Johannes Reuchlin e la cabala cristiana

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È in Italia che Johannes Reuchlin (1455-1522), l’umanista di Pforzheim, si appassionò alla cabala su suggerimento di Ermolao Barbaro. Nella dedica del suo libro De Arte cabbalistica al Papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, ricorda lo splendido periodo in cui incontrò Pico della Mirandola tra gli umanisti di Firenze. Reuchlin, che aveva compiuto i suoi studi di diritto a Poitiers e a Parigi, era già stato in Italia nel 1482, quell’Italia che non è soltanto il paese delle belle lettere, ma quello in cui si trovano dei libri ebraici. Si è conservata la Bibbia ebraica che acquistò a Roma, dove prese lezioni da Obadia Sforno, l’autore di Or amim, la luce delle nazioni, poco incline verso la filosofia. Vi conobbe il medico del Papa, Bonet de Lates. Ed è a Firenze che Reuchlin inviò suo fratello Denys a compiere i suoi studi.
Ma è ben nota la figura di questo ellenista che preferiva alla pronuncia erasmiana lo iotacismo (caratteristica del Greco medievale e moderno di pronunciare la ‘eta’ come ‘iota’, n.d.r.), l’autore della prima grammatica ebraica da parte di un cristiano, pubblicata nel 1506, l’eroe della famosa disputa degli uomini oscuri che l’oppose al giudeo battezzato Pfefferkorn e all’inquisitore domenicano Hoogstraten dal 1510 al 1514. Vediamo ora il cabalista. La prima opera, che lo rese celebre al pari di Pico della Mirandola, fu il De Verbo mirifico, il Verbo meraviglioso, che apparve nel 1494. Si tratta di un dialogo, in voga all’epoca, tra un filosofo della scuola di Epicuro ma curioso di tutto e sempre in viaggio per istruirsi, Sidonius, il giudeo Baruchias ed il cristiano Capnion, che si sono incontrati a Pforzheim. La discussione volge rapidamente all’esame della credenza circa il potere delle parole e delle lettere. Ognuno espone il proprio punto di vista: l’Epicureo nel primo libro, Baruchias nel secondo e Capnion nell’ultimo, dove riunisce tutti i poteri dei nomi divini nel nome di Gesù.
Baruchias ci viene presentato come un uomo minuto, dalla lunga barba, dalla fronte un po’ triste, con un naso aquilino, coperto da un lungo mantello con una striscia gialla. Questo filosofo posto sotto il segno di Saturno fa eccezione tra i suoi correligionari tedeschi, molto religioso ma persuaso che è meglio scostarsi dalla filosofia che è causa di tutte le eresie. È anche un dotto cabalista, che fa l’elogio di questa «scienza che non è una disciplina umana, ma una tradizione divina, i cui maestri furono Abraham, qualunque sia stata la sua identità, Simone figlio di Iohai, Abraham, secondo nome di Alaphias, Rambon, Recanati». Cosa questa che lo porta a esporre la superiorità dell’ebraico su tutte le altre lingue: «lingua flessibile, pura, santa, concisa e vigorosa, che Dio adoperò per parlare agli uomini e che gli Angeli ascoltano direttamente faccia a faccia, senza intermediari, come un amico parla a un amico». È la lingua con la quale fu espresso il nome di Dio. San Girolamo dice che vi sono dieci nomi divini, Dionigi quarantacinque, altri settantadue. Prima della caduta non vi era che un solo Nome. Il peccato ne ha fatto perdere la conoscenza all’uomo e Zaccaria ha annunciato il giorno in cui il Signore sarà Uno ed il suo nome Uno.
Dopo aver richiamato la tesi sostenuta da Pico della Mirandola: «Nessun nome, nell’arte magica lecita, ha tanta forza quanto l’ebraico», Baruchias esamina i diversi nomi di Dio. Il primo, Ehieh (Esodo, III, 14) mostra l’essenza di Dio che è separato dalle creature; è quello attraverso il quale si rivelò agli uomini. Il secondo, Hu, è tratto da Isaia XIII, 8: «Io sono il Signore, Hu è il suo nome». Il terzo, Esh, il fuoco, lo si trova in tutte le religioni. Questi tre nomi che rappresentano la suprema essenza di Dio sono una forma di Trinità. Non è possibile farsene un’idea che attraverso le dieci Sephiroth o attributi: Kether, la corona; Hochmah, la saggezza; Binah, l’intelligenza; Netzah, la vittoria; Hod, l’onore; Tifereth, la gloria; Geburah, la forza; Malcuth, il regno; Hesed, la grazia e Pahad il timore.
