Cinquant’anni fa René Guénon lasciava all’Occidente l’eredità di un’opera incomparabile (www.zenit.it.com)

Or sono cinquant’anni… ormai, saremmo tentati di dire, moriva al Cairo colui che con la sua opera doveva sconvolgere la vita di quegli Occidentali che sono alla ricerca di se stessi. Per un lettore giovane questo vuol dire una lunga metà di secolo; a noi, invece, la data del 7 gennaio 1951 sembra tanto vicina da sfuggire, se così si può dire, alla successione temporale.

Per le individualità che gli erano più vicine, e per coloro che ebbero l’opportunità –e in certo qual modo la fortuna– di uno scambio epistolare con lui, la scomparsa repentina di R. Guénon costituì un trauma; e questo perché l’improvvisa interruzione di una tale corrispondenza, insieme con l’interruzione dell’opera, segnava la fine di legami privilegiati con un Maestro di dottrina quale l’Occidente da secoli non aveva più conosciuto e che probabilmente conosciuto non avrebbe mai più. In certo qual modo era anche il termine di un periodo fecondo sotto più di un aspetto– nonostante le ombre che già andavano profilandosi–, periodo che aveva visto nascere tali speranze che erano legate a diverse iniziative di spirito tradizionale. Grazie alla mediazione incomparabile che fu quella di René Guénon (la sua opera, insieme ad altri indizi, fa sì che si possa riconoscere in lui uno degli eminenti interpreti dell’Unico e di conseguenza un interprete della Tradizione primordiale), era stato riallacciato per l’Occidente il legame con un’influenza centrale in quest’epoca prossima alla fine del ciclo, fine che tocca la presente umanità nel suo insieme, ma che non sarà, adottando un’espressione che fu sua, se non la «fine di un mondo».

A questo temibile «accadimento» accenniamo in quanto esso occupa una posizione importante e significativa nell’opera di Guénon; possiamo dire, addirittura, che esso ne giustifichi e legittimi la ragion d’essere. Per accertarsi di ciò sarà sufficiente che si consultino i suoi primi testi e i suoi primi libri, fino ad arrivare al Regno della quantità e i Segni dei Tempi. Tale costante preoccupazione condiziona molti dei temi fondamentali da lui trattati, e in fondo la sua intera opera (1), senza tuttavia che occorra attribuire questa preoccupazione a qualche considerazione di tipo individuale; René Guénon era forse afflitto da preoccupazioni individuali? L’attenzione rivolta alla fine dell’«età oscura» discendeva soltanto dalla coscienza «del senso profondo [delle] leggi cicliche» (2) rapportata al destino della presente umanità (legato, quest’ultimo, alla deviazione moderna) e alla componente conservatrice– «noachita» potremmo dire con espressione massonica– che renderà possibile la costituzione dell’«Arca» come ricettacolo volto a ospitare i «germi del ciclo futuro», germi che solo un’élite sarà in grado di salvare (3).

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La comparsa dell’opera di Guénon alla soglia di questa fine di ciclo non manca di avere un suo significato profondo; le implicazioni di questo significato incominciano ad apparire oggi, a cinquant’anni dalla morte del suo autore, e il precipitare degli avvenimenti ha, fra gli altri effetti, quello di influire negativamente su tali persone i cui animi sono agitati– e talvolta squilibrati– dal presentimento di una certa «imminenza dell’ora». In conseguenza di tutto ciò siamo oggi indotti a riproporci certe domande: l’opera di Guénon è stata assimilata come il suo contenuto esigerebbe, e, se sì, le sue conseguenze ne sono state realmente dedotte? Cosa accade, dopo cinquant’anni, della magistrale esposizione da lui lasciata in eredità a un mondo che va occidentalizzandosi sempre più? Non si dovrebbe (non dovremmo noi) esercitare, ora più che mai– secondo le sue indicazioni e le sue ammonizioni–, la vigilanza più estrema, e operare per la realizzazione di quel che quest’opera implica?

