L’ESOTERISMO CRISTIANO – IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI “FEDELI D’AMORE” – I

René Guénon

INDICE:

Capitolo primo: A PROPOSITO DELLE LINGUE SACRE
Capitolo secondo: CRISTIANESIMO ED INIZIAZIONE
Capitolo terzo: I GUARDIANI DELLA TERRA SANTA
Capitolo quarto: IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI “FEDELI D’AMORE” – I
Capitolo quinto: IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI “FEDELI D’AMORE” – II
Capitolo sesto: NUOVE CONSIDERAZIONI SUL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE
Capitolo Settimo: “FEDELI D’AMORE” E “CORTI D’AMORE”
Capitolo ottavo: IL SANTO GRAAL
Capitolo nono: IL SACRO CUORE E LA LEGGENDA DEL SANTO GRAAL
Capitolo decimo: CRISTO

 

CAPITOLO QUARTO
IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI «FEDELI D’AMORE»
[Articolo pubblicato su Le Voile d’Isis, febbraio 1929]
I
Con il titolo: Il Linguaggio Segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore» [Roma, casa Ed. Optima, 1928], Luigi Valli, a cui si debbono parecchi studi sul significato dell’opera di Dante, ha pubblicato un nuovo lavoro che è troppo importante perché noi ci si accontenti di segnalarlo con una semplice nota bibliografica.
La tesi lì sostenuta può essere riassunta brevemente così: le diverse «donne» celebrate dai poeti si riallacciano alla misteriosa organizzazione dei «Fedeli d’Amore», e per Dante, Guido Cavalcanti ed altri loro contemporanei, fino a Boccaccio ed a Petrarca, non sono affatto delle donne realmente vissute su questa terra ma, con i nomi più diversi, sono tutte una sola e medesima «Donna» simbolica, che rappresenta l’Intelligenza trascendente (la Madonna Intelligenza di Dino Compagni) o la Saggezza Divina.
In appoggio a questa tesi l’autore presenta una documentazione formidabile ed una serie di argomentazioni adattissime a colpire i più scettici: in particolare, egli dimostra che le poesie più {in}intelligibili, dal punto di vista letterale, diventano perfettamente chiare se si accetta l’ipotesi dell’esistenza di un «gergo» o linguaggio convenzionale, del quale egli è riuscito a tradurre i termini principali; e fra altri casi simili egli ricorda quello dei Sufi persiani, i quali dissimulavano ugualmente dei significati similari sotto le apparenze di una semplice poesia amorosa. È impossibile riassumere tutte le argomentazioni, basate su dei dati precisi e che conferiscano al libro tutto il suo valore; a coloro che fossero interessati all’argomento possiamo solo consigliare di riferirsi direttamente al libro.
A dire il vero, tutto questo ci era sempre apparso come un fatto evidente ed incontestabile, tuttavia ci rendiamo conto che una tale tesi ha bisogno di essere solidalmente sostenuta. In effetti, Valli prevede che le sue conclusioni saranno contestate da diverse categorie di avversari: innanzi tutto dalla sedicente critica «positiva» (che egli ha il torto di qualificare come «tradizionale», quando invece essa è all’opposto dello spirito tradizionale); poi dallo spirito di parte, sia cattolico che anticattolico, che non potrà minimamente compiacersene; ed infine dalla critica «estetica» e dalla «retorica romantica» che, in fondo, non sono nient’altro di diverso di quello che si potrebbe chiamare spirito «letterario». Si tratta, insomma, di un ammasso di pregiudizi che si opporranno sempre fortemente alla ricerca del significato profondo di certe opere; ma, in presenza di lavori come questo del Valli, le persone di buona fede e libere da ogni partito preso potranno vedere facilmente da che parte sta la verità.
Da parte nostra dobbiamo solo sollevare delle obiezioni circa alcune interpretazioni, ma esse non intaccano minimamente la tesi generale; del resto, l’autore non ha avuto la pretesa di offrire una soluzione definitiva a tutte le
questioni da lui sollevate, ed è il primo a riconoscere che il suo lavoro avrà bisogno di essere corretto o completato su diversi punti particolari.
