Ettore Ferrari Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia 1904–1917


Anna Maria Isastia

 

 

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Il pensiero mazziniano ha segnato profondamente la massoneria italiana per più di mezzo secolo. Dal 1871 al 1919 i Grandi Maestri che si sono succeduti sono stati tutti di formazione mazziniana: da Mazzoni a Petroni a Lemmi a Nathan a Ferrari così come di matrice mazziniana era il loro progetto sociale e pedagogico. Non può stupire, quindi, il rilevare una marcata continuità nella linea politica di fondo del GOI, dovuta alla comune formazione politica e alla insostituibile presenza, a capo della struttura amministrativa, per circa mezzo secolo, di un uomo come Ulisse Bacci, anche lui repubblicano e mazziniano, uomo di profonda cultura, memoria storica della massoneria italiana e simbolo di continuità.
Chiusasi l’età di Lemmi con profonde lacerazioni che avevano portato ad una drastica diminuzione delle logge e alla separazione da Roma di molti fratelli lombardi e livornesi, Nathan cercò di riportare la pace all’interno salvaguardando una posizione di medietà che non risolse i problemi. Ferrari portò in loggia, come tanti della sua generazione, valori e impegno sociale che si coniugavano perfettamente col ben noto trinomio libertà, uguaglianza, fraternità. Era stato iniziato nel 1881 nella loggia romana «Rienzi» dove aveva operato insieme a personaggi come Antonio Labriola, Mario Panizza, Ulisse Bacci. Nel giugno 1896, quando Ernesto Nathan divenne Gran Maestro, fu eletto suo Aggiunto (carica cui rinunciò per fare il Gran Segretario). Nel 1900 fu eletto nuovamente Gran Maestro Aggiunto. Infine, il 15 febbraio 1904 divenne Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. La carica gli fu riconfermata nelle elezioni del 1906 e poi del 1912.
Ferrari impresse alla Comunione italiana una spinta democratica molto forte. Subentrava a Nathan che, di formazione anglosassone e attento amministratore, aveva cercato di esaltare il compito pedagogico–educativo e filantropico–umanitario dell’Istituzione, prendendo le distanze dai programmi politici dei partiti e da ogni forma di estremismo. Ferrari, invece, visse il proprio impegno politico sia da militante del partito repubblicano, sia da artista, sia da massone. E lo storico, non avendo strumenti per studiare l’aspetto introspettivo tradizionale – difficilmente conoscibile all’esterno, tipico delle antiche scuole iniziatiche, che dovette essergli proprio se chi lo conobbe lo definì profondamente religioso – può solo studiarne il programma politico che, per lui, era anche ideale etico.
Appena insediato, Ferrari chiarì quello che a suo giudizio era il compito dell’Istituzione. «Io ritengo» disse «che la Massoneria debba sollecita volgere l’opera sua a sorreggere ed incoraggiare le energie popolari tendenti al trionfo di una legislazione sociale che, unendo il dovere al diritto, alla libertà la giustizia, al lavoro quel compenso che permette l’intiero sviluppo delle facoltà fisiche e morali, tenda ad un’azione riformatrice e pacificatrice nelle contese tra capitale e lavoro». Si impegnò a combattere i conservatori legati ai clericali affermando che «i massoni non possono essere alleati con chi è nemico del progresso civile». Promise grande e costante attenzione alla scuola e ai maestri e, coerentemente, rafforzò le funzioni della Commissione dell’Istruzione insieme a quella della Solidarietà, centrali nel suo programma 1.
Democratico convinto, Ferrari dichiarò che avrebbe decentrato ai membri di Giunta molti compiti di ordinaria amministrazione, avviando un lavoro effettivamente collegiale. Pochi mesi dopo l’inizio della sua gran maestranza, il mondo politico italiano subì un profondo scossone dovuto al primo sciopero generale proclamato in Italia dal 15 al 21 settembre. Le elezioni politiche che si svolsero subito dopo, sull’onda della paura suscitata nei ceti borghesi dall’azione di forza socialista, portarono alle urne, per la prima volta, un nutrito gruppo di cattolici – che fino ad allora si erano astenuti dal voto politico in ubbidienza ai dettami del papa – , che diedero il loro voto ai candidati governativi. Sul fronte dell’Estrema invece i forti contrasti tra radicali, socialisti e repubblicani resero difficile un’alleanza elettorale.
Erano i prodromi di un significativo cambiamento nella vita politica del paese, che Ferrari cercò di arginare, almeno tra i massoni. Da quel momento considerò impegno prioritario impedire «la formazione in Italia di un partito cattolico politico» 2. Egli previde la nascita di questa formazione ma ritenne suo preciso dovere tentare di contenerla e se possibile respingerla. La questione si poneva in termini esclusivamente politici che esulavano completamente da qualunque problematica religiosa.
Ferrari ricordava che lo Stato era fondato su basi che la Chiesa condannava e che erano: «la libertà di coscienza, l’assoluta separazione dell’autorità civile dall’ecclesiastica, la perfetta laicità della scuola, la sincera applicazione delle leggi sulle corporazioni religiose e la conversione di tutte le Opere pie a scopi civili». La massoneria poteva e doveva cooperare per il raggiungimento di questi scopi informando e rafforzando la coscienza italiana, creando cioè le basi del consenso. Tutti i massoni dovevano sentirsi impegnati come ribadì in una lettera circolare di enorme importanza:
«I Fratelli…devono appoggiare e favorire qualunque iniziativa di qualsiasi partito, intesa a combattere un privilegio, ad affermare un principio di eguaglianza e di libertà; ma è loro vietato, anche nelle forme più indirette, qualsivoglia compromesso coi clericali. Agli errori e alle colpe seguiranno giudizi solleciti e rigorosi: poiché, è bene ripeterlo a noi stessi, la solidarietà massonica non si spinge a salvare gl’indegni, né a protezioni fuor di ogni ragione di evidente e riconosciuta giustizia. La Massoneria non cuopre colpe o debolezze; è scuola di abnegazione e di alta moralità: pur intendendo a far prevalere le proprie aspirazioni, non è mezzo alla conquista degli uffici pubblici: i Fratelli che vi pervengono, ove sulla soglia di essi lasciassero i loro principii di libertà, devono essere e saranno raggiunti dalla condanna dell’Ordine.
