Breve analisi sul sigillo e sul motto templare

Tratto da Esonet.it

 


 

« Non Nobis, Domine, Non Nobis, Sed Nomine Tuo Da Gloriam »
« Non A Noi, Signore, Non A Noi, Ma Al Tuo Nome Dà Gloria »

 

Il motto bene esprime quella nota ispirata a devozione, coerente alla natura marziana dell’ordine, come vedremo più avanti, analizzando il sigillo. L’invocazione non lascia dubbi al singolo sull’oggetto concettuale che è al centro della propria scelta, come affiliato, rappresentato dall’ordine; infatti, l’uso del noi, spersonalizza il singolo per lasciare spazio ad una coscienza di gruppo, rappresentata solo dall’Ordine. Ancora più mistico è il senso che l’invocazione esprime, ovvero la totale fede nella volontà del Signore (Dio) e il rimettere nelle Sue mani, il proprio destino, così come Gesù il Nazareno fece nella sua ultima invocazione da uomo incarnato, prima di morire sulla croce, dove esclamò: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito». [1]

Più chiaramente, si riscontra la volontà a tendere verso il cielo, il proprio ideale e il sacrifizio di sé, verso quella gloria mistica, che così da vicino ricorda il mistero dell’elevazione eucaristica.

 

I simboli sono le forme esterne e visibili, delle realtà spirituali interiori e per ogni ricercatore sviluppare la facoltà di scoprire la realtà retrostante ogni forma specifica, significa sviluppare il proprio intuito (spirituale).

Il concetto sottostante un simbolo è sempre sintetico e perciò non suddiviso in parti. La sintesi è, invece, il complesso di più parti che, singole e molteplici, vengono organizzate in una prospettiva unitaria. Più parti essenziali, allora, fatte confluire in un medesimo punto mentale, concorrono a formare un tutto che rispetti, comunque, la loro essenzialità iniziale. Dunque, la sintesi è una prospettiva essenziale che, però, non è riassuntiva.

Il sigillo templare, così come ogni altro simbolo, è interpretabile su vari livelli. L’etico-morale (essoterico), il filosofico (concettuale o esoterico) e l’iniziatico, sono da ritenere, sicuramente, il percorso più indicato e di maggior interesse.

La prima considerazione da fare, è quella sulla forma del simbolo. La quale deve essere valutata nel suo valore geometrico, che determina il campo d’azione in cui è posto il concetto espresso dal simbolo. Nel nostro caso la forma geometrica è quella del cerchio ed il metallo scelto, anch’esso con il suo significato particolare è il ferro.

Il cerchio, o meglio la circonferenza, circoscrive uno spazio bidimensionale, mentre la sfera, tridimensionale, dimostra una dimensione unendo spazio a tempo.

Forma geometrica che più d’ogni altra esprime semplicità e pienezza, si distingue per l’assenza di punti che determinino una soluzione alla continuità della linea che la definisce, nel caso della circonferenza e l’assenza di linee a delimitare superfici, nel caso della sfera. Per queste evidenti ragioni ha sempre rappresentato la manifestazione, l’universalità. Vista come il contenitore dell’impulso dinamico generato dal punto – il centro – e che qualifica lo spazio delimitandolo, consente al moto (frutto dell’interazione delle forze centrifuga, irradiata dal punto ch’è il generatore centrale dell’universo, e centripeta, lo spazio energetico trattenuto dalla circonferenza) di creare forme e quindi rendersi visibile; quest’ultimo è ciò che chiamiamo manifestazione . La circonferenza, quindi, ma ancora meglio la sfera, sono la migliore rappresentazione geometrica del secondo aspetto della Trinità, noto come la Grande Madre. È, in ultima analisi, il simbolo di una dimensione mentale o di coscienza.

Tornando all’uso di questa forma per il sigillo in questione, possiamo affermare che il campo d’azione concettuale da esso indicato, ha una caratterizzazione d’universalità, espressa da principi, identificabili come tali proprio in virtù della loro semplice completezza .

