Il libro chiuso di Big Fish.

tratto da: http://www.riflessioni.it/

L’alchemico cantastorie.

All’uscita del mio articolo su “La Fabbrica di Cioccolato”, un amico mi ha scritto: «ho visto il film ed ho apprezzato molto il tuo articolo. Di Tim Burton mi ha molto colpito “Big Fish”, che naturalmente avrai visto». In realtà quel titolo non l’avevo mai sentito prima. Perciò mi riproposi (così risposi all’e-mail del mio amico), che l’avrei noleggiato in dvd appena possibile, insieme ad altri titoli da lui consigliatimi. Però si sa come vanno queste cose: un amico ti consiglia dei film, un altro dei libri, un altro ancora dei posti da visitare… in più ci sono i film, i libri e i posti che vuoi scoprire tu, e quelli in cui ti imbatti casualmente, e che si rivelano talmente carichi di novità e interesse da non lasciarti tempo per altro… in sostanza, sapevo che prima delle vacanze di natale non avrei noleggiato quei dvd.

In realtà (la vita lo dimostra costantemente a chi è capace di prestarle attenzione) se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. Nella fattispecie, mentre io tra i vari pensieri non avevo ancora trovato il tempo per andare a noleggiare i film, “Big Fish” è venuto da me… proiettato in prima serata su rete4, il 29 dicembre. Perciò, dopo averlo visto, posso rispondere al mio amico che sì, questo film è sicuramente un capolavoro della simbologia, e lo ringrazio nuovamente per avermi consigliato di guardarlo.

Dopo questo doveroso prologo, proverò dunque ad accostarmi agli alti significati ermetici di questo grande film, premettendo come sempre che ciò che potrò dire non sarà che la punta di un iceberg. Non è per caso che utilizzo questa parola: proprio ad un iceberg, infatti, di cui notoriamente è visibile soltanto l’apice, ovvero un modesto 10%, viene paragonato il protagonista di “Big Fish” in un dialogo del film. Il comicamente complesso quanto drammaticamente semplice personaggio è tale Edward Bloom. Come spesso è il caso nelle storie a sfondo esoterico (lo abbiamo già visto diverse volte) il ruolo di un personaggio è occultato (o, al contrario, chiaramente palesato?) fin nel nome. In questo caso, “Edward”, dal sassone “Ead”, ricchezza, e “Ward”, guardiano, significa dunque “Guardiano della ricchezza”. A questo nome è associato, fra i colori, il rosso, fra i metalli, l’oro. “Bloom”, significa invece, in inglese, “Fiore”, “Essere fiorito”, “Essere sbocciato” o “Essere raggiante”.

Ora, è ben noto in simbologia che quasi tutte le tradizioni mistiche, religiose o esoteriche, utilizzano un fiore come simbolo di ottenimento della gnosi (dal fior di loto in Oriente, alla rosa cristiana, ma penso soprattutto alla Pietra Filosofale, chiamata anche Fiore dei Fiori).

Mi pare chiaro che se accettiamo la natura simbolica di “Big Fish”, il nome del suo protagonista indichi dunque un individuo che abbia ottenuto grandi tesori spirituali, che abbia in qualche modo portato a termine un’opera di palingenesi interiore e sia divenuto possessore del mitico Fiore dei Fiori.