Il principale difetto di Valli, dal quale dipendono quasi tutte le insufficienze che notiamo nel suo lavoro, diciamolo subito molto chiaramente, è costituito dal fatto che egli non possiede la mentalità «iniziatica» necessaria per trattare a fondo un tale argomento. Il suo punto di vista è, in maniera troppo esclusiva, quello dello storico: e non basta «fare della storia» (p. 421) per risolvere certi problemi; d’altronde, ci si può chiedere se, in un certo senso, questo non equivalga ad interpretare le idee medioevali per mezzo della mentalità moderna, cioè la stessa cosa che, molto giustamente, l’autore rimprovera ai critici ufficiali; gli uomini del Medioevo hanno mai fatto «della storia per la storia» (p. 421)? Per queste cose è necessaria una comprensione di un ordine più profondo; se si è mossi da spirito ed intenzioni «profane» non si riuscirà a fare altro che accumulare del materiale che bisognerà sempre mettere a profitto con tutto un altro spirito; e noi non riusciamo a vedere bene che interesse potrebbe avere una ricerca storica che non fosse in grado di esprimere qualche verità dottrinale.
È veramente spiacevole che l’autore difetti di alcuni dati tradizionali: di una conoscenza diretta e, per così dire, «tecni-ca» delle cose di cui tratta. È questo che gli impedisce, in particolare, di riconoscere la portata propriamente iniziatica del nostro studio su l’Esoterismo di Dante (p.19); ed è per questo che egli non ha compreso che, dal punto di vista in cui noi ci poniamo, poco importa che tali «scoperte» siano dovute a Rossetti, ad Aroux o a chiunque altro, poiché noi li citiamo solo come dei «punti d’appoggio» per delle considerazioni di un ordine ben diverso: per noi si tratta di dottrina iniziatica non di storia letteraria.
A proposito di Rossetti, troviamo alquanto strana l’asserzione che egli sarebbe stato un «Rosacroce» (p. 16): i veri Rosacroce, che d’altronde non erano per niente di «discendenza gnostica» (p. 422), erano spariti dal mondo occidentale molto tempo prima dell’epoca in cui questi visse; anche se egli fu collegato a qualche organizzazione pseudo- rosacruciana, come ve ne sono tante, questa sicuramente non poteva avere, in nessun modo, alcuna tradizione autentica da comunicargli; del resto, la sua maggiore preoccupazione, che lo induceva a vedere dappertutto solo dei significati politici, si scontra con una simile ipotesi nella maniera più netta possibile. Valli ha del Rosacrucianesimo un’idea abbastanza superficiale e del tutto «semplicistica» e non sembra neanche sospettare l’esistenza del significato simbolico della Croce (p. 393), così come pare non abbia compreso bene il significato tradizionale del cuore (pp. 153-154), che è relativo all’intelletto e non al sentimento. A proposito del cuore, ricordiamo che il cor gentile dei «Fedeli d’Amore» è il cuore purificato, cioè libero da tutto ciò che concerne gli oggetti esteriori e per ciò stesso reso idoneo a ricevere l’illuminazione interiore; è considerevole il fatto che una dottrina identica la si ritrovi nel Taoismo.
Segnaliamo ancora degli altri aspetti che abbiamo notato nel corso della nostra lettura: vi sono, per esempio, alcuni riferimenti assai spiacevoli che sviliscono un lavoro serio; così, si sarebbero potuti trovare facilmente degli autori migliori di Mead, per lo gnosticismo (p. 87), di Marc Saunier, per il simbolismo dei numeri (p. 312) e soprattutto… di Leo Taxil, per la Massoneria (p. 272)! Quest’ultimo, d’altronde, è citato per una questione del tutto elementare: gli anni simbolici dei diversi gradi, che in effetti si possono trovare ovunque. Nello stesso passo, l’autore cita anche, rifacendosi a Rossetti, la «Recueil précieux de la Maçonnerie Adonhiramite», ma la citazione è fatta in maniera completamente errata, cosa che di-mostra come egli non conoscesse il libro direttamente.