Come anticipato sopra, anche il metallo usato per il sigillo, riconduce ad elementi specifici e indicativi, caratterizzanti l’istituzione per la quale costituisce l’emblema.

Il ferro nel linguaggio alchemico è in stretta correlazione con il pianeta Marte. Pianeta che nella Menorah è la terza luce ad essere accesa a rappresentazione della gerarchia planetaria. Marte, «la sfumatura arancione dell’Opera», è anche il pianeta rosso che esprime forza, che tende all’idealismo, allo sforzo e all’evoluzione, nella sua manifestazione altruistica ed inclusiva, ma più di frequente, dove domina una natura egoistica e separativa, è l’aspetto che tende al fanatismo distruttivo, alla guerra, al contrasto.

Da queste caratteristiche emergono due elementi forti e indicativi: l’idealismo mistico e l’arte della guerra, che entrambi distinsero l’Ordine templare, il quale bene seppe esprimere quella dualità, che poi ritroveremo, d’idealismo mistico di un corpo militarmente organizzato.

Secondo i dettami della Regola l’aspirante “Fratello” doveva sottostare ad un periodo di prova di un anno e prestare immediato giuramento di povertà, per cui, l’intero patrimonio del Cavaliere (o del Milite) veniva interamente devoluto all’Ordine.

La rappresentazione nel sigillo dei due Cavalieri in groppa ad un solo cavallo, è spesso stata interpretata come simbolo di questo voto di povertà. Ma l’interpretazione comune, appare troppo scontata e semplicistica per essere convincente, perché questo sigillo, considerato il più famoso e tipico dei templari, in realtà risale ad un secolo dopo la loro apparizione, quando non erano certo poveri – se mai lo sono stati. In realtà il voto di povertà indica con un’azione esteriore ciò che l’aspirante non è ancora in grado di compiere interiormente; è il principio della rinuncia, che giunge come risultato di un processo tutto interiore che ha visto sviluppate nell’aspirante facoltà quali il discernimento, il dominio delle passioni e la disciplina. La rinuncia al mondo della forma, per abbracciare la “causa dello spirito”, diventa allora un fatto spontaneo e non un sacrificio

Ciò che invece, appare subito evidente nella forma del cavallo (equus), è il riferimento all’ordine equestre cui sottintende il sigillo. La Fratellanza nel nome dell’Ordine è il primo ideale che governa questo Ordine cavalleresco con forti tendenze mistiche.

Fu Bernardo, abate di Clairvaux (Chiaravalle), in seguito santificato, che nel trattato “In lode della Nuova Cavalleria”, proclama che i Templari rappresentano l’apoteosi dei valori cristiani: «Una nuova cavalleria è apparsa nella terra dell’Incarnazione, è nuova, dico, e non ancora provata dal mondo, in cui conduce un duplice combattimento, a volte contro un avversario di carne e di sangue, a volte, contro lo spirito del male nei cieli. Che i cavalieri resistano con la forza del corpo a nemici corporali, io non ritengo stupefacente, giacché non lo considero raro. Ma che combattano con la forza dello spirito contro i vizi e i demoni, chiamerei ciò non solo meraviglioso, ma degno di tutte le lodi concesse ai religiosi». [2]

Nove anni dopo la fondazione dell’Ordine, i cavalieri che tornarono in Europa furono trionfalmente accolti grazie anche all’opera di san Bernardo da Chiaravalle. La Regola fu concessa il 31 gennaio 1128, data in cui Ugo de Payns si presentò al concilio di Troyes, dove i Templari ottennero il diritto di indossare i propri caratteristici mantelli bianchi [3]: essi ora erano oltre che cavalieri, anche monaci.

