Miti e Leggende collegati ai Templari


Il Santo Graal

 

 

Il Santo Graal

 

 

L’origine del mito

 

Giuseppe di Arimatea

Uno dei miti più affascinanti e longevi di tutta la cultura dal Medioevo in poi è senza dubbio quello del Santo Graal. Le origini del mito si perdono nella storia: con tutta probabilità le leggende legate a “coppe” o “vasi sacri” erano già tramandate da lungo tempo per via orale da cantori, trovatori e menestrelli di corte, prima che lo scrittore Chretien de Troyes, alla fine del XII sec., lo inserisse in uno dei suoi romanzi, dando vita al cosiddetto “ciclo del Graal”. Infatti, attorno al 1190 egli scrisse “Perceval le Gallois ou le Compte du Graal“, ispirandosi alla ridda di leggende ed aneddoti preesistenti su coppe ed altri recipienti di carattere magico (di cui abbondava, ad esempio, la mitologia celtica: si pensi, ad esempio, al calderone magico di Bran). Nel romanzo, il cavaliere Parsifal, ospite nel castello del “Re Pescatore” Anfortas, assiste ad una strana processione in cui appare per la prima volta un mistico oggetto definito “Graal”, realizzato in oro puro e tempestato di pietre preziose. L’etimologia della parola viene fatta derivare dal latino “gradalis“, a sua volta desunto da un arcaico termine celtico che significa “calice”. Fu solo successivamente, intorno al 1202, con “Le Roman de l’Estoire du Graal” di Robert de Boron, che il Graal assume una connotazione cristiana, essendo identificato come il calice utilizzato da Gesù durante l’Ultima Cena, nel quale successivamente Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù crocefisso. Questa caratteristica conferisce al calice delle straordinarie virtù, come quella di guarire ogni male ed, addirittura, di donare l’immortalità a colui che ne beve e, soprattutto, che ne sia degno. Secondo una delle leggende più diffuse, il primo detentore del Santo Graal fu Giuseppe di Arimatea. Quest’uomo era un ricco ebreo, membro del Sinedrio, del quale non aveva condiviso la condanna di Gesù (Luca, 23, 50 e seg.); era egli stesso un discepolo di Gesù, “ma di nascosto, per timore dei Giudei” (Giovanni, 19, 38). Dopo la morte di Gesù, vinta la paura, si recò da Pilato e ne chiese ed ottenne la salma. Dopo che un altro uomo, Nicodemo, ebbe provveduto a cospargere il cadavere di aromi quali l’aloe e la mirra, Giuseppe lo avvolse in un lenzuolo (la Sacra Sindone) e lo depose nel sepolcro. Questo è quanto riportato dai Vangeli ufficiali. La leggenda aggiunge che egli raccolse anche alcune gocce del suo sangue in un calice, che poi portò con sé in Bretagna durante la sua predicazione del Vangelo. Secondo una versione inglese, Giuseppe si spinse con i suoi uomini fino all’isola di Avalon, l’odierna Glastonbury, e lì depose il calice. Esso passò poi nelle mani dei Templari, che l’avrebbero custodito nel castello di Montsalvat, dove sarebbe stato accessibile solo ai puri di cuore predestinati, che ne avrebbero tratto la salvezza celeste o, secondo altre tradizioni, l’immortalità. L’ultima e più enigmatica versione del mito è il “Parzival” del tedesco Wolfram Von Eschenbach (1200-1210 ca.). Parsifal irrompe nellaWolfram Von Eschenbach - Parzival vicenda come un giovane rozzo, perfetto rappresentante di una cavalleria dai modi brutali. Raggiunto il castello del Graal, fallisce nel tentativo di liberare il suo Guardiano, il Re Pescatore, misteriosamente ferito. Soltanto quando è allo stremo delle forze, umiliato, dopo aver abbandonato il mondo materiale e messo da parte il suo orgoglio, può chiedere pietà, liberare il Re Pescatore e trovare il suo Graal. In questo romanzo il Graal viene definito “Lapis exillis“, un’espressione che a lungo si è cercato di interpretare. Le ipotesi più diffuse sono due: la prima secondo cui si tratta dell’errata trascrizione di “Lapis exiliis“, cioè “Pietra dell’esilio”, a sottolineare il cammino spirituale cui deve giungere l’uomo per trasformarsi completamente e diventare degno di possedere il Graal. Altri autori, invece, ipotizzano che si tratta di una contrazione di “Lapis ex coelis“, ovvero “Pietra dal cielo”, riferendosi alla leggenda narrata dallo stesso Eschenbach secondo cui il Graal sarebbe stato intagliato da uno smeraldo caduto in terra dalla testa di Lucifero durante la precipitazione agli Inferi dopo la rivolta verso il Creatore. Tutto il filone legato a queste interpretazioni del Graal ha dato origine ad un vero e proprio ciclo di romanzi chiamato “ciclo del Graal”. Questo ciclo si inserisce e compenetra, a sua volta, un filone ancora più grande costituito da tutta la letteratura cavalleresca bretone, avente per protagonista il Re Artù, diventato sovrano dopo essere riuscito ad estrarre la famosa “Spada nella Roccia”, ed i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda: Parsifal, Lancillotto, Galahad, Tristano, ecc.