Ma forse stiamo correndo troppo, senza prima porre una necessaria discernita a questo nostro tentativo ermeneutico: “Big Fish”, come ogni storia simbolica, può, non deve, essere interpretato. La facoltà ermeneutica (interpretativa) è cioè un potere, non un dovere. L’Alchimia, in alcune illustrazioni, figurava come una dama reggente due libri: in una mano essa recava un volume aperto, nell’altra un volume chiuso. Così, ogni “storia alchemica”, può essere letta dai profani, che ne coglieranno un significato, e dagli iniziati, che ne coglieranno un altro. Nel caso di “Big Fish”, la cosiddetta “morale della favola” può benissimo restare quella “immediata”, quella suggerita essotericamente dal film, quella riportata in Wikipedia, ovvero: «Edward Bloom crede che un uomo, a furia di raccontare delle storie, diventi lui stesso quelle storie. Infatti è solito narrare, fra lo stupore di chi lo circonda, storie fantastiche e assurde riguardanti la sua vita: dall’incontro con un lupo mannaro, a quello con una strega con un occhio di vetro capace di mostrare alle persone che vi guardano dentro il momento della propria morte. Suo figlio William, però, non apprezza questa sua presunta mancanza di serietà e per questo con il tempo si allontana da suo padre. Quando Edward si ammala gravemente Will intraprende un personale viaggio alla scoperta della vita del padre che lo porterà a scoprire il gusto del racconto e che le storie raccontate dal padre hanno più verità di quanta se ne potesse immaginare!».

Certo, se dopo aver visto “Big Fish” questo vi basta, nessuno dice che tale interpretazione non sia giusta. Semplicemente, essa è il “libro aperto”. L’essoterismo appunto. Quel che cercheremo di leggere in questa sede, invece, è il “libro chiuso”, l’esoterismo del racconto.

In uno dei dialoghi fra Edward e suo figlio William, quest’ultimo chiede al padre di raccontargli, per una volta, prima di morire, la storia della sua vita al di là delle favole e delle infantili peripezie di cui l’ha circondata. In realtà, la vita alchemica e interiore (perché è di questo che si tratta) di Edward Bloom, non può che essere raccontata in forma di fiaba e simbolo! È questo il linguaggio dell’Ars Regia. Ogni apprendista vorrebbe che il maestro Alchimista spiegasse l’Opera “denudandola” dal suo aspetto simbolico, allegorico, onirico e favolistico, ma questo è semplicemente impossibile: non si può comprendere l’Alchimia se non accostandosi al suo linguaggio fantastico, alla sua immaginazione, all’irrazionalità del suo modo di esprimersi. Per questo l’unico modo di conoscere la vita di Edward Bloom è accettarla per come si presenta, senza voler dividere, scremare, razionalizzare.

Infatti l’Iniziato, Edward, scegliendo (questa è la grande eresia) di non percorrere il sentiero già tracciato, di non accettare la vita vuota, sterile, artificiale e stereotipata proposta dalla società (e non stiamo parlando di vita esteriore ma interiore); sceglie altresì di diventare quella misteriosa leggenda che il profano, William, non comprende e non accetta.

E la scelta di abbandonare il percorso già tracciato è simbolizzata dalla trasgressione iniziale (comune a tutte le storie ermetiche), che porterà Edward insieme a pochi altri ragazzini, ad avventurarsi presso l’oscura e solitaria dimora di una strega, temuta dalla gente come “divoratrice di bambini”. Sono pochi infatti coloro che si avventurano sulla via della Scienza segreta, dissuasi, più ancora che dall’ignorarla, dalle raccomandazioni dei “benpensanti”, che associano Alchimia a stregoneria, follia, diavoleria. E proprio come molti fra i neofiti vengono scoraggiati prima di fare il loro ingresso nel “tempio” dell’Arte, così fra i ragazzini arrivati alla casa della strega solo Edward avrà il coraggio di attraversare il giardino e bussare alla porta. E siccome “a chi bussa sarà aperto”, così infatti la strega aprirà, ad un ancora intimidito Edward Bloom, le porte della sua dimora. Una strega che si rivela innocua, e per di più latrice di importanti rivelazioni.


ParcheStregaEssa ci viene mostrata da Burton simile ad una delle tre Moire. Le Moire, o Parche, erano figure della mitologia grecoromana, «figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke. Ad esse era connessa l’esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile. Erano tre: Cloto, che filava lo stame della vita; Lachesi, che lo svolgeva sul fuso e Atropo che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini» (da Wikipedia). Una delle caratteristiche delle tre sorelle, era di condividere un solo occhio.