Ed a quelli che sperano vantaggi personali dall’ingresso nella nostra Famiglia, la Massoneria rivolge questo ammonimento: non fidatevi delle lusinghe che possono essere nelle calunnie diffuse contro i massoni, perché sareste presto ed amaramente disillusi!» 3
Il maggiore impegno politico richiesto da Ferrari alle logge non fu naturalmente senza conseguenze. Se Nathan aveva voluto che la massoneria prendesse le distanze dal movimento delle società per il libero pensiero, Ferrari offrì ampia collaborazione a Ghisleri che aveva dato vita alla sezione italiana della Federazione Internazionale del Libero pensiero che stava organizzando a Roma per il 20 settembre 4 di quell’anno il congresso internazionale del movimento. L’anticlericalismo permetteva a Ghisleri, esponente di primo piano dell’ala intransigente del partito, fortemente critica nei confronti dei repubblicani romani, quasi tutti massoni, di trovare un punto di incontro con Ettore Ferrari, Salvatore Barzilai, Pilade Mazza, Carlo Berlenda, esponenti di punta dell’ala «governativa» del partito. Alla fine di maggio la Giunta decise che il GOI avrebbe aderito al congresso invitando tutte le logge a fare altrettanto. Fu costituita anche una commissione incaricata di preparare un solenne ricevimento massonico per i fratelli che sarebbero giunti dall’Italia e dall’estero e una grande manifestazione commemorativa del 20 settembre. Sul fronte anticlericale si concretizzava dunque una prima forma di incontro tra uomini in aperto conflitto sul piano politico 5.
Il rinnovato impegno pubblico del GOI dava anche il via ad una più aspra campagna antimassonica che partiva da presupposti antitetici ma che arrivava a conclusioni univoche. I partiti democratici attaccavano una massoneria giudicata troppo moderata e «governativa», tesa a disarmare la spinta rivoluzionaria del socialismo e del repubblicanesimo. Non a caso nel congresso di Bologna del 1904, per la prima volta i socialisti tentarono di far approvare una norma tesa ad impedire la doppia appartenenza 6. Sul fronte opposto i cattolici continuavano nei loro attacchi al progressismo riformista e al laicismo dei massoni.
A maggio 1904 la Giunta del GOI discusse il problema dei provvedimenti da adottare per difendere la massoneria dalle accuse che pubblicamente le si muovevano 7. Il GOI si trovò a dover difendere la sua linea anche da quei fratelli che per convinzione o convenienza non la condividevano. All’indomani delle elezioni politiche furono messi sotto processo massonico quanti avevano appoggiato o si erano fatti appoggiare da cattolici. A Roma furono colpiti sette fratelli di logge diverse che avevano dato la loro adesione alla presentazione della candidatura clerico–moderata di Felice Santini nel II collegio della capitale 8. A Parma il giornalista Emilio Faelli fu invece accusato di aver patteggiato la sua elezione col partito clericale. Zanardelliano e favorevole alla legge sul divorzio Faelli trovò in Giunta molti difensori tra cui il Gran maestro aggiunto e presidente della Serenissima Gran Loggia di rito simbolico, il radicale lombardo Adolfo Engel, che espresse il parere che «alla massoneria non convenga prestar facile orecchio alle accuse di patteggiamenti col clericalismo, che si lanciano dai partiti estremi a molti dei suoi fratelli, per non correre il rischio di allontanare forze valide e di ridursi a poco a poco ad essere la espressione di un determinato partito politico» 9.
Purtroppo la saggia considerazione di Engel non fu tenuta nel dovuto conto, con la conseguenza che negli anni successivi ogni elezione amministrativa o politica fu seguita da una strascico di attacchi di singoli fratelli o di intere logge ad altri fratelli, delazioni, processi massonici e condanne all’espulsione dall’Ordine di quanti, ed erano tanti, preferivano prendere posizione a favore del mondo cattolico piuttosto che di quello socialista.
I primi processi massonici risalgono, come abbiamo detto, alle elezioni del 1904, seguiti, nel decennio successivo, da una fitta serie di denunce contro fratelli accusati di collusione con i clericali. Uno dei casi più eclatanti fu quello di Torino dove uomini come i deputati Tommaso Villa e Edoardo Daneo, i senatori Giacinto Cibrario e Angelo Rossi, tutti massoni anche se inattivi, furono espulsi per aver dato il loro appoggio ai clericali nelle amministrative 10.
Appena eletto, Ferrari si trovò anche di fronte alla questione Nasi, che fu affrontata e risolta con sospetta velocità, lasciando strascichi che, ancora alla vigilia della prima guerra mondiale, non erano stati assorbiti. Nunzio Nasi, deputato di Trapani, ministro delle Poste e poi della Pubblica istruzione, rappresentante della sinistra parlamentare, sembrava destinato ad essere il più autorevole antagonista, e successore, di Giolitti alla direzione del Governo italiano. Coinvolto in uno scandalo amministrativo fu condannato per peculato nel 1908. Successivamente, riabilitato, fu riammesso alla Camera nel 1913. Fu Nasi, con circolare ai Provveditori e ad altre autorità scolastiche dell’8 marzo 1903, a consigliare l’adozione dei Doveri dell’uomo di Mazzini, che Nathan sollecitava da anni, nelle scuole del Regno, suscitando molte perplessità e proteste.
La Giunta del GOI affrontò la questione Nasi nella primavera del 1904 arrivando rapidamente alla condanna di quello che era stato il presidente della Gran Loggia del rito simbolico dal 1899 al 1902 e fondatore della prima loggia romana del suo rito. Ciraolo nel 1913 affermò che Nasi era «vittima di un odio e di una persecuzione politica implacabile» 11. Leti anni dopo scriverà che a giudizio di molti, i giudici massoni del tempo erano stati troppo severi 12. A distanza di tanti anni la questione resta aperta. Perché il GOI si affrettò ad espellere un suo esponente di primo piano?