 

 

Il ruolo dei Catari

 

 

La Rocca di Montsegur

Una delle numerose tradizioni riferite al Graal, maggiormente diffusa tra la maggior parte degli studiosi moderni, è quella secondo cui le origini delle leggende sul Sacro Calice vanno ricercate nell’antica eresia gnostica dei Catari, una minaccia ed una crisi senza precedenti per la Chiesa, che sfociò in una guerra sanguinosa e brutale che ebbe il suo tragico epilogo a Montségur, ultimo rifugio e baluardo di difesa degli esponenti di questa dottrina. I Catari, o Perfetti, raccoglievano l’eredità degli antichi Gnostici che vivevano ad Alessandria d’Egitto all’inizio della nostra era, i cui principi e fondamenti religiosi ci sono pervenuti grazie al ritrovamento, nel 1945, di un mucchio di pergamene nascoste agli albori del Cristianesimo a Nag Hammadi, nei pressi del Mar Morto. Gli Gnostici ritenevano che il Dio biblico, creatore del Cielo e della Terra, fosse in realtà un dio minore, un falso dio, creatore soltanto della materia con la quale aveva oscurato il mondo reale, quello veramente divino. Creando l’uomo, egli l’ha imprigionato nella materia, e l’ha costretto ad una vita di sofferenza che termina con la morte. L’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, è talmente indaffarato a creare cose sempre nuove che non vede la scintilla divina che è in lui. Egli è però in grado di ritrovare la luce del divino se non in questa vita, in un’altra: gli Gnostici credevano nella reincarnazione. Per questo motivo, essi non riconoscevano alcuna autorità ecclesiastica, convinti della possibilità e della capacità dell’uomo di seguire esclusivamente la gnosi del proprio cuore, in un percorso così interiore e personale da non poter essere assolutamente delegato. Con il consiglio di Nicea, indetto dall’imperatore Costantino nel 324 d.C., la dottrina gnostica viene condannata come eretica e cominciarono le persecuzioni. Nel giro di un secolo, i seguaci di questa dottrina vennero letteralmente spazzati via. Alcuni si rifugiarono sulle montagne dell’Armenia, che li proteggerà per più di 500 anni; altri migrarono verso l’Europa: in Bulgaria, in Bosnia, ma soprattutto nel sud della Francia, in Linguadoca, dove trovarono nuovo terreno fertile. Siamo agli inizi del XI secolo: mentre il resto dell’Europa è ancora avvolto nelle tenebre del Medioevo, la Linguadoca è una regione fiorente e libera; vi si praticano le arti e si coltiva la letteratura. In questo clima libero e permissivo, si costituisce la comunità dei Catari, o Perfetti, che predicano il loro messaggio di amore spirituale. Rifiutano il benessere e il matrimonio e conducono una vita austera, che solo in pochi riescono a seguire, ma in un’epoca in cui all’uomo è assegnato uno scarsissimo valore essi predicano una via individuale per giungere a Dio. In queste regioni cominciano anche a diffondersi la poesia e la canzone; nascono i trovatori, che diffondono di corte in corte le loro storie di armi e di amori, e cominciano a diffondersi quelle tradizioni e quelle leggende che permeeranno tutta la letteratura del Graal. La Chiesa, preoccupata dell’eccessivo rifiorire dell’eresie che già avevano lungamente ed a fatica represso, non tardò a reagire. In quel periodo vennero istituiti alcuni ordini religiosi fondamentali per ripristinare la vera dottrina: nacquero i Francescani, istituiti nel 1209 per riconquistare il cuore dei poveri, ma fu soprattutto con l’ordine dei Domenicani, fondato da Domenico di Guzman nel 1215, che la Chiesa ideò il più terribile strumento di persecuzione delle eresie: la Santa Inquisizione. Contro i Catari