La strega di “Big Fish”, ha un occhio di vetro dal magico potere: chi lo guarda vi scorge il momento della propria morte. Tre ragazzini guarderanno l’occhio di vetro: uno di essi scopre che morirà giovane a causa di complicazioni cardiache, un altro che morirà da anziano, cadendo da una scala. L’ultimo è Edrward. Nel film non ci viene mostrato quel che vede nell’occhio, ma la sua reazione ci mostra grande serenità. Anzi, proprio la visione sembra dargli una serenità altrimenti impensabile.

In realtà, Edward è l’Iniziato che, osservando nell’occhio della strega, non si è soffermato sull’aspetto esteriore, mondano, della morte. In altre parole, non ha osservato ciò che nel grande mistero della morte poteva riguardare la sua persona profana (l’età o il modo di morire), ma al contrario sembra aver colto un significato più profondo, una Consapevolezza sulla natura della vita e della morte. Ricordiamoci che lo scopo dell’Alchimia non è di formare dei superuomini ma degli uomini Consapevoli.

Sarà questa Consapevolezza a guidare il giovane Edward nell’affrontare, in seguito, il gigante, i ragni, i serpenti e le sanguisughe, gli alberi semoventi, il lupo mannaro e la guerra… “non è così che avviene” (la mia morte), si ripete in questi casi il nostro protagonista, lasciando intendere ai più che egli conosca le circostanze del suo decesso, mentre invece egli conosce La Morte, il suo significato, la sua natura.

Ma andiamo per gradi: Edward, ancora ragazzino, si accorge di crescere con incredibile rapidità, tant’è che il suo corpo ottiene un aspetto maturo e “adulto” in soli tre anni. Sub specie interioritatis, è forse il suo “Corpo di Luce”, il suo “Osservatore”, il suo “Poimandres”, a formarsi e svilupparsi in modo così rapido dopo aver incontrato la strega. Poiché la Coscienza può dimorare in stato embrionale e dormiente in un individuo per lunghissimi anni, per poi sbocciare e dispiegarsi in modo rapidissimo quando viene accesa la scintilla della nascita interiore, chiamata anche, nei testi buddisti, “Bodhicitta”, “Pensiero del Risveglio”.

Cosciente che il suo villaggio, la sua cerchia, non è più in grado di soddisfare le necessità del suo destino, della sua “leggenda”, Edward decide di intraprendere un viaggio. Ma ancora una volta questo non andrebbe inteso come un viaggio nel senso esteriore, bensì del misterioso pellegrinaggio spirituale che conduce ai Misteri. Prima di partire, si offre di liberare il villaggio dalla minaccia di un gigante che fa strage di greggi e devasta i campi impaurendo la popolazione.

PolifemoBig Fish giganteIl ragazzo si avvia quindi verso l’antro del gigante, e lo incontra. Ma ben presto si rende conto che Carl, questo il suo nome, non è certo un malvagio mangiauomini, bensì la prima vittima di sé stesso, o meglio della propria fame. Edward spiega a Carl che è normale che nella piccola realtà del villaggio non trovi adeguate risorse alimentari, e gli consiglia di migrare in una grande città. Non solo: si propone di partire insieme a lui (lasciare il paese, come abbiamo detto, era già nei suoi piani).Carl significa “Uomo”. L’Uomo è qui paragonato ad un gigante dalla fame smisurata, che devasta ogni cosa nella speranza di saziarsi, ma che solo elevando la propria fame verso più alti orizzonti potrà trovare la propria realizzazione. Dunque, prima di tutto il gigante deve “uscire dalla caverna” (con tutti i rimandi al mito platonico che ciò sottintende), in secondo luogo lasciare il villaggio per migrare in città. E qui entra in gioco la metafora del pesce rosso usata nel film da Edward per descrivere la propria situazione: le dimensioni di un pesce rosso dipendono dalla grandezza del suo acquario. Non si tratta, mi sembra evidente, di migrare dalla campagna alla città nel senso “geografico” del viaggio, bensì di trasporre il proprio habitat su un più evoluto livello di esistenza, che ci offra nuove mete, nuove risorse. È la trasmutazione del desiderio, dell’ambizione, dell’aspirazione. Trasmutazione dovuta proprio alla Bodhicitta, che altrove ho definito “morte di Uroboro” (il desiderio centrifugo, rivolto all’esterno) e “nascita di Ureo” (il desiderio centripeto, rivolto all’interno). Quel “punto interno” è la “città” cui tende Edward, e perciò il luogo in cui vuole condurre il gigante (Carl, l’Uomo interiore). Solo allora si potrà comprendere che l’uomo è realmente un gigante, se intendiamo con ciò la sua statura nel contesto dell’intera creazione. Nel Corano, Dio invita tutti gli angeli ad inchinarsi all’ultima delle sue creazioni, Adamo.

