quarta operatione, et chiave dell’arte.
La quinta catena era così argentea come aurea, ma negra in superficie, et il suo sigillo diceva: ho sete, dammi da bere, fammi bianco.
Interrogato il vecchio di questo, così disse: Questo è un gran secreto, et questo si è il corpo morto inanimato, et calcinato, il qual dimanda esser imbeverato et albificato con una parte del spirito animato, acciò che mediante la dispositione del spirito animato possa più presto pervenire alla sua semplicissima della quinta essenza, et questa è la quinta chiave dell’opera.
La sesta catena era così argentea come aurea, et il sigillo così diceva: noi siamo vedovi, et orfani, et lontani di casa propria per riduttione ad essa casa propria, accio che il corpo amicabilmente m’abbracci.
La settima et ultima catena era così argentea come aurea, la quale sigillava ogni cosa, et havea il suo sigillo di lettere auree et argentee che dicevano: fà leggermente, con foco amicabile, che niuna violenza non ci possa separare.
Disse il vecchio: questo significa l’ultima intentione, et perfettione, cioè fare il fisso soluto, et il soluto fisso, et questa è la settima et ultima, et chiave della pietra dè filosofi.
All’hora mi venne desiderio di vedere il libro aperto, la qual cosa disse il vecchio (dissi al vecchio): io ti coniuro per lo Dio del Cielo che per tua benignità mi apri il libro, et mi reveli quelli segreti che dentro vi sono fatti, et scritti.
Disse il vecchio: – Sappi figliuolo che li sapienti hanno posto nell’opera molte cose, et molti modi di operare come dissolvere, congelare et fissare, et molti vasi et pesi, et questo han fatto per accecare gli ignoranti, e dichiarar agli intelligenti. Et nota che li filosofi hanno manifestata l’opera sotto brevi parole non proprie, ma metafisiche, et benchè abbiano aggiunte molte altre parole han fatto questo per non essere intesi se non dalli sapienti.
Li philosophi han detto che la pietra è una cosa la quale è composta di 4 nature, le quali nature sono terra, acqua, aere et fuoco, la qual pietra in similitudine, et in tutto è pietra, ma non in natura, et si chiama pietra perché si rompe. Non è pietra perché si fonde, et si chiama ancora lapis, over composito, perché è una materia composta di corpo et spirito dalla natura, et quando è fatta per la diritta via è quello che cerca.   Nel qual lapis non ci è dentro cosa superflua, né cosa alcuna che li manchi, anzi tutte le cose che sono in detta pietra ci sono necessarie, et non hanno bisogno di niuna altra cosa del mondo. Over composito e d’una radice, over natura, è detta una cosa, cioè una materia composita, la quale in la decottione ha diversi colori, inanzi che sia fatto lapis bianco perfetto.
Et nota che quanto più il detto lapis sta nel fuoco, tanto più se gli accresce la virtù, e bontภcosa che non accade nell’altre cose, perché tutte le altre cose nel fuoco s’abbruciano, et perdono l’humido radicale. Ma il detto lapis tutto solo nel fuoco sempre migliora, et cresce la sua bontà, e virtù. Perché il fuoco et il nutrimento di detto lapis è questo, come delli evidenti segni che possa essere a cognoscere detta pietra, il che intende bene: nota dunque, figliuolo che questo lapis [ ? ] composito, si divide nell’opera in due parti, cioè in due cose , perché una è corporale, et l’altra è spirituale, et uno esce dall’altro et è unita, et uno si regge con l’altro, et uno migliora l’altro et uno vince et ammazza l’altro, et però li filosofi fanno nominato uno mascolo, et l’altro femina. Et nota che quando li filosofi dissero et nominarono l’argento vivo con lo corpo della magnesia, non intesero che l’argento vivo era humidità di detta pietra, et che la magnesia non è quella che volgarmente si dice. Ma per la magnesia intesero tutto il composito nel quale è la detta humidità, che è l’argento vivo, così da li filosofi chiamato. La quale humidità non è come l’altre humidità, perché questa humidità corre nel fuoco, et nel proprio fuoco tutto il composito si solve et congela, si denigra et dealba, et finalmente si rubifica et compesasi. Et nota che nell’opera non si mettino cose diverse, ma una sola tantum. Né vi è bisogno di niuna trituratione di mano, né ancora cosa niuna si deve mettere con la detta pietra, et nota che la terra bianca si chiama pietra bianca perfetta, et così ancora la terra rossa si chiama terra rossa perfetta. La qual terra bianca della detta opera, senza adduttione d’altra cosa che sia, ma per reggimento del fuoco, si converte con rubedine; ma l’acqua, overo humidità di detta pietra si chiama argento vivo, come è detto di sopra.