venne scatenata una vera e propria crociata, che culminò, nel 1244, nella capitolazione, dopo un lungo assedio che era durato quasi un anno, della fortezza di Montségur, l’ultima roccaforte catara. Qui, secondo molti autori, s’innesta la leggenda del Graal: si tramanda che pochi giorni prima della capitolazione finale, alcuni esponenti della comunità catara riuscissero a fuggire dal castello ed a portare in salvo il loro tesoro più grande, che custodivano con grande ardore: proprio il Santo Graal. I Catari avrebbero ricevuto il calice da Maria Maddalena che, sempre secondo laMaria Maddalena tradizione, l’avrebbe portato con sé da Gerusalemme. La Maddalena approdò, al termine del suo viaggio, proprio nel Sud della Francia, in un paesino della Provenza di nome Ratis, diventato poi noto come Les-Saintes-Maries-de-la-Mer. La storia dei Catari e dei loro presunti rapporti con il Graal rimase dimenticata e nascosta per molti secoli, fino a che, agli inizi del XIX sec., non tornò alla ribalta, soprattutto grazie all’opera di numerose società occulte e gruppi esoterici legati alla dottrina catara, che avevano maturato un grande interesse per il Graal, simbolo di una ricerca segreta ed incarnazione della propria missione. In questo ambiente si distinse un giovane studioso tedesco, Otto Rahn, rampollo di una nazione divisa tra sogni di gloria e di potenza e il rancore di una guerra perduta. Raccogliendole testimonianze di esponenti di quelle stesse società segrete, Rahn scrisse un libro, destinato a sollevare un gran polverone: “Kreuzzug gegen der Graal” («Crociata contro il Graal», Saluzzo, 1979). Rahn, mentre si documentava per un saggio che doveva scrivere, lesse il “Parzival” e ne rimase affascinato. Wolfram Von Eschenbach era un cavaliere templare del XII sec, e nel “Parzival” i Templari erano dipinti come i “Custodi del Graal”. Le ricerche attorno a Montségur avevano portato Rahn a scoprire, in una grotta nella regione di Sabarthez, dei graffiti Templari accanto a emblemi Catari, che secondo le sue teorie confermava l’ipotesi, già da tempo avanzata, delle relazioni che, almeno per un certo periodo di tempo, esistettero tra i due gruppi. Nel suo libro Rahn sostenne che la tradizione secondo cui il Graal sarebbe stato custodito dai Templari nel castello di Castello di Munsalvaesche, o Montsalvat, (nome che significa “Morte Salvato”) indicasse in realtà che esso si trovava Otto Rahn (1904 - 1938)proprio in mano ai Catari, che lo nascondevano nei sotterranei del loro castello di Montségur (che significa, letteralmente, “Monte Sicuro”). Le sue teorie affascinarono gli alti esponenti del partito Nazista, molto interessati alle questioni esoteriche e, soprattutto, alle due più grandi reliquie della Cristianità: il Graal e la Lancia di Longino. Heinrich Himmler lo arruolò nelle SS. C’è chi dice che Rahn abbia veramente ritrovato il Graal, e che l’abbia portato in Germania dove fu custodito e venerato nel castello di Wewelsburg, centro esoterico e sede del dell’Ordine Nero dei Cavalieri di Himmler. In realtà nel castello l’oggetto venerato era probabilmente un simbolico calice di cristallo. Nel 13 Marzo del 1939 il corpo di Rahn venne ritrovato in fondo ad una scarpata tra le montagne dell’Austria, a Kitzbühel. L’episodio non fu mai ben chiarito: le tesi ufficiali parlano di suicidio, ma si è ipotizzato che si trattasse di un’esecuzione, dovuta al fatto che Rahn si era rivelato un personaggio scomodo. Sua nonna, infatti, era di origine ebrea e non possedeva la necessaria “purezza di razza” richiesta agli appartenenti dell’esclusiva elite delle SS.