Alla sua partenza Edward riceve le chiavi del villaggio (una chiave d’oro che il sindaco gli sistema al collo come ciondolo), oltre alla promessa della più calorosa accoglienza quando fosse tornato. Ricordiamoci infatti che ogni “viaggio iniziatico”, si svolge in una dimensione interna, non prevede (necessariamente) un reale allontanamento dalla terra natia. In qualche modo, è come se l’iniziato scoprisse una chiave che gli permetta di “andare e tornare” dal proprio paese d’origine senza mai fisicamente spostarsi, né rimanere “assente” da quel luogo; poiché egli non perde la sua “maschera”, la sua “persona sociale”, né si estrania e smette di partecipare alla propria vita esteriore, tutt’altro. È forse proprio grazie alla sua nuova vita interiore che può realmente iniziare a partecipare “da desto” alla vita esteriore.

selvaMa, dicevamo, la chiave gli permette di aprire una nuova porta, che dà su un mondo totalmente sconosciuto e oscuro. Eppure, (come afferma Edward nel film), com’è difficile procedere nel buio! Scegliendo di percorrere la strada sterrata che passa dalle paludi, egli si rende ben presto conto di quanto sia profonda tale oscurità. Edward si ritrova nella selva oscura, ed incomincia la sua Nigredo, la sua “discesa” nelle profondità di sé stesso.

Alla fine, dopo aver affrontato l’oscurità e il disorientamento, Edward trova o meglio riesce a far luce sul suo “luogo” interiore, il villaggio chiamato infatti Specter. Specter, spettro, dal latino “spèctrum”, letteralmente “lo strumento per vedere”, che non è l’occhio, poiché noi non vedremmo nulla dai soli occhi se questi non fossero legati al “meccanismo interiore” che ci permette di trasformare le immagini in informazioni coscienziali.

Come chi entra in un tempio, o calpesta un luogo ritenuto sacro, e come Mosé di fronte al roveto ardente, chi si incammina per le vie di Specter deve “togliere i propri calzari”, a sottolineare la natura “intangibile”, “incorporea” del luogo.

Tuttavia, Specter (dove pure Edward avrà modo di fare alcuni interessanti incontri ed esperienze di valore simbolico) è appunto un “mezzo per vedere”, non una meta, non La meta del viandante in ogni caso. La “realtà interiore” percepita in stato meditativo-introspettivo non è il luogo ultimo del cammino di un Iniziato, anche se molti fra coloro che giungono a Specter vi si fermano. Edward inizia a “popolare” la sua realtà interiore, ma non è in questo “limbo” che dovrà dimorare. È necessario che Specter sia il gradino, la soglia, il preludio di un oltre.

Perciò, Edward riprende lesto il suo cammino, e ritrovando il gigante, Carl, sulla via, raggiunge con esso il tendone di un circo.