Con riferimento a tutte queste domande ci pare prima di ogni altra cosa opportuno mettere in rilievo che lo spirito secondo cui tale opera è stata scritta è profondamente distinto da quello in cui sono state scritte tutte quelle alle quali essa viene associata o comparata, molto spesso indebitamente. Sotto questo profilo è necessario insistere sul punto di vista dal quale R. Guénon si pone, punto di vista che lo porterà necessariamente, nel primo periodo della sua opera pubblica, a denunciare radicalmente tutto ciò che costituisce il fondamento della società occidentale moderna (e i suoi prolungamenti inquietanti, sui quali tornerà verso la fine della vita, in modo più direttamente dottrinale e più rilevato, nel libro Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, apparso nel 1945), quella società che egli diceva essere una vera e propria anomalia e financo una mostruosità a motivo dell’essersi secata completamente, nel suo funzionamento e nella sua «evoluzione», da ogni principio tradizionale.

In particolare, è il caso di ricordare qui in quali termini egli «qualificava» l’origine di tale sovversione, che faceva risalire senza ambagi al «Principe di questo mondo»: «[…] lo spirito moderno […] è veramente “diabolico” in tutti i sensi della parola […]» (La crisi del mondo moderno, 1956, pag. 132, ed. francese); è una «formidabile impresa di suggestione […] quella che ha “fabbricato” la mentalità moderna» (Il Regno della Quantità, pag. 89, ed. it.). Questa «condanna» senza appello non manca di irritare, o addirittura di scandalizzare, coloro che conservano ancora dei legami «culturali» o sentimentali con le cose che costituiscono la nostra «civiltà progressistica» ; ma, per gran fortuna, alcuni dei suoi lettori hanno visto in quest’opera e nel suo tremendo «giudizio» qualcosa di diverso da una vana critica generata da un’elaborazione filosofica (nel senso moderno del termine), o da una semplice prospettiva teorica.

È di tutta evidenza a questi ultimi che Guénon si rivolgeva principalmente, allo scopo di rimediare a quell’abbandono dell’essenziale che caratterizza l’Occidente da numerosi secoli, e più precisamente dall’inizio dei tempi moderni (4), attraverso il rifiuto d’ogni autorità sovraindividuale e delle applicazioni che necessariamente ne discendono nella sfera temporale. Tali lettori, i quali cercano di impossessarsi in modo corretto dell’orientamento dell’opera, ossia di assimilare il punto di vista che la contraddistingue, e che ricolloca la contingenza– così d’altronde come ogni cosa– nel posto che le compete legittimamente all’interno dell’ordinamento dell’intera manifestazione, devono dar prova della maggior vigilanza sotto pena di essere condotti a una comprensione riduttiva e financo gravemente errata. È questa la ragione per la quale, tenendo conto degli equivoci e dei malintesi diversi che persistono, è opportuno che si insista sulla vera natura della prospettiva invariabilmente adottata da Guénon a partire dai suoi primi scritti: l’intera sua opera ne è il riflesso fedele e l’espressione più esatta che possa esserne data, nella misura permessa dal comune linguaggio.

Di conseguenza, in virtù del fondamento metafisico e dello sviluppo delle applicazioni particolari che da esso discendono in modo diretto (si tratta di «prospettive sintetiche, conseguenti ai princìpi»)– in particolar modo per quel che riguarda talune «scienze tradizionali»–, nell’opera di Guénon troviamo esposta la sintesi di una conoscenza di origine primordiale che ci riguarda in primo luogo, e senza la quale non potrebbe verificarsi alcuna «presa di coscienza», da parte dell’essere, del passaggio –necessario– di là dalla dualità.

Sarà senza dubbio indicativo esaminare il modo in cui tale opera è stata recepita negli ambienti ai quali essa era più in particolare destinata (5), così come indicativo sarà l’esaminare in qual modo abbiano reagito le individualità «isolate», alle quali Guénon attribuiva il più grande interesse.