È stato fatto notare che questa enumerazione era erronea, avendo Reuchlin omesso Yesod, il fondamento, e inserito due sephiroth diverse da Geburah che è anche Pahad, e che, invece di essere Geburah la settima e Pahad la decima, occupa la quinta posizione. L’osservazione è senz’altro giusta: Reuchlin probabilmente non conosceva la lista delle sephiroth. Infatti non la presenta, tenuto conto che molte conclusioni di Pico gli avevano insegnato che Malcuth è la decima. Il capitolo in cui elenca quei nomi è intitolato: Circa Hochma e Ousia e molti altri nomi di Dio. Dopo aver collegato Hochmah, Binah e Kether, che fanno parte delle dieci sephiroth, enumera i dieci aspetti di Dio, che corrispondono alle nove gerarchie, e messo a parte Kether, precisa soltanto che Tifereth è nel cuore delle dieci sephiroth. Il suo primo pensiero era di ritrovare nelle Scritture questi nove nomi: «Beato l’uomo che ha trovato la sapienza, l’uomo che ha incontrato l’intelligenza», dicono i Proverbi III, 13, «I giorni parleranno, i numerosi anni riveleranno la saggezza, ma è lo spirito messo nell’uomo, il soffio dell’Onnipotente che gli dà l’intelligenza». Questo per quanto riguarda Hochmah e Binah. «Trionfatore è Israele, non perdonerà e non cederà al rimorso», in Re XV, 29, e troviamo Netzach. «A Te Signore è la magnificenza, la potenza, la gloria, la vittoria e Hod», che sarà variamente tradotto con lode o confessione, in I Paralip. XVI, 27, o «Di maestà e di splendore Tu sei rivestito. Rivestito di luce come di un mantello», nel salmo CIII, 1-2: si tratta di Hod. «Ora dunque, o nostro Dio, noi vi lodiamo e celebriamo il vostro nome glorioso» in I, Paralip. XXIX, 13, o «Lo splendore e la maestà sono innanzi a lui, la potenza e la magnificenza sono nel tuo santuario», salmo XCV, 6, dove troviamo Hod e Tifereth. «Così tu conduci il tuo popolo per farti un nome di gloria», in Isaia LXIII, 13, ed abbiamo Tifereth. «Esaudiscici, Dio nostro salvatore, speranza di tutti i figli della terra e dei mari lontani, fissando i monti nella tua forza, cinto della tua potenza», salmo LXV, 6-7: è Geburah. «Il tuo regno è un regno di tutti i secoli», salmo CLV, 13: è Malcuth. «Signore nel cielo è la tua misericordia», salmo XXXV, 6, o «In quanto la tua bontà si eleva al di sopra dei cieli», salmo CVII, 5, o «Dio misericordioso e pietoso, lento alla collera, ricco in bontà e fedeltà», in Esodo XXXIV, 6,: è Hesed. «Se il Dio di mio padre, il Dio di Abraham e il terrore di Isaac», della Genesi XXXI, 42, è Pahad.
Baruchias giunge allora al nome Elohim. Quando si rivela, è YHWH (JHVH), il Tetragramma. È il nome mirabile, non nel senso del salmo VIII, 10: «Quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra», e che traduce Adir, ma nel senso dei Giudici XIII, 18: «Perché l’interroghi sul mio nome? Esso è mirabile», che traduce Peli. Questa parola impronunziabile, i nostri antenati l’hanno spiegato, è lo Schem hamephoras in 72 lettere. Le si può ordinare secondo la scala di Giacobbe. Il Signore di quattro lettere è fissato in cima alla scala che, dalla terra, sale fino ai cieli. Giacobbe è a terra e gli angeli salgono e scendono, portando a Giacobbe «Secondo il tuo nome, Dio, così la tua lode (Tehillim)». I nomi saranno dunque tratti dai versetti dei Salmi (Tehillim), ogni versetto proponendo tre lettere.