La nuova linea politica instaurata dalla Giunta Ferrari permise di risolvere il contenzioso aperto da anni con alcune logge milanesi che alla fine dell’800 si erano staccate da Roma, costituendo il Grande Oriente Italiano di Malachia De Cristoforis, che aveva ottenuto il riconoscimento del Grand Orient de France nel 1898 13. Fu un indubbio successo che riportò, nel 1905, nella comunione italiana, tutte le logge dissidenti, ma che impresse all’Ordine una ulteriore spinta nella direzione del radicalismo politico. Il gruppo di De Cristoforis aveva chiesto una riduzione delle contribuzioni per permettere un più ampio reclutamento, una riduzione delle formalità di rito, «un maggiore sviluppo dell’opera della massoneria nella vita pubblica» 14. Il Gran Maestro chiosò le richieste del gruppo dissidente di Milano ricordando che c’era già stata una riduzione delle tasse e che «la massoneria italiana aveva già da tempo accentuata l’opera sua nella vita pubblica».
L’influenza dei fratelli del nord apparve evidente nell’Assemblea costituente del 1906 che riconfermò Ferrari alla gran maestranza e votò le nuove costituzioni. L’articolo 1 recitava: «La massoneria universale intende al perfezionamento morale, intellettuale e materiale dell’umana famiglia». Aggiungendo poi: «La comunione italiana, non discostandosi nei principi e nel fine da quanto l’ordine mondiale professa e si propone, propugna il principio democratico nell’ordine politico e sociale». Per difendere la democrazia, si impegnavano i massoni che occupavano incarichi pubblici a «conformare la propria azione al programma massonico» (art.23) 15.
Si trattava di norme completamente nuove che formalizzavano la politicizzazione dell’ordine in senso dichiaratamente democratico, creando nel contempo le premesse del suo progressivo indebolimento perché contemporaneamente fu ribadita l’assoluta indipendenza della massoneria dal governo dello Stato 16 , e la sua separazione dai partiti democratici. I massoni dichiaravano di sentirsi impegnati a combattere da soli per la piena conquista della libertà e dell’uguaglianza sociale, mostrandosi sempre antesignani di ogni progresso. L’aggiunta all’art. 1 fu imposta dai massoni di Milano, Torino, Genova contro la volontà dei membri di Giunta che avevano cercato di opporsi alla sua approvazione 17.
Forte della riunificazione della Istituzione e dell’appoggio di larga parte della base, appena rieletto Gran Maestro, Ferrari confermò, ancora una volta, che la Massoneria doveva «combattere ogni forma di reazione, rompere ogni catena che avvinca la coscienza al dogma e propugnare la sovranità dello Stato laico e civile» 18. La Massoneria di conseguenza era aperta a tutti, purché non fossero reazionari.
Ferrari vedeva con preoccupazione le prime presenze di personalità del mondo cattolico a feste civili, trovava inaccettabile che un senatore del regno, Fogazzaro, potesse accettare supinamente la condanna all’Indice dei libri proibiti del suo romanzo Il Santo 19. Mentre i massoni attaccavano i clericali, preoccupati dello spazio politico che stavano conquistando, erano, a loro volta, attaccati da una parte dei socialisti e dei repubblicani, tra le cui fila pure militavano tanti fratelli.
Appare francamente quasi inestricabile il nodo storiografico rappresentato dal rapporto partiti–GOI tra ottocento e novecento. Fra i repubblicani, ad esempio, sono massoni personaggi che agiscono in piena sintonia con le direttive dei vertici del GOI, come Barzilai o Bovio e altri che, all’opposto, perseguono una linea politica dichiaratamente d’opposizione, come Comandini o Pirolini 20 per non parlare di antimassoni dichiarati come Albani o Ghisleri 21 , che però ricercò l’appoggio di Ferrari alle iniziative della sezione italiana della Federazione Internazionale del Libero Pensiero da lui diretta.
Al congresso socialista di Bologna del 1904 l’attacco alla massoneria fu portato da Francesco Betti di Massa che fino all’anno prima era stato uno dei notabili dell’Ordine in sede locale e proprio in loggia, finché nel 1901 non era stata costituita una sezione del partito, aveva tenuto anche le riunioni politiche. Al riguardo credo sia molto significativo quanto scriveva nel 1914 Enrico Bignami: «Fu al coperto della volta stellata di un tempio che potei costituire la prima sezione italiana dell’Internazionale. I denigratori socialisti della massoneria potrebbero ricordarsi di cento altri fatti come questi» 22.
Considerazioni analoghe si possono fare per tutti gli altri schieramenti politici. Leggendo i carteggi privati e studiando la documentazione pubblica si arriva ad una sola conclusione: che lo scontro tra le diverse componenti che cercano di prevalere all’interno dei partiti appare dichiaratamente più incisivo della comune «fratellanza». Sono molti i massoni «attivi e quotizzanti» che militano in gruppi che contrastano con decisione la linea ideologica difesa dal GOI.
Il progetto politico di Ferrari, finalizzato all’unione di tutte le forze della democrazia in un unico «fascio» da poter vittoriosamente opporre alle forze clericali della conservazione, imponeva a tutte le sue componenti l’abbandono delle punte estreme a vantaggio delle questioni da tutte condivise. La dirigenza del GOI accettava il programma minimo socialista, ma non il concetto di lotta di classe o di rivoluzione; era favorevole al cooperativismo repubblicano, ma non al collettivismo di una sua pur forte componente, né appariva disposta a condividere la questione istituzionale.
Eppure Ferrari era tra i repubblicani più convinti della necessità di porre termine al regime monarchico. Queste direttive, condivise dai vertici del GOI per un lungo arco di anni, trovarono ora l’adesione ora aspri contrasti all’interno delle direzioni e delle sezioni dei partiti.