Del resto, vi sarebbero molte riserve da fare su tutto quello che Valli dice sulla Massoneria, che egli, in maniera bizzarra, qualifica come «modernissima» (pp. 80 e 430): una organizzazione può aver «perduto lo spirito» (o quello che in arabo si chiama barakah) a causa dell’intrusione, in essa, della politica, o per altri motivi, e tuttavia può conservare intatto il suo simbolismo, né che abbia un’idea molto chiara della filiazione tradizionale: parlando delle diverse «correnti» (pp. 80-81), egli mescola l’esoterico all’exoterico e considera come fonte di ispirazione dei «Fedeli d’Amore» qualcosa che rappresenta solo delle anteriori infiltrazioni di una tradizione iniziatica nel mondo profano, mentre invece i «Fedeli d’Amore» si ricollegavano a quest’ultima direttamente. Le influenze discendono dal mondo iniziatico al mondo profano e non viceversa, così come un fiume non risale mai alla sua fonte; questa fonte è la «fontana d’insegnamento» di cui spesso si parla nei poemi di cui si tratta, ed essa è generalmente descritta come posta ai piedi di un albero, il quale, evidentemente, è l’«Albero della Vita» [Presso i «Fedeli d’Amore» quest’albero è generalmente un pino, un faggio o un lauro; l’«Albero della Vita» è rappresentato spesso per mezzo di alberi sempreverdi]; è in questo contesto che trova applicazione il simbolismo del «Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste».
Vi sono anche delle inesattezze di linguaggio che sono altrettanto spiacevoli: l’autore qualifica come «umane» (p.411) delle cose che invece sono essenzialmente «sopraumane», come d’altronde lo è tutto ciò che è veramente di ordine tradizionale ed iniziatico. Egli commette anche l’errore di chiamare «adepti» gli iniziati di un grado qualunque [I «Fedeli d’Amore» erano divisi in sette gradi (p. 64); questi sono i sette gradini della scala iniziatica che corrispondono ai sette cieli planetari ed alle sette arti liberali. Le espressioni «terzo cielo» (cielo di Venere), «terzo loco», (da paragonare con il termine massonico «terza camera» o «camera di mezzo») e «terzo grado», indicano il terzo grado della gerarchia, nel quale si riceveva il saluto (o la salute); questo rito si svolgeva sembra, all’epoca di Ognissanti, così come le iniziazioni si svolgevano a Pasqua, durante la quale si svolge l’azione della Divina Commedia (pp. 185-186)], quando invece questo appellativo deve essere riservato rigorosamente al grado più elevato; l’abuso di questo termine è particolarmente interessante da sottolineare, poiché costituisce come una sorta di «marchio»: vi sono un certo numero di errori che i «profani» difficilmente evitano di commettere, e questo è uno di quelli. A questo proposito, occorre ancora rilevare
l’impiego continuo di termini come «setta» e «settario», i quali, allorché vengono usati per indicare un’organizzazione iniziatica (e non religiosa) e ciò che vi si riferisce, sono del tutto impropri e decisamente sgradevoli [Non è la stessa cosa per il termine «gergo», checché taluni ne possano pensare; questo, come abbiamo già indicato (Le Voile d’Isis ottobre 1928), era un termine «tecnico» prima di passare nel linguaggio volgare, ove ha assunto un significato negativo. Con l’occasione, facciamo notare che il termine «profano» è da noi parimenti impiegato sempre nel suo senso tecnico, che, beninteso, non ha niente di ingiurioso]; e ciò ci conduce direttamente al più grave difetto che abbiamo notato nell’opera di Valli.
Questo difetto consiste nella costante confusione dei due punti di vista, «iniziatico» e «mistico», e nell’assimilazione ad una dottrina «religiosa» delle cose prese in esame, mentre invece l’esoterismo, anche quando prende come punto di partenza delle forme religiose (come nel caso dei Sufi e dei «Fedeli d’Amore»), appartiene in realtà ad un ordine del tutto diverso. Una tradizione veramente iniziatica non può essere «eterodossa», ed il qualificarla così (p. 393) significa invertire il rapporto normale e gerarchico che esiste fra l’interiore e l’esteriore. L’esoterismo non è contrario all’«ortodossia» (p. 104), anche se intesa semplicemente in senso religioso; esso è al di sopra o al di là del punto di vista religioso, e ciò, evidentemente, non è affatto la stessa cosa; ed in effetti, l’accusa ingiustificata di «eresia» fu spesso un comodo mezzo per sbarazzarsi di certa gente che poteva essere imbarazzante per tutt’altri motivi.