Tutto questo non era poi così chiaro e si chiesero a Reuchlin delle spiegazioni. Un monaco, Augustin Wolfgang, abate di Ror, scrive nel 1501: «Ho sentito Baruchias esporre come il Tetragramma poteva essere compreso in 72 versetti, ma ora non capisco più, benché abbia in mano il Sefer Tillim. Rispondi al tuo amico Wolfgang, che nella sua vecchiaia non ha altro che la consolazione delle Lettere sante. Egli non sbandiererà i segreti simboli…, tacerà, sarà silenzioso… e onorerà ancora più divinamente il nome mirabile». Non si è conservata la risposta di Reuchlin, ma il 29 agosto 1511, Nicolas Ellemborg (1481-1543), benedettino di Ottobeuren, gli poneva la stessa domanda: «Nel secondo libro del De Verbo mirifico, tu scrivi al riguardo della scala di Giacobbe, dei suoi 72 scalini e dei 72 angeli che vi salgono e ne discendono. Vorrei sapere, chiedendotelo in ginocchio, di indicarmi i 72 punti (signacula) che si ricavano dai 72 versetti del salterio. Vorrei anche sapere con certezza chi per primo trovò quei 72 simboli. Ho scritto quei versetti dei salmi in caratteri ebraici affinché tu mi indichi i simboli che, se tu fossi qui, mi mostreresti con il dito».
Reuchlin rispondeva il 30 settembre: «Non avevo dell’inchiostro rosso per rubricarti le lettere ebraiche. Ho indicato con due virgole ogni carattere che potrai, se vuoi, evidenziare in rosso e oro. Ho aggiunto a margine, per ogni carattere ternario degli angeli, il sigillo dell’ordine in cui devono essere posti. Il fatto che il primo versetto della Bibbia sia inserito alla terzultima frase: «In principio Dio creò il cielo e la terra», non è privo di mistero. Si avvicina in effetti alla santa Trinità, tendente ad accompiere tutto il salterio ed a condurci alla fruizione, che è lo scopo dei Salmi. Ci sarebbe molto da dire, ma lo rimandiamo ad un momento in cui avremo più tempo a disposizione. Non hai notato che tutti i versetti contengono il nome Tetragramma….».
Ellenborg, che aveva già scritto a Reuchlin riguardo allo Schem hamphoras, è un personaggio molto rappresentativo di questa generazione. Figlio di un medico dell’arciduca d’Austria, fece i suoi studi a Cracovia, ed ebbe per maestro Jean de Glogau, di cui conservò un pronostico datato 1502, dove si compiaceva di avere annunciato l’eresia luterana. Viaggiò in Francia, a Montpellier, e, durante un ritiro in un monastero domenicano, sentì nascere la vocazione monastica. Entrò, nel 1505, presso i benedettini di Ottobeuren. Si dedicò al greco e all’ebraico, ma i suoi studi furono costellati di difficoltà quanto quelli del suo contemporaneo Conrad Pellican. L’abate, dapprima favorevole, scrisse a Reuchlin per farsi indicare un ebreo in grado di insegnare ai monaci. Con la promessa di inviare un dotto neofita, Reuchlin aggiungeva: «Non vi è alcun Latino che possa spiegare l’Antico Testamento, se non ha imparato la lingua con la quale il testo è scritto. La voce fu infatti mediatrice tra gli uomini e Dio, come leggiamo nel Pentateuco, ma non una qualunque; è attraverso la lingua ebraica che Dio volle far conoscere i suoi segreti ai mortali. La parola, che vediamo con i nostri occhi ignoranti, è degna della massa. Esiste, scartando la scorza, una sostanza più profonda che è preparata per i contemplativi che hanno studiato questa lingua».
Il successore dell’abate Leonhard non fu altrettanto aperto e Ellenborg chiese invano l’acquisto di una Bibbia ebraica. Quella che si procurò gli fu tolta durante la rivolta dei contadini. E abbiamo una corrispondenza toccante in cui vediamo Ellenborg tentare di procurarsene un’altra. È da un ammiratore, P. Suter, del convento di Kemten che ottenne in prestito quella di Jacob Gruer, che a Tubingen fu allievo di Reuchlin, e che vi allegò le note di un corso sulla Genesi e Ruth.