 

 

Il Graal e le vicende di Rennes-le-Château

 

 

Emblema del Priorato di Sion

Una delle ultime ipotesi formulate a proposito del Graal, recentemente rilanciata dal successo del romanzo “Il Codice Da Vinci“, bestseller mondiale di Dan Brown, considera il Graal non come oggetto materiale, ma come simbolo. Gli scrittori M. Baigent, H. Lincoln e R. Leigh, nel libro “Il Santo Graal” (“The Holy Blood And The Holy Grail“, Londra, 1982) ipotizzano che la dicitura francese che da sempre ha identificato questo oggetto, “San Greal“, tradotta in Santo Graal, andrebbe in realtà letta come “Sang Real“, cioè “Sangue Reale”. Attraverso una serie di ragionamenti e di interpolazioni di fatti storici e di interpretazioni di passi dei Vangeli (sia, canonici, sia apocrifi) essi ipotizzano che Maria Maddalena fosse stata la moglie di Gesù, e da questi abbia avuto una discendenza. In quest’ottica, la tradizione secondo cui la Maddalena, dopo la morte di Gesù, sia emigrata in Francia portando con sé il Graal, andrebbe interpretata dicendo che ella fuggì in Europa portando con sé, in grembo, il figlio avuto da Gesù. La teoria, contrastata dalla Chiesa che naturalmente la ritiene eretica, ha ricevuto molti consensi in ambito esoterico, ed è salita alla ribalta con l’esplosione del caso legato alle vicende di Rennes-le-Château. Su questo argomento ormai esiste unaLa chiesetta di Rennes-le-Château vasta letteratura che ne analizza e ne sviscera ogni più piccola sfaccettatura. In questa sede ci limitiamo soltanto ad un breve accenno. Tra le numerose teorie sviluppate attorno agli avvenimento accaduti nel piccolo paese francese sul finire del XIX sec., spicca quella secondo cui un misterioso ordine segreto, legato ai Templari, sia sopravvissuto attraverso i secoli sotto vari nomi e aspetti diversi con lo scopo di proteggere e tramandare i discendenti di Gesù e Maria Maddalena, dai quali fu originata la stirpe dei Merovingi ed alla quale erano imparentate molte delle famiglie nobili d’Europa. Il nome di questo gruppo esoterico era Priorato di Sion; fondato da Goffredo di Buglione nel 1099, avrebbe vantato tra i suoi Gran Maestri figure di spicco come Nicolas Flamel, Sandro Botticelli, Leonardo Da Vinci, Robert Fludd, Isaac Newton e, per finire, ai giorni nostri, Victor Hugo, Claude Debussy e Jean Cocteau. Alcune recenti inchieste sulla vicenda hanno portato a scoprire che il Priorato di Sion, almeno quello (ri)fondato nel 1956 da Pierre Plantard ed i suoi soci, non sarebbe altro che una mistificazione, come falsi sarebbero anche i testi delle due pergamene ritrovate dall’abate Berenger Sauniere all’interno di un pilastro mentre si accingeva al restauro della piccola chiesa della Maddalena a Rennes. I due testi, che lasciavano intendere l’esistenza di un favoloso tesoro appartenente ai Merovingi ed al Priorato stesso, sarebbero opera di Philippe de Cherisey, socio di Plantard, come egli stesso avrebbe rivelato in un articolo della rivista “Circuit” nel 1978. Ma al di là delle mistificazioni e dell’intorbidamento della vicenda avvenuto nel secolo scorso (che potrebbe benissimo essere vista come un’elegante operazione di cover-up), non può essere escluso che nei secoli sia esistito davvero un gruppo esoterico clandestino convinto della reale discendenza del Cristo (il vero Graal) ed in base a queste convinzioni (vere o false che siano) abbia agito ed operato nella clandestinità, lasciando indizi ai pochi iniziati in grado di comprenderli, nelle loro opere (libri, dipinti, composizioni musicali, ecc.).

 


Miti e Leggende collegati ai Templariultima modifica: 2010-01-23T17:55:00+01:00da giovannisantoro
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