Rossetti ed Aroux non hanno torto nel pensare che le espressioni teologiche di Dante nascondono qualcos’altro, ma sono in errore allorché credono che occorra interpretarle «a rovescio» (p. 389); l’esoterismo si sovrappone all’exoterismo, ma non vi si oppone, poiché non si trova al suo stesso piano, ed esso dà alle medesime verità un significato più profondo, trasponendole in un ordine superiore. Certo si constata che Amor è il rovescio di Roma [A titolo di curiosità, se si scrive questa semplice frase: «In Italia è Roma», e la si legge a rovescio, essa diventa: «Amore ai Latini»; il «caso» è talvolta di un’ingegnosità sorprendente!], ma non se ne può concludere, come si è voluto fare talvolta, che esso indichi qualcosa che è l’antitesi di Roma, bensì che è qualcosa di cui Roma è solo un riflesso o una immagine visibile, necessariamente invertita, come lo è l’immagine di un oggetto in uno specchio (ed è questa l’occasione per ricordare il «per speculum in aenigmate» di San Paolo).
Per ciò che riguarda Rossetti ed Aroux, ed alcune riserve che è opportuno fare su certe loro interpretazioni, aggiungiamo che non è possibile dire che un metodo è «inaccettabile perché incontrollabile» (p. 389), senza rischiare di ricadere nei pregiudizi della critica «positiva»; perché allora bisognerebbe rigettare tutto ciò che si ottiene per conoscenza diretta e, in special modo, per mezzo della regolare comunicazione di un insegnamento tradizionale, il quale, in effetti, è incontrollabile… per i profani! [Bisogna proprio pensare che è molto difficile non lasciarsi influenzare dallo spirito dell’epoca: infatti, la qualificazione di certi libri biblici come «pseudo-salomonici» e «mistico-platonici» (p. 80) ci sembra proprio una spiacevole concessione all’esegesi moderna, cioè a quella stessa «critica positiva» contro la quale l’autore si leva a buona ragione].
La confusione fatta da Valli, fra esoterismo ed «eterodossia» è tanto più stupefacente se si pensa che egli ha quantomeno compreso, molto meglio dei suoi predecessori, che la dottrina dei «Fedeli d’Amore» non è affatto «anticattolica» (essa era invece, al pari di quella dei Rosacroce, rigorosamente «cattolica», nel vero senso della parola) e non aveva niente in comune con le correnti profane da cui sarebbe derivata la Riforma (pp. 79-80 e 409). Ma, dove ha visto il Valli che la Chiesa abbia fatto conoscere al volgo il senso profondo dei «misteri» (p. 101)? Al contrario, l’insegna così poco che si può dubitare che ne abbia conservato coscienza Essa stessa; ed è precisamente in questa «perdita dello spirito» che consisterebbe la «corruzione» già denunciata da Dante e dai suoi associati [La testa della Medusa, che trasforma gli uomini in «pietre» (parola che giuoca un ruolo molto importante nel linguaggio dei «Fedeli d’Amore»), rappresenta la corruzione della Saggezza; i suoi capelli (che secondo i Sufi simboleggiano i misteri divini) diventano dei serpenti, intesi naturalmente in senso negativo, poiché nel senso opposto il serpente è anche un simbolo della Saggezza stessa].
D’altronde, quand’essi parlavano di questa «corruzione», la più elementare prudenza esigeva che non lo facessero a chiare lettere, ma non se ne può concludere necessariamente che l’uso di una terminologia simbolica non ha altra ragion d’essere che la volontà di dissimulare il senso vero di una dottrina: vi sono delle cose che, per la loro stessa natura, possono essere espresse solo in questa forma; e questo aspetto del problema, che è della massima importanza, non sembra affatto che sia stato intravisto dall’autore. Vi è anche un terzo aspetto, in qualche modo intermedio, per il quale si tratta certo di prudenza, ma nell’interesse della stessa dottrina, e non più nell’interesse di coloro che la espongono; esso è quello a cui si riferisce, in particolare, il simbolo del vino presso i Sufi (il cui insegnamento, lo diciamo di sfuggita, può essere qualificato di «panteismo» solo per un errore tipicamente occidentale); nell’allusione a proposito di questo simbolo (pp. 72 e 104) il Valli non indica chiaramente che «vino» significa «mistero», cioè dottrina segreta o riservata, così come in ebraico iain e sod sono numericamente equivalenti e nell’esoterismo mussulmano il vino è la «bevanda dell’élite» che non può essere usata impunemente dagli uomini volgari [La proverbiale espressione «bere come un Templare», che il volgo ha inteso nel senso più grossolanamente letterale, trae sicuramente origine da qui: il «vino» che bevevano i Templari era lo stesso di quello bevuto dai Kabbalisti].