L’opera di Ellenborg, rimasta manoscritta, ce lo mostra in corrispondenza con Erasmo, Jean Eck ed i suoi vecchi condiscepoli, A. Blaurer e Œcolampade. Ammiratore di Pico della Mirandola, cita la sua difesa di Origene. Ha letto P. Nigri, Jacobus de Valentia. Raccomanda la lettura di Galatin, di cui si stupisce che J. Eck, nel suo libro sul sacrificio della messa, non ne abbia fatto menzione. La sua corrispondenza con Reuchlin si protrasse oltre la pubblicazione del De arte cabalistica. Il 12 agosto 1517 scrive: «Dio preservi che i libri di cabala siano consegnati al fuoco. Sono perfettamente degni di essere tradotti fedelmente in latino. Spero di leggerne molti che avrai tradotto, e non sono il solo ad augurarselo. Molti dotti, seguendo il tuo esempio, sono diventati cabalisti. Mi stupisco che il gloriosissimo Girolamo di Dalmazia abbia trascurato e disprezzato una tale dottrina, a tal punto che non si trova neppure il termine di cabala nei suoi scritti, eppure molti libri di cabala erano stati pubblicati ai suoi tempi. Ed ancora nel 1518: «Non ti chiedo dell’oro, né dell’argento, ma il sapore della dolcezza cabalistica… Se hai qualche libro di cabala tradotto (ad eccezione del libro, Le porte di luce), fammelo copiare». L’opera di Ellenborg non racchiude tuttavia che qualche reminiscenza, ed in particolare quella dell’angelo Raziel, tratta dal De arte: «Il nostro Padre celeste non lasciò l’uomo senza rimedi dopo la caduta. Attraverso l’angelo Raziel, come dicono i cabalisti, consolò Adamo che si affliggeva, e gli rivelò che dal suo seme sarebbe nato un uomo giusto e pacifico, che avrebbe espiato per il peccato originale…».
Reuchlin doveva dare nel De arte cabalistica la spiegazione richiesta dai due monaci riguardo alla litania, che era stata ripresa nel frattempo da Agostino Giustiniani, per quanto con una diversa traduzione, nella Preghiera piena di pietà composta da 72 nomi divini in ebraico ed in latino, pubblicata a Bologna nel 1513.
Baruchias illustrava in seguito che il Tetragramma, sviluppato da questa litania, è la Tetractys imitata da Pitagora, come la decade traspone le dieci Sephiroth. Il quaternario ingloba infatti tutta la filosofia e l’universo, i quattro elementi, le quattro qualità, i quattro principi geometrici, le quattro note, i quattro fiumi, le quattro immagini di Ezechiele. Ognuna delle lettere del Tetragramma, yod, he, vau, he, (JHVH) ha peraltro il suo senso. La Yod, che vale dieci, è come il punto matematico. Dio è l’inizio e la fine di ogni cosa, come il punto è l’unità prima e la decade la fine di ogni numerazione. La Hé, che vale cinque, indica l’unione di Dio e della natura. La terza lettera, la Vau, è la copula, e Vau ha valore di sei. In tutti i testi dove si parla delle generazioni, solo il passo della Genesi: «Ecco la generazione (Tholdot) del cielo e della terra», o il libro di Ruth: «Ecco le generazioni dei Fari», la seconda Vau della parola generazioni è scritta per indicare la genealogia del Cristo. Questa lettera ci ricorda che tutto l’universo è stato perfetto attraverso il senario in quanto il sesto giorno Dio vide che tutto ciò che aveva fatto era buono. È in Ezechiele la faccia dell’aquila e in Daniele il quarto animale simile al figlio di Dio.
Tutto questo preambolo permette a Capnion, nel terzo libro, di riunire tutti i poteri nel nome di Gesù, che ci spiega il senso del titolo dell’opera. Isaia IX, 5, ha infatti scritto: «Un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, l’impero è stato posto sulle sue spalle, e lo si chiama «Pele», mirabile». È il Figlio di Dio che si scopre nella pietra, Aben. Ab, in ebraico, significa Padre, e Ben, figlio, due sillabe che riunite formano Aben. Allo stesso modo Bara, egli creò, dà con Aleph Ab, il padre, con Beth Ben il figlio, e con Resch Ruach, lo spirito. Si può unire l’ultima lettera alla prima e si ha Ab, padre, raddoppiare la Beth ed unirla a Resch, si ha Bebar, nel figlio, ed il tutto dà il Padre ha creato nel Figlio».