BeatriceVisioneIl circo rappresenta qui, alchemicamente, l’inizio dei processi veri e propri. Laddove prima abbiamo parlato di “scoperta”, ora comincia l’azione. Laddove prima era “Visita Interiora Terrae”, ora comincia il “Rectificando”, l’iter di creazione interiore, che porterà alla scoperta dell’“Occultum Lapidem”. In ciò consiste infatti la Grande Opera, secondo il celebre acrostico: Visita Interiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem (Visita le profondità della terra e, rettificando, troverai la Pietra Nascosta).

Al circo, Edward scorge la donna di cui si innamora perdutamente, ma che, disgraziatamente, scompare prima che lui riesca a parlarle o conoscerne il nome. Questo colpo di fulmine e la sua trasposizione scenica evoca palesemente l’amore per la Donna Angelo degli stilnovisti: l’episodio è privo di ogni connotazione fisica, passionale e sensuale. È una vera e propria folgorazione mistica, platonica, eterica. È chiaro che non si parla di una donna carnale, bensì della “Beatrice” di Edward. L’Alchimista scorge la Sophia e ne diviene l’amante. È la “Luna” o “Argento” dei Filosofi, è la Luce e la Gnosi anelata dai ricercatori.

Ma la visione, come dicevamo, scompare rapida come è venuta, lasciando Edward nella desolazione e l’improvvisa, invincibile, necessità di ritrovare quella ragazza che ha rapito il suo cuore con uno sguardo. Scoprendo che il proprietario del circo conosce la donna, decide di mettersi al suo servizio, pretendendo come unica remunerazione, che l’uomo gli riveli ogni mese un’informazione riguardante la sua amata. La metafora è chiara: l’Alchimista, dovrà conoscere poco a poco la Sophia di cui è cercatore, attraverso il paziente lavoro interiore e una progressiva serie di intuizioni rivelatrici.

Nei servizi che Edward presta al proprietario del circo, riconosciamo degli importanti simboli ermetici: domare il leone, ad esempio (cfr. articolo “Il Sacrificio del Leone”), o lavare un uomo grassissimo immerso in una vasca, chiaro simbolo del “lavacro” e della “sgrossatura” della Pietra.

splendor solisuomo vasca

Le informazioni ottenute durante la permanenza al circo sono importanti, ma l’ultima è quella imprescindibile: nome e cognome, che non saranno rivelati ad Edward se non dopo che egli avrà affrontato il nero Lupo saturnino, simbolo della conclusione della Nigredo (Edward scoprirà infatti che il proprietario del circo è un lupo mannaro). A Edward viene offerta una pistola per uccidere il lupo, ma questi rifiuta di sopprimere l’animale (il quale del resto custodisce ancora il nome segreto dell’amata), preferendo ammansirlo attraverso il gioco…

Il lupo torna uomo, e rivela ad Edward che la ragazza si chiama Sandra Templeton. “Sandra”, diminutivo di Alessandra, nome di origine greca, significa “Protettrice dell’Uomo”, “Custode dell’Uomo”, “Difesa dell’Uomo”. Mentre “Templeton” deriva dall’inglese antico, e significa “Insediamento del Tempio”, “Stabilimento del Tempio”.

Fra le altre informazioni, Edward aveva saputo che Sandra si trovava attualmente al college, ed è lì che la cerca, e la trova, dichiarandosi. Il fatto che la ragazza sia già promessa in sposa ad un altro uomo avrebbe scoraggiato chiunque (pensa fra sé il nostro protagonista), chiunque tranne un matto. Ma Edward si rende conto di essere proprio quel Matto (figura cara agli iniziati) che non desisterà dal proposito, e che infatti ben presto riuscirà a superare gli ostacoli che impedivano il matrimonio (cfr. anche “Le Nozze Chimiche di Renzo e Lucia”).