Ma torniamo alla confusione fra il punto di vista «mistico, e quello «iniziatico»: essa è solidale con la precedente, poiché è proprio la falsa assimilazione delle dottrine esoteriche al misticismo, il quale è relativo al dominio religioso, che conduce fino a porre sullo stesso piano esoterismo ed exoterismo, ed a volerli come in opposizione. Comprendiamo
perfettamente, in questo caso, il perché di tale confusione: una tradizione «cavalleresca» (p. 146), per adattarsi alla natura propria degli uomini a cui è particolarmente destinata, comporta sempre la prevalenza di un principio che si configura come femminile (Madonna) [L’«intelletto attivo», rappresentato dalla Madonna, è il «raggio celeste» che costituisce il legame fra Dio e l’uomo e che conduce l’uomo a Dio (p. 54): esso è la Buddhi indù. Peraltro, occorre considerare che «Saggezza» e «Intelligenza» non sono esattamente la stessa cosa, si tratta di due aspetti complementari che vanno distinti (Hokmah e Binah nella Kabbala)], così come l’intervento di un elemento affettivo (Amore). L’accostamento fra una tale forma tradizionale e quella rappresentata dai Sufi persiani è del tutto esatta, ma occorre aggiungere che questi due casi sono lontani dall’essere i soli ove è presente il culto della «donna-divinità», cioè dell’aspetto femminile del Divino: lo si ritrova anche nell’India, ove questo aspetto è designato come la Shakti, equivalente per certi aspetti alla Shekinah ebraica, ed è opportuno notare che il culto della Shakti concerne soprattutto gli Kshatriya. Per l’esattezza, una tradizione «cavalleresca» non è altro che una forma tradizionale ad uso degli Kshatriya, ed è per questo che essa non è una via puramente intellettuale, come quella dei Brahmani; quest’ultima è la «via secca» degli alchimisti, mentre l’altra è la «via umida» [In un altro senso e secondo un’altra correlazione, queste due vie potrebbero essere anche quella degli iniziati in generale e quella dei mistici, ma quest’ultima è «irregolare» e non può essere considerata quando ci si attiene strettamente alla norma tradizionale], ove l’acqua simboleggia il femminile, come il fuoco simboleggia il maschile, corrispondendo, la prima all’emotività e la seconda all’intellettualità, le quali predominano rispettivamente nella natura degli Kshatriya e dei Brahmani. Ecco perché una tale tradizione può sembrare mistica, esteriormente, anche quando in effetti è iniziatica; tanto che si potrebbe anche pensare che il misticismo, nel senso ordinario del termine, è come un vestigio o una «sopravvivenza» di tale tradizione, vestigio rimasto, in una civiltà come l’occidentale, dopo la sparizione di ogni altra organizzazione tradizionale regolare.
Il ruolo del principio femminile in certe forme tradizionali si constata anche nell’exoterismo cattolico, attraverso l’importanza che in esso è data al culto della Vergine. Valli sembra stupirsi nel vedere la Rosa Mystica figurare nelle litanie della Vergine (p. 393); tuttavia, in queste litanie, vi sono ben altri simboli propriamente iniziatici e sembrerebbe che egli non sospetti neanche che la loro applicazione è perfettamente giustificata dalle relazioni esistenti fra la Vergine, la Saggezza e la Shekinah [Bisogna anche ricordare che, in certi casi, gli stessi simboli rappresentano sia la Vergine che il Cristo; si tratta di un enigma degno di essere proposto alla sagacia dei ricercatori, e la cui soluzione risulterebbe dalla considerazione dei rapporti fra la Shekinah e Metatron]. A questo proposito notiamo anche che San Bernardo, di cui si conosce la stretta relazione con i Templari, si presentava come un «cavaliere della Vergine», che egli chiamava «mia donna», ed a lui si attribuisce l’origine stessa del vocabolo «Notre-Dame», che