In effetti, quel che procede dal punto di vista universale esposto da Guénon è spesso oggetto di un’interpretazione errata; fra le pietre d’inciampo, la più diffusa e pregiudizievole verte sulla confusione tra exoterismo ed esoterismo. Simile confusione porta frequentemente, e ciò principalmente in ambienti cristiani, a un’inversione dei rapporti gerarchici che ordinano le due sfere, e, conseguentemente, a una subordinazione dell’esoterismo da parte dell’exoterismo, o, più genericamente, alla denaturazione dell’esoterismo. Ciò non va senza generare una situazione nociva per l’insieme di coloro che, dopo essere stati toccati dal contenuto dell’opera, adottano poi– involontariamente– un accostamento che ritengono essere esoterico; mentre è invece caratterizzato dall’applicazione di concezioni di tipo puramente religioso (6). Ne originano allora esiti incresciosi, che portano a circoscrivere la finalità dell’opera esclusivamente al campo specifico dell’exoterismo, e– conseguenza ineluttabile– a una prospettiva unicamente teorica; simile contraffazione della sua vera portata intacca gravemente l’approccio iniziatico– per coloro che adottano una via di questo tipo– in tutte le sue applicazioni intellettuali e «operative», vale a dire principalmente (ma non solo) rituali.

Di fatto, la prospettiva universale, in quanto espressione la più diretta dei princìpi metafisici, costituisce e traduce la vera intellettualità, la quale altro non è che la pura spiritualità svincolata da qualsiasi limitazione. È questa la ragione per la quale, quando la sua vera natura non sia riconosciuta e la sua integralità non sia assunta, ne discende «una certa confusione tra il punto di vista iniziatico e il punto di vista religioso; [in effetti] quest’ultimo non può sostituire il primo o essergli equivalente, giacché né l’àmbito né il fine sono gli stessi» (Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, tome I, pag. 268).

Inoltre, non potranno mai essere denunciati in modo eccessivo l’illegittimità e l’inganno d’ogni accostamento teorico quando esso pretenda di essere applicabile, come fine a se stesso, alla vera impostazione esoterica, cioè iniziatica (7). Di conseguenza l’opera di Guénon non può– in nessun caso– venire assimilata a un discorso teorico che sia sufficiente a se stesso. D’altra parte, a tal proposito, non diceva l’autore: «In ogni dottrina che sia metafisicamente completa, come lo sono le dottrine orientali, la teoria è sempre accompagnata o seguita da una realizzazione effettiva, della quale essa non è che la base necessaria; […] l’intera teoria è ordinata in vista della realizzazione, come il mezzo in vista del fine […]»? (Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Adelphi Ed., 1989, pag. 121).

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Secondo ogni evidenza il posto occupato dalla Massoneria nell’opera di Guénon è considerevole. Senonché, a motivo di una situazione più favorevole per certe possibilità, sarà soltanto alla fine della vita che l’autore redigerà quella singolare opera che è La Grande Triade (avvenimento significativo: un anno più tardi, sotto questa dizione veniva creata, all’interno della «Grande Loge de France», una Loggia costituita da Massoni desiderosi di «lavorare» in modo tradizionale). Prima di ciò, la maggior parte dei suoi scritti sull’iniziazione in senso proprio avevano costituito l’argomento di articoli pubblicati nella rivista «Le Voile d’Isis», poi diventata «Études Traditionnelles». Tali testi, i quali esaminano l’iniziazione sotto un profilo piuttosto generale, erano rivolti agli Occidentali di spirito tradizionale, e più particolarmente ai Massoni. Fu soltanto qualche anno prima di morire che l’autore riunì taluni di questi articoli nel volume Aperçus sur l’Initiation. Tutti gli altri libri che trattano di tale argomento sono postumi e costituiti unicamente da articoli e recensioni di libri e riviste, queste ultime di grande interesse, non soltanto documentario (8).