Quanto al nome del Figlio è il Tetragramma, al quale si è aggiunta una Shin, yhswh (yhshwh.jpg (1817 byte)). Per dimostrarlo Capnion classifica, secondo il famoso detto talmudico chiamato la profezia di Elia che attribuisce seimila anni al mondo, più il sabbat, le lettere in sette gruppi. Il settimo dà, escludendo la Qof, la parola Resch, la testa, come se l’alfabeto predicesse che la Shin sarebbe la più adatta a formare il nome di Ihsuh, che Dio Padre dà per capo di tutta la Chiesa, che è il suo corpo, come leggiamo nell’Epistola agli Efesini (1,23), e che Mosè ha chiaramente predetto nel passo del Deuteronomio XXVIII, I: «Se ascolti la voce YHWH, tuo Dio, ecco quattro lettere». Poi: «Tutti i popoli della terra vedranno che il nome di YHWH è invocato su di te». La riunione delle tre parole, cioè «Il nome chiamato Tetragramma» (Deut. XXVIII, 10), si capisce secondo l’uso frequente nella cabala della Shin, in modo che se le ultime lettere rispondono alle prime, questa profezia non contiene altro che: «Se ascolti la parola yhwh, cioè quando il Tetragramma sarà udibile, allora il nome Tetragramma chiamato attraverso la Shin sarà su di te». Il Tetragramma, per essere pronunciato, deve prendere la consonante Shin e dare yhswh».
Questa spiegazione poco chiara, è precisata da Reuchlin nel De arte cabalistica. «Ma ascoltate come, secondo i cabalisti, questo nome ineffabile yhwh sarà il nome proprio del Messia: insegnano infatti che bisogna credere che è il nome integrale del Messia, in quanto è compreso nella Misericordia; cosa che nessun talmudista negherà poiché quel grande maestro del Talmud ha detto che il nome del Messia sarà Hanina, cioè Misericordia…. ciò che Jonathan Chaleen ha tradotto in Rahamim, misericordia. I talmudisti dicono a questo proposito: «che non vi sarà alcun Messia chiamato Misericordia, per voi che camminate nella depravazione del cuore e non ascoltate Dio….». Il nome di quattro lettere è ineffabile. La consonante Shin lo rende pronunciabile. È abituale nella cabala che il segno Shin si sviluppi in Shin Yod Nun. Sono le iniziali di Scem yhwh Niquera, vale a dire il Nome Tetragramma chiamato, cioè pronunciato. Non vi sono altre lettere con le quali si designi la misericordia, se non attraverso queste cinque lettere: yhwh e la consonante Shin. Al riguardo di queste quattro vocali, si legge nelle Porte di giustizia: «E questo è il mistero che dissero i nostri maestri, la cui memoria sia in pace. Ecco che il nome di quattro lettere, dice Michea (1,3) yhwh esce dal suo luogo (Maqom)». Esce per la proprietà delle misericordie (Maqom, luogo e yhwh valgono entrambi 180). In quanto alla consonante Shin, tutti i cabalisti, che non sono a digiuno di gematria, non contraddiranno che essa contiene in sé la ragione del nome di quattro lettere, in virtù della proporzione aritmetica, e che essa possiede la proprietà della Clemenza e della Misericordia (Shin e Berahamim valgono 300).Tutti gli uomini non possono aspettarsi la salvezza che dalla sola misericordia; cosa che ha chiaramente spiegato Habacuc (III,2), nel passo dove si rivolge a Dio così: «Quando sarai irritato, ti ricorderai della misericordia». Su questo testo David Kimhi… dice che con il nome di Rehem, cioè misericordia, messo là, bisogna intendere, secondo la proporzione aritmetica cabalisticamente, cioè simbolicamente, Abraham (Abraham e Rechem valgono entrambi 248), come se Habacuc avesse detto: «O Dio, quando il nostro peccato provocherà la tua collera, ricordati del seme di Abraham, a cui tu hai promesso che in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra». Per indicare quale sarebbe questo seme, Habacuc aggiungeva (III,13): «Sei sorto per la liberazione del tuo popolo, per la salvezza del tuo Messia», su cui lo stesso Kimhi scrive: «È il Messia, figlio di David».
Capnion conclude sull’ortografia del nome di Gesù, che gli antichi, ignoranti, scrivevano ihs. È valida solo l’ortografia in Pentagrammaton. Mentre Shadaï, in tre lettere, fu il nome di Dio sotto la natura, yhwh in quattro lettere sotto la Legge, yhswh in cinque lettere è quello della legge di grazia. E il dialogo termina con la raccomandazione alla quale faceva allusione il monaco Wolfgang: «Osserva il silenzio, mantieni il segreto, dissimula, vela, taci, sussurra (Sile, cela, occulta, tege tace, mussa)!».