è pure Madonna e che, in uno dei suoi aspetti si identifica con la Saggezza, dunque con la stessa Madonna dei «Fedeli d’Amore»; ecco ancora un accostamento che l’autore non ha sospettato, come sembra non sospettare le ragioni per cui il mese di maggio è consacrato alla Vergine. Vi è una cosa che avrebbe dovuto indurre Valli a pensare che le dottrine in questione non hanno niente a che vedere col «misticismo»: ed è che egli stesso constata l’importanza quasi esclusiva che in esse è data alla «conoscenza» (pp. 421-422), cosa questa che è totalmente estranea al punto di vista mistico. D’altra parte, egli finisce solo col trarne delle conseguenze errate: l’importanza data alla «conoscenza» non è una speciale caratteristica dello «gnosticismo», ma è un carattere comune a tutti gli insegnamenti iniziatici, al di là della forma che essi possano assumere; la conoscenza è sempre lo scopo unico, e tutto il resto è solo un mezzo per pervenire ad essa. Bisogna guardarsi bene dal confondere «Gnosi», che significa «conoscenza», con «gnosticismo», nonostante quest’ultimo termine derivi evidentemente dal primo; d’altronde la denominazione di «gnosticismo» è assai vaga, ed in effetti sembra che sia applicata indistintamente a delle cose molto diverse [Valli dice che la «critica» apprezza poco i dati tradizionali degli «gnostici» contemporanei (p. 422); per una volta la «critica» ha ragione, poiché questi «neo-gnostici» non hanno mai ricevuto alcunché a mezzo di una qualunque trasmissione, e si tratta solo di un tentativo di «ricostruzione» fatto sulla base di documenti, d’altronde molto frammentari, che sono alla portata di tutti; si può ben credere alla testimonianza di chi ha avuto l’occasione di osservare queste cose da molto vicino e di conoscere quindi di cosa realmente si tratta].
Non bisogna lasciarsi imprigionare dalle forme esteriori, qualunque esse siano; i «Fedeli d’Amore» erano in grado di andare al di là di queste forme, ed eccone una prova: in una delle prime novelle del Decamerone di Boccaccio, Melchise-dec afferma che tra il Giudaismo, il Cristianesimo e l’Islamismo, «nessuno sa quale sia la vera fede». Valli ha visto giusto interpretando questa affermazione nel senso che «la vera fede è nascosta fra gli aspetti esterni delle diverse credenze» (p. 433); ma quello che è da sottolineare in modo particolare, e che l’autore non ha notato, è che queste parole siano poste in bocca a Melchisedec, che è precisamente il rappresentante della tradizione unica, nascosta sotto tutte queste forme esteriori; e si tratta qui di qualcosa che dimostra a sufficienza come alcuni, in Occidente ed in quell’epoca, sapessero ancora che cos’è il vero «Centro del Mondo». Comunque sia, l’impiego di un linguaggio «affettivo», come è spesso quello dei «Fedeli d’Amore» è anch’esso qualcosa di esteriore da cui non bisogna farsi ingannare, esso può benissimo nascondere qualcosa di ben più profondo, ed in particolare, la parola «Amore», in virtù della trasposizione analogica, può significare tutt’altra cosa che il sentimento che esso indica ordinariamente.
Questo senso profondo dell’«Amore», in connessione con le dottrine degli Ordini cavallereschi, potrebbe risultare, spe-cialmente, dall’accostamento delle seguenti indicazioni: innanzitutto, le parole di San Giovanni: «Dio è Amore»; poi, il grido di guerra dei Templari: «Viva Dio Santo Amore»; ed infine, l’ultimo verso della Divina Commedia: «L’Amor che muove il Sole e l’altre stelle» [A proposito degli ordini cavallereschi, la «Chiesa giovannita» indica la riunione di tutti
coloro che a qualunque titolo si riallacciano a ciò che nel Medioevo fu chiamato il «Regno del Prete Gianni», al quale abbiamo accennato nel nostro studio su Il Re del Mondo].