L’interesse privilegiato di Guénon per la Massoneria era in primo luogo dovuto al fatto che essa era ai suoi occhi la sola organizzazione occidentale autenticamente iniziatica che persistesse in Occidente (9) e veicolasse un’influenza spirituale from time immemorial; egli precisava però che non si può –nella maggioranza dei casi– sperare da essa più di un’iniziazione virtuale, ciò che era inestimabile e maggiormente lo è oggi. D’altra parte, tale situazione non ha mai –a nostra conoscenza– impedito un sol momento a Guénon di interessarsi alla Massoneria, giacché egli considererà quest’ultima, e tale continuerà a ritenerla fino alla fine, quale il solo supporto possibile di carattere iniziatico occidentale, in grado, beneficiando di un aiuto dell’Oriente (10), di procedere a un eventuale raddrizzamento della civiltà occidentale. Tale raddrizzamento è oggi assai compromesso –non lo era già durante la sua vita?– a motivo dell’aggravarsi generalizzato della situazione, e della defezione, a meno di poche eccezioni, degli Occidentali che avrebbero potuto costituirne gli agenti attivi (11).

È certo che rimarrebbe da fare un esame secondo uno spirito tradizionale, ma non è forse inutile mettere in rilievo fin d’ora alcuni punti capaci di illustrare in qualche modo la situazione. Resta vero che dopo la scomparsa di Guénon il suo uditorio si è accresciuto in modo significativo e che la «cospirazione del silenzio» concernente la sua opera, che ha coinvolto le generazioni precedenti, è ora non più che un ricordo.

La Massoneria «d’obbedienza» –è questo un fatto– non ha riconosciuto in Guénon colui che «l’ha rivelata a se stessa», secondo l’espressione di Denys Roman. Di fatto, se certi Massoni hanno rivolto attenzione –a gradi diversissimi– alla sua opera, le obbedienze, in particolare quelle che hanno qualche pretesa allo spiritualismo e che quindi dovrebbero essere le prime a sentirsi coinvolte, non le hanno accordato l’interesse che merita. Ed è ovvio che dobbiamo anche considerare secondo il loro giusto valore i suoi «avversari» più o meno determinati, i quali hanno sempre vanamente cozzato contro la sua permanente attualità, alla quale non sono mai stati in grado di opporre se non derisorie pretese.

Non esistono dubbi sul fatto che ciò che Guénon poteva attendersi «di ritorno» dagli Occidentali, quanto all’essenziale ha fatto difetto (riserviamo però almeno il caso di qualche notevole eccezione). Questi sono i motivi per cui, oggi, guardando a una situazione che è sotto gli occhi di tutti, qualsiasi possibilità di un raddrizzamento generale sembra –a vista umana– ormai esclusa. Quella che è solo più possibile è una restaurazione della mentalità di ciascuno, a condizione di «lavorare» –e questo in particolare per coloro che seguano la via dell’Arte Regale– in una prospettiva dottrinale e rituale tradizionale rigorosa. A tal proposito D. Roman scriveva nel 1972 (perciò un bel po’ di anni dopo la scomparsa di R. Guénon), parlando dell’eventuale ristabilimento dello spirito tradizionale in Occidente, che: «Il Maestro [René Guénon] vedeva nello studio dei simboli il mezzo per operare “la riforma della mentalità moderna” (12). Una riforma simile non è più concepibile […]», ma subito aggiungeva: «[…] ma il simbolismo nulla ha perduto delle sue virtù di riforma della mentalità di ognuno di noi». Il risanamento che Guénon si augurava –vale a dire una restaurazione dello spirito tradizionale con le conseguenze che ne deriverebbero in tutti i campi– doveva operarsi secondo modalità che sono esposte, in particolare, in Oriente e Occidente e nella Crisi del Mondo moderno, anche se alcune di esse sembrano non poter più venir messe in opera nell’attuale stato di cose (13). Mettiamo in evidenza che l’organizzazione tradizionale da lui considerata agli inizi come tale da fornire un supporto per l’impegno di qualche individualità, in prospettiva di una possibile restaurazione intellettuale, era la Chiesa cattolica, la sola in Occidente che avesse conservato una dottrina exoterica completa, passibile di fornire una base adeguata. Tale ipotesi, per quanto non sia il caso di chiamarla progetto, non sarà seguita da esito positivo di fronte all’incomprensione, e financo l’ostilità, di taluni rappresentanti di Roma e in generale dei cattolici. D’altra parte, fra coloro di questi ultimi che per un certo tempo avevano aderito a una via iniziatica in seguito allo studio dell’opera di René Guénon, numerosi ve ne furono che ripiegarono su una visione exoterica esclusiva, abbandonando in tal modo qualsiasi punto di vista universale (14).