Nel corso del 1906, sulla comune base del pericolo clericale, che spinse le forze democratiche a smussare i contrasti e ad interrompere la propaganda antimassonica, fu sperimentata con successo l’unione tra i partiti popolari, rafforzata poi l’anno successivo 23. Bisognava contrastare il controllo clerico–moderato nelle amministrazioni cittadine. Furono due le città dove i massoni cercarono di attuare i loro progetti direttamente e non solo come ispiratori o fiancheggiatori: Firenze e Roma. L’esperienza di Firenze fu negativa, quella di Roma diede vita alla migliore Giunta che la storia della città ricordi.
Il «Blocco» Nathan fu un’alleanza elettorale tra l’Unione liberale romana, la federazione delle associazioni costituzionali e le sezioni romane dei partiti socialista, repubblicano, radicale, appoggiata da Il Messaggero, da alcune organizzazioni sindacali e dalla dirigenza massonica. Il giornale giolittiano della capitale sostenne l’esperimento, che si rivelò eccezionalmente felice per Roma. Il capo del governo in quegli anni vide con favore la nascita e la diffusione dei «blocchi popolari» nelle amministrazioni cittadine di molti comuni d’Italia non tanto nella prospettiva dei rapporti con i cattolici, quanto nella «funzione di collegamento fra liberali ed Estrema Sinistra e dunque di integrazione dei socialisti nell’Italia liberale, funzione di integrazione che fu assunta proprio – anche se non esclusivamente – dai “Blocchi”» 24.
Nella Giunta bloccarda entrarono tutti i grandi dignitari della massoneria che assunsero in prima persona responsabilità amministrative. Non a caso, quando nel 1914 al congresso socialista di Ancona fu vietata la doppia iscrizione al partito e alla massoneria, Gino Bandini scrisse giustamente su L’Idea Democratica, il settimanale dell’Ordine di cui era direttore, che il nodo della questione per i socialisti rivoluzionari di Mussolini era «il pericolo della transigenza, della collaborazione democratica, del bloccardismo». Gli attacchi degli intransigenti alla massoneria erano stati in realtà mirati a colpire una ben precisa linea politica e un progetto culturale.
Se la Giunta Nathan resta l’esperimento più lungo e felice che le amministrazioni locali ricordino, quella stessa formula fu sperimentata in molte altre città italiane, sempre con una nutrita presenza di massoni, anche se non con gli stessi risultati. Il successo della linea bloccarda fu il volano che rese possibile la presentazione di liste comuni nelle elezioni politiche generali del 7 e 14 marzo 1909.
Il gruppo dirigente del GOI proseguiva impavido nell’attuazione del suo progetto mentre le forze cattoliche conquistavano spazi sempre più ampi e nei partiti socialista e repubblicano riprendevano spazio uomini ostili al «bloccardismo». Nel frattempo era venuta crescendo la nuova forza politica rappresentata dai nazionalisti. Nel congresso di Roma del dicembre 1912 si ebbe la chiarificazione antidemocratica, l’allineamento all’estrema destra, e l’apertura del dialogo con i cattolici alla ricerca di una base di massa.
Subito dopo fu avviata una violentissima campagna contro la massoneria e contro il blocco. «Nella Massoneria i nazionalisti videro allora la forza e l’organizzazione più contraria al loro sentimento». Nel congresso di Roma fu votato un o.d.g. che dichiarava guerra alla massoneria e l’offensiva cominciò subito sulle pagine dell’Idea Nazionale 25.
A maggio del 1913 l’attacco all’istituzione arrivò in parlamento con l’interrogazione dell’on. Santini e le dichiarazioni del ministro Spingardi in Senato a proposito degli ufficiali di terra e di mare iscritti alla massoneria 26. La Giunta ipotizzò una difesa nelle sedi istituzionali, per bocca dei fratelli deputati, che non ebbe luogo perché tutti gli interpellati declinarono l’invito. Il comportamento prudente assunto dai politici evidenziava una situazione di oggettiva debolezza dell’Ordine arroccato ormai in difesa, ed esposto agli attacchi di tutte le forze politiche, dalla destra antidemocratica alla sinistra rivoluzionaria.
Come è stato ben documentato 27 , la campagna antimassonica andò avanti con inusitata violenza per tutto il 1913, in previsione delle prime elezioni politiche generali che si sarebbero svolte a suffragio quasi universale maschile. Nazionalisti e cattolici, ma anche socialisti e repubblicani temevano moltissimo il ruolo che avrebbero potuto svolgervi i massoni i quali, dal canto loro, apparivano decisi a difendere la linea bloccarda. Fin dall’ottobre del 1912 avevano provveduto a predisporre una organizzazione capillare sul territorio, finalizzata a supportare i candidati democratici, che non incontrò il favore del Gran Maestro e suscitò le perplessità anche di Barzilai in parlamento da ventitré anni. Ferrari e Barzilai apparivano contrari ad un coinvolgimento così diretto e preoccupati dei contraccolpi che avrebbe suscitato 28.
Il ruolo del Gran Maestro nella nuova Giunta che si era costituita a giugno del 1912, dopo l’Assemblea costituente che lo aveva nuovamente riconfermato alla testa dell’Ordine, appariva ridimensionato. Il nuovo uomo forte è il Grande Oratore Gino Bandini che riesce progressivamente ad imporre la sua linea. È sempre più evidente che per questi uomini le parole massoneria e democrazia si equivalgono. L’impegno ad agire ne è una conseguenza naturale. Sono i massoni della generazione precedente come Nathan, Ferrari, Canti ad insistere sul contenuto ideale dell’azione massonica.