A questo proposito, un altro punto interessante è quello del rapporto che, nel simbolismo dei «Fedeli d’Amore», esiste fra l’«Amore» e la «Morte»; esso è un rapporto duplice, poiché la parola «Morte» ha essa stessa un duplice significato. Per un verso, fra l’«Amore» e la «Morte» vi è un accostamento e quasi un’associazione (p. 159), la seconda è intesa allora come «morte iniziatica»; e questo accostamento sembra si sia mantenuto in seno a quella corrente da cui sono nate, alla fine del Medioevo, le raffigurazioni della «danza macabra» [In un antico cimitero del XV secolo, abbiamo visto dei capitelli nelle cui sculture sono curiosamente riuniti gli attributi dell’Amore e della Morte]; per l’altro, vi è anche un’antitesi, fissata attraverso un altro punto di vista (p. 166), la quale si può spiegare, in parte, attraverso la stessa costituzione dei due termini: in entrambi è presente la radice mor, ma in a-mor essa è preceduta dalla a privativa, come nel sanscrito a-mara, a-mrita, di modo che «Amore» può interpretarsi come una sorta di equivalente geroglifico di «immortalità». Seguendo allora lo stesso senso, i «morti», in generale, possono essere considerati come i profani, mentre i «viventi», o coloro che hanno ottenuto l’«immortalità», sono gli iniziati; e qui è il caso di ricordare che l’espressione «Terra dei Viventi» è sinonimo di «Terra Santa» o «Terra dei Santi», «Terra Pura», ecc., mentre la stessa opposizione da noi indicata equivale, sotto questo profilo, a quella fra l’Inferno, che è il mondo profano, ed i Cieli, che sono i gradi della gerarchia iniziatica.
Per quanto riguarda la «vera fede», di cui si parla continuamente, è essa che viene designata come Fede Santa, espressione che, al pari della parola Amore, si applica anche alla stessa organizzazione iniziatica. Questa Fede Santa, di cui Dante era Kadosch, è la fede dei «Fedeli d’Amore» ed è anche la Fede dei Santi, cioè l’Emunah dei Kadosch, così come abbiamo spiegato ne L’Esoterismo di Dante. Questa designazione degli iniziati come dei «Santi», di cui Kadosch è l’equivalente ebraico, si comprende perfettamente attraverso il significato dei «Cieli», così come l’abbiamo indicato precedentemente, poiché i Cieli sono, in effetti, descritti come il soggiorno dei santi; e tale designazione dev’essere accostata a molte altre analoghe, come Puri, Perfetti, Catari, Sufi, Ikhwan-es-Safa, ecc., tutte prese nello stesso senso; ciò permette anche di comprendere cosa sia veramente la «Terra Santa» [Non è forse senza interesse segnalare, inoltre, che le iniziali F.S. possono essere anche lette Fides Sapientia, esatta traduzione della Pistis Sophia gnostica].
Questo ci induce a segnalare un altro punto, al quale Valli allude solo troppo brevemente (pp. 323-324): si tratta del significato segreto dei pellegrinaggi, riferito alle peregrinazioni degli iniziati, i cui itinerari, d’altronde, spesso coincidevano in realtà con quelli dei comuni pellegrini, con i quali potevano così confondersi esteriormente, tanto da poter dissimulare meglio le vere ragioni dei loro viaggi. Del resto, a questo proposito, occorre anche tenere conto della ubicazione dei luoghi di pellegrinaggio, la quale, come per i santuari dell’antichità, ha un valore esoterico [Grillot de Givry ha pubblicato sull’argomento uno studio dal titolo: Les Foyers du mysticisme populaire, ne Le Voile d’Isis, Parigi, aprile 1920]; ciò è in diretta relazione con quello che abbiamo chiamato «geografia sacra», e dev’essere accostato a quanto abbiamo scritto a proposito dei Compagnoni e degli Zingari [Le Compagnonnage et les Bohémiens, ne Le Voile d’Isis, Parigi, ottobre 1928 (Oggi: Il Compagnonaggio e gli Zingari, inserito nella raccolta di Studi sulla Massoneria)]. Sull’argomento, forse, ritorneremo in altra occasione.
La questione della «Terra Santa» potrebbe anche fornire la chiave per comprendere i rapporti fra Dante, i «Fedeli d’Amore» ed i Templari; è questo un altro degli argomenti che Valli ha trattato in modo incompleto. Egli considera giustamente che questi rapporti con i Templari (pp. 423-426), ed anche con gli alchimisti (p. 248), siano di una realtà incontestabile, e fornisce alcuni accostamenti interessanti, come, per esempio, quello dei nove anni di probazione dei Templari con l’età simbolica di nove anni nella Vita Nuova (p. 274); ma avrebbe potuto dire ben altre cose sull’argomento. Così, a proposito della residenza centrale dei Templari, stabilita a Cipro (pp. 261 e 425), sarebbe curioso studiare il significato del nome di quest’isola, i suoi rapporti con Venere ed il «terzo cielo», nonché il simbolismo del rame, da cui deriva lo stesso nome; tutte cose sulle quali, per il momento, non possiamo soffermarci e che ci limitiamo a segnalare.