Guénon dirigerà di conseguenza il proprio interesse verso una Massoneria di cui sapeva meglio di chiunque altro che la degradazione speculativa non poteva impedire ai suoi membri «qualificati» di trar partito delle possibilità e delle virtualità «senza numero» che essa include a onta degli assalti ripetuti della mentalità moderna al suo interno, e financo di attualizzarle. Nel 1935, nel corso di una recensione (Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Ed. Traditionnelles, 1964, pag. 254), costantemente attento all’evoluzione «alla rovescia» dell’Occidente, e in conseguenza dell’eco limitata che la sua opera pareva aver suscitato fino allora negli ambienti e nelle individualità ai quali era indirizzata, Guénon affermava: «Il vero rimedio al processo di degradazione della Massoneria e senza dubbio il solo, sarebbe …, supponendo che la cosa sia ancora possibile, quello di cambiare la mentalità dei Massoni o quanto meno di quelli fra di loro che sono ancora capaci di capire la loro propria iniziazione, ma ai quali –occorre dirlo– finora non ne è stata data occasione; il loro numero, d’altronde, importerebbe poco …». Oggi che l’opera di Guénon è accessibile nella sua totalità, quali sono i Massoni che possano pretendere senza imbarazzo che l’occasione di capire la loro iniziazione non gli è stata data?

Con riferimento a questo argomento, tenendo conto soltanto di certi «abbandoni» rituali o d’altro genere, alcuni autori che si danno, a torto, come rappresentanti dello spirito tradizionale, e che vengono proposti –o si propongono essi stessi– quali «specialisti» di Massoneria, sono giunti a concludere, attraverso l’artificio di una metodologia di tipo profano –metodologia «analitica e frammentaria»– che la Massoneria è affetta da una totale assenza di «metodo». Questo modo di vedere, che de facto concorda con il modo di vedere di coloro che manifestano la loro ostilità per tutto ciò che permane di esoterismo occidentale vero, li porta altresì, inevitabilmente, ad «avanzare dubbi» sull’esistenza vera e propria di una dottrina all’interno dell’Ordine; in conseguenza di ciò, la Massoneria si ritroverebbe ridotta nelle condizioni di una «società» totalmente sprovveduta dei mezzi che permetterebbero di attualizzare l’iniziazione virtuale ricevuta dai suoi membri. Simile opinione non è accettabile, e invece di concludere in modo così affrettato, occorrerebbe piuttosto esaminare la questione in modo più attento e rispettoso del suo oggetto (15). E, d’altra parte, non ha Guénon risposto in anticipo a tali obiezioni con l’aspetto massonico della sua opera?