In Giunta si cerca un impossibile equilibrio tra posizioni antitetiche col risultato di un andamento sussultorio nel quale si alternano decisioni provocatorie con prese di posizione rinunciatarie come risultò il rifiuto di scendere sul piano della polemica giornalistica ed di mischiarsi con gli oppositori socialisti o nazionalisti, in nome della difesa della dignità dell’istituzione. Invitato ad un pubblico contraddittorio da Domenico Oliva, presidente del consiglio direttivo del gruppo romano dell’associazione nazionalista, Ferrari preferì non farne nulla. L’Idea nazionale allora inviò un questionario sulla massoneria a centinaia di personalità. Risposero gli antimassoni, non risposero i massoni e così l’Inchiesta sulla Massoneria divenne una pesante condanna dell’istituzione 29.
A giugno del 1913 si svolse una fondamentale riunione dei membri della Giunta del Grande Oriente, voluta da Bandini, convinto che «il silenzio sdegnoso dinanzi alla vastità e violenza dell’attacco è troppo poco e ci sminuisce nell’opinione pubblica» 30. Il Grande Oratore ipotizzava la creazione di una sorta di ufficio stampa o, meglio ancora, un settimanale dell’Ordine.
Le preoccupazioni maggiori andavano però nella direzione della «tenuta» delle logge di fronte alla campagna antimassonica e alle iniziative da assumere per difendere e rassicurare i fratelli. A settembre fu ripresa in esame la proposta di un giornale da contrapporre a quello nazionalista malgrado le forti perplessità manifestate da Ferrari che si faceva interprete delle analoghe posizioni di Nathan.
Il 26 ottobre e il 2 novembre 1913 si svolsero le elezioni politiche. A Roma i candidati del «blocco», portati dal sindaco Nathan e da Giolitti, furono battuti dai nazionalisti 31. La battaglia politica nel primo collegio di Roma tra il radicale Scipione Borghese e il nazionalista Federzoni coinvolse tutta l’Italia 32. Il 6 novembre Nathan rassegnava le dimissioni da sindaco. L’alleanza tra liberalconservatori, nazionalisti, clericali aveva infine avuto ragione dello schieramento laico progressista.
Quello stesso 6 novembre 1913 nasceva L’Idea Democratica, settimanale del Grande Oriente, dichiaratamente volto a chiarire e difendere il ruolo dei massoni nella società, diretto da Gino Bandini, che per cinque anni sarà la voce di Palazzo Giustiniani.
Il Grande Oriente aveva dovuto difendersi già nel 1911 dall’accusa di essere contrario all’impresa libica. Ripetuti attacchi erano apparsi sui giornali «Momento» di Torino e «Corriere d’Italia» di Roma. Era noto il legame tra Ferrari e il governo dei Giovani Turchi che faceva ritenere che il GOI potesse privilegiare il legame massonico rispetto agli interessi nazionali. In realtà lo scarso entusiasmo era legato al minacciato pericolo che la nuova colonia potesse diventare «soltanto una colonia clericale» 33. Alla loggia Macedonia Risorta di Salonicco che chiedeva di non umiliare la Turchia fu risposto che gli interessi nazionali erano superiori a qualunque legame massonico:
«Or. di Roma, il 20 ottobre 1911 E.V.
Alla R.L. Macedonia Risorta Or. di Salonicco
Egregi e cari fratelli,
La vostra lettera in data del 9, pervenutami soltanto la mattina del 16, fu da me sottoposta all’esame della Giunta del Governo dell’Ordine, della quale vi esprimo subito, liberamente il pensiero. E’ vero, come massoni e come italiani, noi salutammo con gioia l’abbattimento della tirannide che opprimeva il vostro paese e l’instaurazione, favorita con tanta efficacia dalla famiglia massonica, del nuovo ordinamento politico, che prometteva, alla ringiovanita Turchia, un’era di libertà, di progresso e di pace. Non è questo il momento di giudicare se, ed in qual misura, quelle promesse ricevessero conferma dai fatti. Le nuove combinazioni che si andavano determinando nella politica internazionale e l’atteggiamento irriducibile delle autorità ottomane in rapporto ai nostri legittimi e pacifici interessi, indussero il governo italiano a riprendere in esame l’antica questione della Tripolitania: tutta l’Italia sentì che erano giunti i termini fatali della risoluzione: il nostro popolo secondò con unanime suprema energia, mosso irresistibilmente dalla necessità ineluttabile d’impedire un accerchiamento che avrebbe soffocata per sempre ogni nostra espansione, spinto dal desiderio di portare, in regioni così prossime, da lungo tempo abbandonate alla miseria ed alla servitù, vessate ed invilite da barbare costumanze, impulso e sviluppo di vita, libertà, garanzia seria di leggi, presidio di governo umano e civile. Fallite le trattative diplomatiche, fu dichiarata ed iniziata la guerra. Se le logge ottomane, e più specialmente la vostra, si fossero rivolte al Governo dell’Ordine durante la prima fase della contesa, che poi divenne conflitto armato, avremmo potuto adoperarci per una soluzione che, tutelando gli interessi italiani, rispondesse, in pari tempo, alle aspirazioni umanitarie dell’Ordine: oggi, allo stato dei fatti, ogni intervento è impossibile. Comprendiamo le vostre apprensioni di patriotti: ma voi ugualmente comprenderete che i massoni italiani non possono e non debbono assumere iniziative che, a guerra aperta, costituirebbero un tradimento ed un attentato contro gli interessi e la dignità della patria. Ora che, sventuratamente, i due stati e i due popoli hanno affidato alle armi la difesa delle loro ragioni, è dovere massonico impedire, in nome della civiltà, che gli orrori della guerra si accrescano e si incrudeliscano in barbare rappresaglie. Noi confidiamo che i fratelli turchi sentiranno ed adempiranno fino all’ultimo, come noi sentiamo ed adempiamo, questo supremo dei nostri doveri. L’Italia dà prova, a sua volta, di sentirlo e di compierlo: essa non si informerà, nelle regioni occupate, che al sentimento d’umanità ed al proposito di governarle con libertà e con giustizia, avviandole e sorreggendole nell’arduo cammino del progresso civile. Il G O d’I deve dunque limitarsi ad esprimere l’augurio che non tardi troppo, in ragione e per la forza dei fatti compiuti, il ritorno di quella pace dignitosa e sincera, che, senza dubbio, è nel desiderio e nell’interesse dei due popoli[…] 34
La massoneria italiana subirà attacchi e ritorsioni dalle altre Comunioni in conseguenza dell’impresa di Libia e notevoli danni verranno anche ai massoni italiani residenti nei paesi del nord Africa e del medio oriente. Ferrari godeva senza dubbio dell’entusiastico appoggio di una larga parte della base massonica, come dimostra l’eccezionale incremento nel numero delle logge e nell’aumento degli affiliati durante gli anni della sua gran maestranza.