Questa ortografia del nome di Gesù fu riportata dall’editore di Reuchlin, a Tubingen, Thomas Anshelm. Non lo fece perché, come è stato detto, ignorava che «questo nome è una abbreviazione del nome di Josué terminante in ebraico con Ain e non con He, o di Isaia che contiene le stesse lettere». Uno specialista in criptografia riteneva questo: «In quanto alla composizione del contrassegno dell’editore di Tubingen, colui che l’ha concepito ha avuto un lampo di genio, in quanto ha risolto graficamente il principio della consustanzialità del Padre e del Figlio. Nel basso della banderuola, le Shin e Iota formano il digramma ebraico-greco «L’Onnipotente». Tra le lettere Shin e Iota, l’alta Resch che si eleva richiama allo stesso tempo il segno del 4 Iehovah e della q, che gli apostoli scelsero per rappresentare la persona del Figlio di Iehovah. Con questa combinazione grafica, queste due resch 4 q ne fanno soltanto più una, allo stesso modo che teologicamente Dio Padre e Dio Figlio non fanno che un solo Dio. Questa unità è anche dimostrata dalla posizione che occupa questa resch di un disegno misto: la testa e l’asta sono poste in seno alle sillabe ebraiche di Iehovah e del digramma ebraico-greco de «L’Onnipotente». Questo curioso simbolismo è sostenuto dal diagramma dei punti posti a triangolo, richiamante la testa triangolare del segno 4 di Iehovah. Questi punti e le iniziali dell’editore, A.T., sono circondati dall’eternità, rappresentata dal cerchio O, che non ha né inizio né fine».
Reuchlin non pubblicherà che ventitré anni dopo la sua grande opera De arte cabalistica. A Ellenborg che, nel 1509, lo sollecitava a dire altre cose, rispondeva: «Non vi sarà ancora niente. La cabala è la più alta delle speculazioni; occorre innanzitutto avere una piena conoscenza della lingua santa, e devo prima preparare dei discepoli». Reuchlin ha appena pubblicato De rudimentis hebraicis, corredato dal famoso «Exegi monumentum ære perennius» di Orazio. La vendita ne fu peraltro difficile: nel 1510, ne rimanevano ancora 750 esemplari presso Amerbach. Nel 1512, pubblicò la traduzione del Qaarath Keseph, la coppa d’argento, di Joseph ben Hanan Ezobi, «il più dolce dei poeti ebrei», poema di morale didattica, che raccomanda con lo studio del Talmud, quello della grammatica, della versificazione e dello stile. E lo stesso anno, i salmi penitenziali con una traduzione ed un commentario. Oltre alle sue occupazioni, Reuchlin è in piena lotta per la questione del Talmud. E prepara il De arte. Nel 1513, scrive a Mutianus Rufus: «In questo momento la profezia attraverso lo spirito ci fa difetto. È quanto pressappoco scrive Giovanni Pico della Mirandola, il più colto e il più dotto di tutti i nostri contemporanei (cosa che tormenta la bile di molti sofisti) nella terzultima delle sue Conclusioni cabalistiche (della prima serie): «I saggi di Israele, dopo la cessazione della profezia attraverso lo spirito, profetizzarono attraverso la figlia della voce (Bath Kol)». Ed è così che ho trovato, da ormai quattordici anni, presso i vecchi cabalisti, questa nota su Proverbi XXX, 31 «Umlech alkum immo», che la nostra traduzione legge in modo improprio: «E non vi è re che gli resista». Ebbene questa antichissima scrittura: «Regnerà Alcum dopo di lui», alcuni ebrei l’hanno così interpretata: «Regnerà Alberto, Luigi, Conrad, Vrederic, Messia, dopo di lui», pensando che il loro Messia giungerebbe dopo Federico III, a causa della lettera M. Non immaginavano che Federico avrebbe avuto un erede di nome Massimiliano. L’avvenimento ha deluso i loro pensieri. Interpreterei che dopo Vrederic regnerebbe Massimiliano e, dopo di lui, un altro Federico. In quanto la lettera Vau in questo oracolo significa il digramma eolico, soprattutto quando si fa uso del Notariacon, che è la seconda forma di arte cabalistica. Ma ne tratteremo più tardi in un libro, se Dio accorda la pace ai nostri studi».enti, dei sette doni dello Spirito Santo, delle otto Beatitudini….

tratto da: http://www.zen-it.com/

Johannes Reuchlin e la cabala cristianaultima modifica: 2010-04-07T18:52:58+02:00da giovannisantoro
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