Il fondamento artigianale della Massoneria merita più attenzione di quanta non gliene venga generalmente accordata. In effetti, il Mestiere, per essere in certo qual modo di natura «neutra», è con ciò non legato a una tradizione particolare; questo lo fa indipendente da ogni via specifica e di conseguenza gli assicura un carattere di universalità che nello stesso tempo gli conferisce possibilità «operative» estremamente opportune con rapporto alle condizioni cicliche del nostro tempo (16). L’interesse che Guénon accordò a tale stato di fatto, probabilmente unico, si accompagnava al vero e proprio riconoscimento della costituzione eccezionale della Massoneria nel mondo occidentale, costituzione che fa di essa un’Arca che ha goduto nel corso dei secoli, e ciò –cosa notabile– persino arrivando al suo periodo speculativo, di depositi molteplici in provenienza da organizzazioni iniziatiche in procinto di scomparire, le quali l’hanno «eletta» allo scopo di permettere, di tali depositi, la conservazione sotto forma di sintesi simbolica (17). Tali depositi iniziatici sono veri e propri «germi» condensati in questo luogo al fine di integrarsi allo sviluppo del ciclo futuro (18). Essi costituiscono un «arricchimento» della Massoneria del quale non viene sufficientemente misurata l’entità e rappresenta l’equivalente di una «trasformazione». È questo il motivo per il quale la Massoneria non dev’essere più considerata come un’organizzazione puramente e semplicemente artigianale, quantunque la sua base costituita dal mestiere di costruttore sia rimasta per la sua gran parte invariata. Di conseguenza gli apporti cavallereschi e «sacerdotali» impongono una presa di coscienza e una cognizione diversa in quanto costituenti delle virtualità che non dovrebbero lasciare indifferenti i Massoni che siano membri di «alti gradi» o gradi addizionali qualsivogliano.

Gioiello dell'Arco realeA tal proposito noi pensiamo –tra altre cose– all’«Idea» del Sacro Impero, vero e proprio coronamento del Rito Scozzese, e all’«apertura» sui grandi misteri che l’Arco Reale comporta, il quale è complemento «sacerdotale» della Maestranza, una delle cui particolarità più «velate» corrisponde a quello che Guénon denominava il «travestimento popolare»; e ciò in rapporto con l’intrapresa iniziatica, la quale deve integrare talune considerazioni escatologiche della maggiore importanza. I lettori che fossero interessati potranno riferirsi principalmente al primo libro di D. Roman, che è più specificamente orientato su questo tema (19), e nel quale, in particolare, l’autore si esprime in questi termini: «Secondo lui [R. Guénon], la Massoneria “aveva ricevuto, e ciò a partire dal medioevo, l’eredità di numerose organizzazioni anteriori”, nel cui numero sono da comprendere il Pitagorismo e l’Ordine del Tempio, scuole iniziatiche fra tutte illustri. La Massoneria, inoltre, è la sola fraternità che sia stata favorita da simili eredità, e ciò sembra indicare in modo certo che ad essa sia riservato un destino molto particolare, un destino realmente “provvidenziale”, destino simboleggiato nella promessa fatta a Giovanni di “durare” fino al ritorno di Cristo. Guénon assicura che “ci sarebbe certamente molto da dire su questa funzione ‘conservatrice’ della Massoneria, e sulla possibilità che essa le dà di supplire in una certa misura all’assenza di iniziazioni di un altro ordine nel mondo occidentale attuale”» (20).

Il lettore occidentale tende spesso a trascurare una delle caratteristiche dell’opera di R. Guénon che è ricollegata alla sua «operatività» intrinseca: al di là del rifiuto del mondo moderno, il quale rappresenta la componente «critica» di tale opera (essa corrisponde a quanto l’alchimia –una delle tre scienze dell’ermetismo– designa come fase di «separazione», che altro non è se non una «purificazione»), tale caratteristica è costituita da ciò che emana dall’«ispirazione» che presiedette alla sua elaborazione, e che costituisce le virtualità «senza numero» da essa veicolate; denominare queste virtualità quali «germi» è indubbiamente l’espressione più giusta che si adatti alla loro natura. Senonché sotto questo riguardo, riteniamo che sarebbe presunzione investigare sull’opera in modo qualsivoglia, poiché il campo in cui tali virtualità sono situate non partecipa più del razionale e dell’individuale. Ci permetteremo al massimo di dire che l’«edificio» rappresentato da quest’opera presenta tutte le caratteristiche di un’Arca e costituisce il «testamento» spirituale più puro e più ricco che sia stato ricevuto in eredità dall’Occidente. Questo presupporrebbe, nei suoi lettori –in particolare se essi siano Massoni– la coscienza della prodigiosa opportunità da esso offerta per una rivivificazione di alcuni dei depositi di cui tali lettori possono aver avuto la responsabilità. E ciò perché «La Massoneria non avrà mai più un “Visitatore” come René Guénon, che le fornisca, secondo la formula rituale, “l’apporto delle sue luci”» (D. Roman, «Etudes Traditionnelles», n° 396-397, luglio-ottobre 1966, pag. 190).