Anche a proposito dell’obbligo imposto ai «Fedeli d’Amore» di impiegare nei loro scritti la forma poetica (p. 155), sarebbe il caso di chiedersi perché gli antichi chiamavano la poesia: la «lingua degli Dei»; perché Vates in latino era sia il poeta che il divinatore o il profeta (d’altronde, gli oracoli erano enunciati in versi); perché in latino i versi erano chiamati carmina (ammaliamenti, incantamenti; termine identico al Karma sanscrito, inteso nel senso tecnico di «atto rituale») [Rita, in sanscrito, è ciò che è conforme all’ordine, senso che è rimasto nell’avverbio latino rite; l’ordine cosmico è qui rappresentato a mezzo della legge del ritmo]; e perché di Salomone e di altri saggi è detto, in particolare nella tradizione mussulmana, che comprendessero la «Lingua degli uccelli», la quale, per quanto strano possa sembrare, non è che un altro nome della «lingua degli Dei» [La stessa cosa si ritrova anche nelle leggende germaniche].
Prima di ultimare queste note, dobbiamo spendere qualche parola sull’interpretazione della Divina Commedia che Valli ha sviluppato in altre opere e che qui ha solo riassunto: le simmetrie della Croce e dell’Aquila (pp. 382-384), su cui è interamente basata tale interpretazione, chiariscono certamente una parte del significato del poema (d’altronde conforme alla conclusione del De Monarchia) [Cfr. Autorità Spirituale e Potere Temporale, cap. VIII], ma in esso vi sono molte altre cose che con tali simmetrie non potrebbero essere spiegate completamente, basta pensare all’impiego dei numeri simbolici; sembra che l’autore, a torto, le consideri come una chiave unica, sufficiente a risolvere tutte le difficoltà. D’altra parte, l’uso di queste «connessioni strutturali» (p. 388) gli appare come un’originalità di Dante, quando invece in
questa «architettura» simbolica vi è qualcosa di essenzialmente tradizionale, che, pur non facendo parte, forse, degli abituali modi di esposizione dei «Fedeli d’Amore» propriamente detti, nondimeno esisteva in seno a delle organizzazioni più o meno strettamente apparentate con la loro e si riallacciava alla stessa arte dei costruttori [Segnaliamo l’espressione massonica «pezzo d’architettura», che si applica, nel senso più vero, all’opera di Dante]; tuttavia, sembra che l’autore abbia intuito qualcosa di questi rapporti, allorché suggerisce che «lo studio del simbolismo nelle arti figurative» (p. 406) potrebbe essere d’aiuto per le ricerche di cui si tratta. D’altronde, occorrerebbe che in questo caso, come per tutto il resto, si mettesse da parte ogni preoccupazione «estetica» (p. 389), solo allora si potrebbero scoprire ben altre comparazioni, talvolta parecchio inaspettate [Pensiamo in particolare ad alcune delle considerazioni contenute nel curiosissimo libro di Pierre Piobb su Le Secret de Nostradamus, Parigi, 1927].
Se ci siamo tanto dilungati sul libro di Luigi Valli è perché esso è uno di quelli che merita veramente di essere preso in considerazione, e se noi ne abbiamo soprattutto segnalato le lacune è perché, così facendo, abbiamo avuto modo di indicare, all’autore o ad altri, delle nuove direzioni di ricerca, suscettibili di completare felicemente i risultati già raggiunti. Sembra che sia giunto il tempo in cui finalmente si svelerà il vero significato dell’opera di Dante; se le interpretazioni di Rossetti e di Aroux non furono prese sul serio nella loro epoca, ciò forse non fu dovuto al fatto che gli spiriti fossero meno preparati di adesso, ma piuttosto perché era previsto che il segreto rimanesse nascosto per sei secoli (il Naros caldeo); Valli parla spesso di questi sei secoli durante i quali Dante non è stato compreso, ma evidentemente senza vedervi alcun particolare significato, e ciò prova ancora una volta che per gli studi di questo genere è necessaria una conoscenza delle «leggi cicliche», così del tutto dimenticate dall’Occidente moderno.

L’ESOTERISMO CRISTIANO – IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI “FEDELI D’AMORE” – Iultima modifica: 2011-05-06T14:29:56+02:00da giovannisantoro
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