Sarebbe però sbagliato pensare ad un impossibile unanimismo sul suo programma. L’impegno politico diretto voluto da Ferrari e dai suoi collaboratori riportò nel Grande Oriente un nutrito numero di fratelli, ma ne scontentò altri.
Il dissenso interno cominciò a manifestarsi subito dopo l’approvazione delle nuove costituzioni. Nell’aprile del 1906 Antonio Cefaly non volle entrare a far parte della commissione politica 35. L’anno dopo Giovanni Camera lasciò la carica di Grande Oratore. Nel 1907 la Rivista Massonica ospitò gli scritti di due fratelli, Giulio Capurro e Eduardo Frosini, che lamentavano l’abbandono del lavoro iniziatico nelle logge a favore di quello puramente profano 36. Si sperava forse di incanalare il dissenso. Invece il 17 dicembre 1909 Frosini ruppe definitivamente i rapporti col GOI fondando a Firenze la Loggia centrale Ausonia. Appena due mesi dopo dava vita al Rito filosofico italiano che fu ammesso nella Federazione massonica universale dei riti ortodossi. Nel 1913 scoppiava anche la questione Arturo Reghini.
I maggiori problemi li diede però il rito scozzese il cui capo, un pastore evangelico «di carattere autoritario e di mentalità arretrata» 37 provocò nel 1908 una lacerante spaccatura nelle alte gerarchie. Motivo dello scontro la scuola e l’educazione della gioventù, il lungo impegno a favore della laicizzazione dell’insegnamento e la conseguente eliminazione dell’ora di religione nella scuola primaria non da tutti condivisa. Sulla mozione Bissolati la maggior parte dei deputati massoni non seguì le direttive date da Ferrari, ma quelle volute da Fera, in linea con quelle del governo Giolitti. Pochi mesi dopo in Italia c’erano due Sovrani Gran Commendatori, Fera e Ballori, quest’ultimo riconosciuto da Ferrari. Lo scisma provocò una situazione paradossale. La massoneria ferana non fu riconosciuta dalle massonerie simboliche universali, ma ottenne invece i riconoscimenti internazionali dei supremi consigli del rito, sembra, ancora una volta, per un intervento del governo italiano, ma anche perché il Grande Oriente non aveva valutato il rischio 38. Nel 1917 tra gli scozzesisti di piazza del Gesù maturò un’ulteriore scissione 39 che non ebbe però conseguenze all’estero.
Ferrari, diventato nel 1918 Sovrano Gran Commendatore, fece di tutto per recuperare i riconoscimenti internazionali, senza riuscirci finché Palermi non fu «espulso dalle massonerie americane» in seguito alla sua adesione al fascismo. L’incomprensione delle massonerie straniere aveva indubbiamente indebolito il Grande Oriente facilitando, secondo alcuni, «la marea reazionaria che inondò il paese» 40.
Le scissioni, che nel 1908 e nel 1909 segnarono la storia «interna» al Grande oriente d’Italia, non rallentarono la crescita dell’Istituzione che nel 1911 iniziò 3308 fratelli, oltre il doppio della media dei primi del secolo. Le logge che nel 1910 erano 340, due anni dopo erano salite a 431 con un incremento del 30% circa. A quella data la comunione italiana si componeva di 16.881 fratelli di rito scozzese e di 2986 di rito simbolico 41.
Nel Grande Oriente rimasero i fratelli «progressisti», mentre i «moderati» preferirono passare al gruppo ferano. Negli anni successivi il Grande oriente di Palazzo Giustiniani si caratterizzò per il suo progressivo spostamento a sinistra, determinato dalla spinta che veniva dalle logge. Questa sua caratterizzazione portò nelle officine molti nuovi fratelli, in passato aspramente critici nei confronti dell’Istituzione, come De Felice Giuffrida (entrato nel 1912), Eugenio Chiesa (entrato nel 1913), Arturo Labriola (entrato nel 1914), ma costrinse la Giunta ad intervenire spesso nella vita delle logge per frenarne le iniziative. Tra queste appare molto forte la spinta ad aprire l’istituzione alle donne.
La rottura traumatica del 1908 rese la Giunta molto più attenta a non innescare il ripetersi di fatti analoghi. Se ne vide un esempio a Torino dove il fratello Luigi Pagliani, un benemerito della Istituzione, accusato di contrastare il blocco amministrativo, poté motivare la sua decisione senza conseguenze per lui 42. L’acquisto di palazzo Giustiniani, avvenuto nel 1911, fu la prova della stabilità raggiunta, a cinquanta anni dalla rifondazione.
Eppure nella espansione della massoneria italiana c’erano le premesse della crisi legata all’equivoco della sua posizione nella società italiana. In prima fila in una serie di battaglie politiche, attaccato dall’interno del mondo massonico e dall’esterno, alla fine del 1910, i membri della Giunta ribadivano la «assoluta indipendenza dell’Ordine da qualsiasi parte politica determinata» rifiutandosi di finanziare qualunque giornale, sia pure amico, «che non può non essere organo di un partito politico» 43. Era una posizione velleitaria, nella quale le aspirazioni non erano commisurate alle reali possibilità d’azione in una società nella quale le forze politiche erano venute assumendo un peso ben diverso da quello del passato.