René Guénon, prevedendo le conseguenze d’ogni tipo della «discesa» ciclica –alcune delle quali diventano oggi un po’ più visibili, mentre altre si stanno manifestando apertamente–, ha formulato, principalmente nei confronti degli Occidentali, avvertimenti solenni. Ciascuno è libero di ignorarli. Per quel che ci riguarda, poiché noi siamo «assenzienti» a quanto egli espone, crediamo che tocchi ai Massoni, prima d’ogni altra cosa, adottare per se stessi l’iniziativa– sempre necessaria– di rettificarsi (21) e di «restaurarsi», iniziativa che può d’altronde riguardare altresì le individualità che siano alla ricerca di un’iniziazione.

R. Guénon aveva la certezza della perpetuità dell’Ordine massonico. Questa perpetuità era stata confermata da Cristo al discepolo «che amava», quando, facendo seguito alla «domanda» di Pietro, Egli aveva dovuto distinguere le attribuzioni rispettive di Pietro, Principe degli Apostoli, e di Giovanni, «Figlio della Vergine» e «Figlio del Tuono», in prospettiva della formazione del Cristianesimo. E la Sua Parola può essere legittimamente riferita, per analogia, all’esistenza «terrestre» della Chiesa e al periodo di oscuramento pressoché totale che la presente umanità conoscerà in questa estrema «fine dei tempi».

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Nella «Conclusione» dell’Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, René Guénon, che affrontava con tale libro l’inizio della sua opera pubblica (tale libro era, come tutti sanno, il primo di una lunga serie di lavori che avrebbe dedicato all’Occidente), terminava il suo dire in un modo che fa intravedere la lucidità con la quale egli si rendeva conto delle difficoltà di comprensione che le sue esposizioni avrebbero presentato per il lettore occidentale: «[…] Se alcuni Occidentali potessero, attraverso la lettura di quanto siamo andati esponendo, prendere coscienza di ciò che fa loro difetto intellettualmente, se potessero, non diremo capirlo, ma solo intravederlo e presentirlo, questo lavoro non sarebbe stato fatto invano». Giacché l’opera di Guénon ha, fra gli altri obiettivi, quello di risvegliare l’essere che è «in attesa», e che, a difetto di un simile incontro e, oggi, nella maggioranza dei casi, sarebbe votato a disperdersi. Quest’opera ha, come dicevamo all’inizio di queste poche riflessioni, suscitato numerose vocazioni religiose e numerose iniziative personali di carattere iniziatico, là, per lo meno, dove persistono ancora, in Occidente, possibilità d’ordine tradizionale. Non fa dubbio che la sua portata vada al di là di ogni opera umana; per questo essa gode del privilegio della perpetuità e dell’universalità.

In occasione del cinquantenario della scomparsa di R. Guénon, è per noi cosa grata rendergli omaggio nella rivista stessa che egli così a lungo animò, e ringraziamo la Direzione delle Éditions Traditionnelles per avercene offerto l’opportunità. La venerazione che portiamo a un tal Maestro, e l’eccellenza che riconosciamo alla sua opera potranno forse sembrare inopportune o eccessive a qualcuno di coloro che leggeranno queste righe. Esse dànno questo suono perché vogliono esprimere la testimonianza della nostra riconoscenza, giacché –per noi– René Guénon è, con la sua opera e in questo periodo di aberrazione e sregolatezza –e di là dall’espressione del «ricordo» delle origini che rappresenta– «la Luce che risplende nelle tenebre».

Cinquant’anni fa René Guénon lasciava all’Occidente l’eredità di un’opera incomparabile (www.zenit.it.com)ultima modifica: 2011-03-17T17:10:00+01:00da giovannisantoro
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