Tim Burton sembra non aver lasciato proprio nulla al caso nel realizzare la meravigliosa parabola alchemica che è “Big Fish”:  lo vediamo nei personaggi, nei luoghi, nell’azione, nei dialoghi… e anche nei dettagli. L’esempio forse più significativo, riguarda l’iscrizione posta sull’ala dell’internato femminile del college: “sdo”. Un’iscrizione che probabilmente passerebbe inosservata, ma che cela un importante segreto. “Sigma Omega Delta”, ricorda molto da vicino il nome di una importante soriority universitaria dell’Oregon, “Sigma Delta Omega”. Tuttavia, come vediamo, la Omega e la Delta, in “Big Fish”, appaiono invertite, a formare il nome di una soriority in realtà inesistente. Ebbene, la parola inglese “sod”, (oltre ad avere dei significati scurrili), significa guardacaso “zolla di terra”. Il fatto che questa parola sia incisa sulla dimora di Sandra, lascia intendere che Edward abbia trovato la propria Sophia all’interno di una “zolla di terra”, e questo è notoriamente uno dei maggiori arcani riguardanti la ricerca e la scoperta dell’alchemica Materia Prima, rinvenuta in una simbolica “zolla”, “limo”, “fango”. Proprio in questa “Terra Nera” è celata la Luce dei Filosofi. Nel nostro caso, Sandra Templeton.

androgino alchemicosorelle siamesiDopo aver sposato colei che amava, dopo essersi congiunto alla sua Sophia,  Edward riceve la chiamata alle armi e deve partire per la guerra, dove incontrerà delle gemelle siamesi, simbolo quanto mai palese dell’ottenimento del Rebis (letteralmente “La cosa doppia”, nome che gli Alchimisti davano all’Androgino, il loro Cinabro o Doppio Mercurio). Edward aiuterà le gemelle a lasciare quei luoghi devastati dalla guerra, scappando insieme a loro.

In altre parole, l’Iniziato che abbia ottenuto il Rebis ovvero la sintesi degli opposti (operando cioè la cosiddetta conjunctio oppositorum), potrà grazie ad esso evadere-elevarsi da ogni conflitto (guerra), poiché vi è conflitto laddove la coscienza non è in grado di comprendere la realtà in modo non-duale.

Ottenendo la percezione della realtà Una, l’Alchimista “muore” al Sé individuale, ricordando (dal latino “tornare al cuore”) di essere egli stesso l’Uno, il Tutto. Per questo, mentre Edward fugge insieme alle gemelle per tornare da Sandra, quest’ultima riceve dall’esercito una lettera in cui viene informata del decesso del marito.

Lascio a voi il piacere di scoprire ed interpretare il finale della storia. Tuttavia, prima di concludere l’articolo, vorrei soffermarmi sul motivo principale del film, che sembra percorre la trama in tutto il suo svolgimento, a partire dal titolo: Big Fish, il Grande Pesce. Così viene chiamato Edward Bloom, così si identifica lui stesso.

pietro pescebig fish pesceCerto, “big fish” in inglese significa anche “bugiardo”, “millantatore”, nel significato di “colui che racconta storie fantasiose”. È facile intuire l’origine di questo modo di dire: i racconti “esagerati” dei pescatori che descrivono le loro prede. Questo potrebbe spiegare il titolo del film dal punto di vista essoterico.

Ma occultamente, questo “Big Fish” potrebbe ben rappresentare l’Oannes mesopotamico, il Maestro Interiore che emerge (come un pesce) dagli abissi dell’inconscio, se risvegliato. Infatti, in uno dei racconti cruciali del film, Edward Bloom pesca (con le proprie mani, non con una canna da pesca) un immenso pescegatto, dalla cui bocca estrarrà un anello d’oro. Un episodio che molto richiama la storia biblica di Tobia, e quella di San Pietro e la moneta del tributo, e che indica all’Alchimista la necessità di trarre l’Oro filosofico di cui va in cerca, dalla bocca di questo misterioso abitante dei nostri abissi, il Pesce del “Mare Nostrum”.

Sebastiano B. Brocchi

Il libro chiuso di Big Fish.ultima modifica: 2010-04-05T16:23:00+02:00da giovannisantoro
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