Lo si vide nel 1911 in occasione della inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele, simbolo dell’unità della patria in Roma capitale. Tutto era stato predisposto per una significativa presenza massonica ma, per mancanza di posti, le associazioni civili furono escluse dalla inaugurazione del Vittoriano il 4 giugno. Ettore Ferrari che come scultore aveva lavorato al monumento, e come Gran Maestro aveva sollecitato la presenza delle logge alla manifestazione, aveva però già rifiutato di partecipare alle celebrazioni monarchiche in quanto «la sua coscienza politica non gli permette[va] in modo assoluto di intervenire personalmente alla manifestazione» 44.
Era la sua una posizione molto complessa, che lo portava ad esaltare nei monumenti Vittorio Emanuele II, in quanto simbolo dell’unità della patria, ma a rifiutarsi di stringere la mano al re.
Date le premesse che abbiamo accennato, perché stupirsi degli attacchi portati alla massoneria italiana da destra e da sinistra con motivazioni pretestuose? Che pretestuose lo fossero lo ammetterà molti anni dopo il cattolico Jemolo, allora nazionalista, ma anche il liberale Croce.
Lo scoppio della prima guerra mondiale pose momentaneamente fine a molte polemiche strumentali. Ferrari era irredentista da decenni come lo erano Nathan, Barzilai e tutta la dirigenza massonica. Il Grande Oriente si mosse subito a favore dell’intervento a fianco della Francia e della Gran Bretagna per «l’indipendenza dei popoli e il rispetto della loro nazionalità». La rivendicazione delle terre irredente italiane si accompagnava alla richiesta della indipendenza di tutte le nazionalità ancora soggette. L’opera di mobilitazione massonica «per preparare la coscienza nazionale in modo che tutte le forze del paese concorrano, nell’ora delle decisioni supreme, a difendere i più alti interessi di Italia coincidenti con la causa della civiltà e del diritto» 45 ebbe un peso non secondario nell’ingresso dell’Italia in guerra.
Ferrari volle un censimento di tutti i massoni in divisa e invitò tutte le logge ad organizzare l’assistenza civile. Difensore dell’indipendenza della nazione serba, furono proprio le aspirazioni degli slavi del sud alla nascita della grande Serbia ad innestare nel 1917 una violenta polemica che costrinse Ferrari alle dimissioni 46. Le massonerie dell’Intesa, meno quelle britanniche, si erano riunite a Parigi nel 1917 in una conferenza avente l’obiettivo di preparare la costituzione di una Società delle nazioni. Nel timore che la delegazione italiana avesse votato una risoluzione a favore del principio di autodeterminazione dei popoli, si scatenò una tale campagna ostile sulla stampa cattolica e nazionalista, che Ferrari fu costretto a rimettere il mandato 47. Probabilmente pesarono sulla decisione anche le divergenze generazionali tra le alte gerarchie massoniche.
Pochi mesi dopo, nella primavera del 1918, Ferrari fu eletto Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese. A partire dalla fine del 1922 Ferrari, che aveva la bella età di 77 anni, dedicò ogni sforzo a rafforzare il suo Rito. L’anno seguente girò tutta l’Italia. Appare chiaro che ci si stava preparando a stringere le fila per difendersi dagli attacchi fascisti mentre si aprivano le porte ai fratelli del Rito Simbolico che rifluivano nel rito scozzese 48.
Le nuove norme sulla scuola media ed elementare volute dal ministro G. Gentile lo spinsero a ribadire, richiamandosi ai pensatori dell’800, da Marco Minghetti ad Aristide Gabelli, da Cavour a Sella, che lo Stato non aveva competenza per dare istruzione religiosa. Il capo del Rito scozzese lamentava il fatto che lo Stato rinunziava «alla più alta delle sue funzioni, la funzione etica; abdica[va] la più gelosa prerogativa della sua sovranità; consegna[va] ad altre mani la Scuola –la Scuola che è la Patria di domani. Non mai è stato compiuto atto in più aperto contrasto con le origini della nostra Unità e le tradizioni del Regno» 49.
Per meglio divulgare il suo pensiero diede vita ad una battagliera pubblicazione, «Lux», che fondeva questioni politiche a problematiche esoteriche. Ancora alla fine del 1924 impegnava i fratelli a difendere i valori laici del Risorgimento.
Ferrari non sciolse il suo Rito neanche dopo l’approvazione della legge, del novembre 1925, contro le società segrete, voluta da Mussolini per abbattere la massoneria. Il suo studio fu più volte invaso da facinorosi. Sorvegliato dalla polizia, fu denunziato il 25 maggio 1929, con l’accusa di aver tentato di riorganizzare la massoneria, e sottoposto ad ammonizione. Era infatti in rapporti epistolari, per il tramite di Ugo Lenzi, con Giuseppe Leti, avvocato e noto antifascista emigrato in Francia, suo Luogotenente, cui nel maggio 1929 trasmise i pieni poteri che gli erano stati conferiti nella primavera del 1925. Morì a Roma il 19 agosto del 1929.
Nel 1906 Ferrari aveva sostenuto che «la Massoneria, istituto essenzialmente morale, deve mantenersi libera ed indipendente da uomini, governi, ed istituzioni: così conserverà il diritto di esprimere altamente innanzi a tutti il proprio pensiero, l’autorità indispensabile ad informare l’opinione pubblica, a determinare, guidare e correggere i suoi movimenti» 50. Era un programma di vita cui l’uomo Ferrari, al di là degli errori fatti e dei risultati raggiunti, nella sua lunga vita, si mantenne sempre fedele.

Note:

 

  1. Circolare n. 49 del 31 marzo 1904, Rivista della Massoneria Italiana, 1904, pp.34-36.
  2. Circolare alle logge n. 84 del 1 gennaio 1906, conservata in Museo Risorgimento Milano, doc. 24576.
  3. Circolare n. 84 cit.
  4. Archivio storico Grande Oriente d’Italia (Asgoi), Processi verbali della Giunta, 145° seduta del 20 maggio 1904.
  5. Sui rapporti molto difficili tra i repubblicani milanesi e romagnoli da una parte e i massoni repubblicani romani si veda il libro di E. Falco, Salvatore Barzilai un repubblicano moderno tra massoneria e irredentismo, Roma, 1996.