Una «milizia di Cristo», come veniva chiamata a quel tempo, che permise l’affermazione di un codice legato alla cavalleria, detto appunto Codice cavalleresco, il quale, di fatto, è l’espressione di un Codice d’onore. Con i Templari nasce, quindi, il primo Codice della cavalleria dei monaci-guerrieri, anche detta, cavalleria mistica.

Le due anime quella del monachesimo e quella militare convivono assieme, in eterna simbiosi, a cavallo dell’ordine equestre, in pratica dell’Ordine. Questo dovrebbe essere, il significato dei due uomini posti in arcione della medesima cavalcatura. Questo dovrebbe essere il significato dualistico, ma non conflittuale, posto in essere da ogni cavaliere templare.

L’aspetto mistico del religioso e quello guerriero del militare, non sono separati come in ogni altro Ordine iniziatico (aspetti a volte in competizione tra loro), ma sono sintetizzati tanto nell’ordine quanto in ogni singolo appartenente. Ogni dualità concorre a rappresentare la grande verità che si cela nella sintesi di ciò che è duale. I cavalieri in coppia, così come le Balie e le Commende (ogni Balia come ogni Commenda aveva la sua “casa sorella”), ma ancor di più il bianco e il nero del Baussant, lo stendardo del Tempio.

Tutto sembra voler sottolineare, e anche con una certa enfasi, quanto sia importante ciò che si cela dietro questa regola. Si tratta dell’ essenzialità, che nel suo significato esoterico, corrisponde al potere della sintesi: la sintesi a sua volta, sempre nell’impianto esoterico, esprime completamente la potenzialità e il dinamismo dell’aspetto volontà. La tendenza alla sintesi, in altre parole, l’impulso primario che tende all’unione e all’unificazione, è il primo fattore che rivela la natura divina nell’uomo. Per la natura superiore dell’uomo questo impulso, che si manifesta come perseguimento del bene comune, è caratteristico come il desiderio personale lo è per la natura inferiore dell’uomo.

Il concetto di condivisione, d’altronde, emerge fortemente dalla Regola che disciplinerà il comportamento degli affiliati all’Ordine del Tempio; condivisione che educa nella propria forma mentale il cavaliere, alla tendenza ad unificare la sua duplice natura (inferiore e superiore) anziché separare, e ciò costituisce il presupposto per giungere all’essenzialità come filosofia di vita.

La successiva visione “neo-templare”, appare priva dell’aspetto volontà del guerriero, così come dell’aspetto di devozione verso l’ideale.

Il significato più evidente dei moderni moti “neo-templari”, o di quanti a loro fanno riferimento, resta il ricordo, nel mito e nella leggenda, di una “vendetta”, che non si capisce come debba essere perpetrata né con quali strumenti, se non quelli intellettuali. Resta allora da considerare quale punto d’unione tra gli aspetti del passato templarismo e la morale del presente neotemplismo, il concetto di essenzialità. Forse, nell’abbattimento delle colonne (vedi articolo Totem mentali) effettuato dal cavaliere Kadosh, si può giungere a riconoscere una forte spinta dinamica, nell’abbattimento del superfluo e dell’ingannevole, o quell’essenzialità iniziatica, da molti scambiata per povertà.

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Nota

1. Vangelo Luca 23,46 (torna al testo)

2. Louis Charpentier: I Misteri dei Templari, Ed. Atanòr (torna al testo)

3. «Non è concesso a nessuno portare vesti bianche o mantelli bianchi, eccettuati I Cavalieri di Cristo» – Addison, History of Knights Templars.
«L’ordine non era costituito esclusivamente da cavalieri. Vi erano due classi minori una dei sergenti (laici, non aristocratici) che indossavano un mantello bruno; ed una di ecclesiastici, che si occupavano dei bisogni spirituali degli affiliati, si distinguevano dagli altri per il loro mantello verde». Knight-Lomas, La chiave di Hiram. (torna al testo)

Breve analisi sul sigillo e sul motto templareultima modifica: 2009-06-03T21:26:00+02:00da giovannisantoro
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