Et nota che l’acqua, overo humidità predetta, mentre che esce dal detto composito, over pietra, lassa tutto il composito in fondo del vaso in nigredine. Et così continuando il fuoco, detta nigredine, nella quale sta detta humidità, si converte in vari colori, et poi con albedine et finalmente in rubedine. La qual humidità ancor si chiama aere, il qual aere, over humidità, si mescola con la detta sua terra, et con li altri elementi, che stando in la detta pietra finché si fanno una cosa. La qual humidità benché sia poca, nientedimeno è sufficiente a nutrire tutta la pietra, dalla quale procede et esce detta humidità.
Et nota che in questo composto, over pietra, ci è sole et luna in virtù e potenza, et ancora in natura, perché se questo non ci fossero in detto composito con esso, non si potrebbe fare sole, né luna. Et non dimeno il sole et la luna, in esso composito essistenti, non sono come sole et luna volgari, perché il sole et la luna essistenti in detto composito sono di maggior potenza et virtù, et sono assai più megliori che li volgari. Perché il sole et la luna di detto composito sono vivi, et verdi, e quelli del vulgo sono morti a rispetto di esso sole luna essistenti in detto composito, o pietra. Et [per] questo gli filosofi hanno chiamato il detto lapis sole et luna, perché in esso composito ci sono dentro in virtù et potenza, et non visibilmente.
Et nota che la detta pietra, over composito, è una cosa solamente, e di una natura, et in esso ci è tutto quello che gli è necessario, et in esso ci è tutto quello che lo migliora e tutto quello che lo riduce a complemento, come è detto di sopra, et senza altra cosa. Et nota che questo composito non ha dibisogno di alcun animato, over vegetativo, ma è una natura monda e chiara che si trahe dalle sue proprie miniere naturali, la quale si trasmuta con il reggimento del fuoco et si putrefà e divien negra, e bianca et rossa et mostra molti altri colori.
Et nota che la humidità predetta, che è chiamata argento vivo, è la corruttione di essa pietra, perché la fa nigrescere, poi dealbare, et finalmente rubificare come è detto di sopra.
Et nota che li filosofi han detto che sia convertita l’acqua in aere, il che s’intende che la detta acqua sia congelata, et, ritornata, sia ridotta nel corpo ch’era prima, et che il corpo tanto stia nel reggimento del fuoco, che si converti in corpo sottile, et si riduche in albedine perfetta. All’hora etiam è chiamato da alcuni aere.
Ma quando dicono sia convertito l’aere in fuoco, intendono che il detto composito ridotto in albedine, chiamato aere, tanto stia nel foco più forte che diventi rosso, et all’hora si chiama fuoco, over sole. Et nota che tutta l’acqua si fa solamente d’un composito solo, come è detto di sopra, e non d’altro, il qual composito si deve reggere con fuoco lento con le sue materie, finché si meschiano insieme in uno, et questo si fa nel primo reggimento del fuoco, perché in questo sta tutto il diffetto, et pericolo, e quando è così ben fatto non ci può mancare dipoi cosa alcuna, né può havere alcuno diffetto.
Et nota che la purificatione et estrattione delle parti spirituali del corpo si deveno fare con fuoco mediocre tra il lento et il forte, finché il spirito si separa dal suo corpo, et scenda sopra la sua terra, et quando il spirito sarà asceso in alto sopra il suo corpo à modo di nuvole negre che ascéde sopra la sua terra, et rimarrà nel fondo del vaso il corpo morto senza restare in quello nullo spirito, et il segno di questo si è cenere, del quale se ne metterai sopra il foco, che non si fondi né che fumighi , già sarà compito quanto à questo passo. Et mentre che serà così, riduci esso spirito sopra esso corpo, dal quale era uscito, il qual spirito è simile alle nuvole negre che portano l’acqua; nientedimeno questo spirito si chiama acquavita, per la quale si sostenta questo corpo, et con l’acqua mera.
E dopo la morte si rivivifica.
Et nota che in detto composito ci è tutto quello che mortifica, et vivifica detto composito, et con esso medesimo vi è tutto quello che fa negro, dealba et rubifica senza adiutiorio d’altra cosa estranea.
Et nota che il fuoco in principio dell’opera deve esser lento, poi mediocre, poi cioè alla terza volta forte, a poco a poco a poco augumentando detto fuoco, sino a tanto che la pietra sia bianca, et al fine diventi rossa. Et all’hora si fa proiettione di essa sopra ogni metallo, et corpo imperfetto, et ancora sopra lo argento vivo, e tutti li riduce in perfettissimo oro, con l’aiuto di Dio onnipotente, il quale sarà sempre benedetto et laudato.
Gratia Deo et Maria Virgini semper, Amen !

tratto dal sito: http://www.zen-it.com/

Fiore de’ fioriultima modifica: 2011-03-17T13:54:09+01:00da
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