  6. Ci riusciranno alla fine, dopo una lunga serie di tentativi nel congresso di Ancona del 1914. Si veda Anna Maria Isastia, I massoni di fronte al socialismo, in Le origini del socialismo in Liguria, a cura di Vito Malcangi, Alessandria, Edizioni dell’orso, 1995, pp.35-47.
  7. Asgoi, 142 adunanza del 5 maggio 1904.
  8. Ivi, 160 seduta della Giunta del 7 novembre 1904.
  9. Ivi, 164 seduta della Giunta del 1 dicembre 1904.
  10. Inutilmente Cefaly mise in guardia la Giunta dai rischi legati a questo atteggiamento. Verbali di Giunta del 23 e 25 gennaio 1906.
  11. Seduta della Giunta dell’11 aprile 1913. In quei mesi si dovette nuovamente affrontare la questione per la grande agitazione pro Nasi dei siciliani.
  12. G. Leti, Il Supremo Consiglio dei 33.per l’Italia e sue colonie, Parigi, 1932, p.101. I giudici che condannarono Nasi furono Pandolfi presidente, Barzilai e Camera relatore. Barzilai e Camera erano deputati al parlamento. Si vedano i verbali della Giunta dal 31 marzo all’11 maggio 1904. Nel 1913 la questione Nasi tornò in Giunta perchè i massoni siciliani chiesero la revisione del processo massonico contro Nasi che era stato condannato in contumacia (Verbali del 10 e 11 aprile 1913).
  13. André Combes, L’unificazione italiana nell’opera dei massoni francesi, in La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria, Atti del convegno di Torino 24-25 settembre 1988, a cura di Aldo A. Mola, Foggia, Bastogi, 1990, p. 69.
  14. Si vedano al riguardo i Verbali della Giunta del 6 ottobre 1904.
  15. face=”Bookman Old Style”> Costituzioni generali della massoneria in Italia discusse ed approvate dall’assemblea costituente del 1906, Roma, Civelli, 1906. Le Costituzioni del 1906 recepirono quanto era stato deliberato nelle discussioni della Giunta del Goi fin dall’inizio del 1905.
  16. Questa richiesta era stata una delle condizioni poste dai massoni milanesi che si erano staccati da Roma negli anni del legame Lemmi-Crispi. Si veda il verbale della seduta della Giunta del 16 marzo 1905.
  17. Seduta della Giunta del 7 giugno 1906.
  18. « La parola del Gran Maestro», balaustra del 15 maggio 1906, Rivista Massonica, 1906, pp. 177-180.
  19. Ivi, 1906, pp.180-1.
  20. Nel 1913, nel pieno della campagna antimassonica, il deputato repubblicano rivendicò la sua qualifica di massone.
  21. Arcangelo Ghisleri era stato massone dal 1878 al 1883. Lo troviamo nuovamente attivo nel 1905.
  22. Lettera di Enrico Bignami al maestro venerabile della loggia Carlo Cattaneo di Milano, in Aldo A. Mola, Storia della massoneria italiana dall’unità alla repubblica, Milano, Bompiani, 1976, p. 681. La lettera, scritta a macchina, reca la data 1913, ma un’annotazione manoscritta relativa alla data della risposta e un riferimento interno alla lettera sul congresso socialista di Ancona, riportano al 1914).
  23. E. Decleva, «Anticlericalismo e lotta politica nell’Italia giolittiana, II, l’estrema sinistra e la formazione dei blocchi popolari (1905-1909), Nuova Rivista Storica, fasc. V-VI, 1969, p.576.
  24. H. Ullrich, Le elezioni del 1913 a Roma. I liberali fra Massoneria e Vaticano, Milano-Roma-Napoli, 1972, p.9.
  25. E. Bodrero, Prefazione a Inchiesta sulla massoneria, Milano, 1925, p.XVI.
  26. Tra maggio e giugno l’attacco fu portato anche in parlamento. Si veda La Massoneria al Parlamento, Firenze, 1913.
  27. F. Cordova, Agli ordini del serpente verde, Roma, 1990.
  28. Si vedano al riguardo i verbali delle discussioni della Giunta dell’ottobre 1912.
  29. Gino Bandini avrebbe voluto rispondere e far rispondere perchè il questionario fu inviato a tutta la dirigenza massonica.
  30. Seduta straordinaria del 19 giugno 1913.
  31. Nel collegio di Roma I Nathan e Giolitti portano il candidato radicale Scipione Borghese. Vince Federzoni portato da nazionalisti e cattolici). Nel collegio di Roma II il candidato bloccardo è Leonida Bissolati. Nel collegio di Roma III viene eletto Baccelli e in quello di Roma V Barzilai. Nel IV collegio il candidato del blocco Caetani fu sconfitto dal nazionalista Medici del Vascello. La battaglia politica che si svolse nel I collegio di Roma coinvolse tutta l’Italia.
  32. Il Gran maestro intervenne direttamente. «Discorso di Ettore Ferrari del 10 luglio 1907», Rivista Massonica, p.341; «Comunicato di Ettore Ferrari alla stampa italiana», ivi, ottobre 1913, pp.370-4
  33. Seduta della Giunta dell’11 ottobre 1911.
  34. Il testo della lettera, firmata dal Gran Maestro, dal Gran Segretario e da Bacci si trova nei verbali di Giunta.
  35. Seduta della Giunta del 9 aprile 1906.
  36. Eduardo Frosini, «Lavoro profano o lavoro massonico?», Rivista Massonica,. 1907, pp.169-172; Giulio Capurro, «Ritorniamo agli statuti», ivi, 1907, pp.232-234.
  37. G. Leti, Il Supremo Consiglio dei 33 cit., p.109; L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma, 1994, pp.65-70.
  38. Nel 1912 il Congresso dei Supremi Consigli riunitosi a Washington riconobbe il gruppo Fera. Contemporaneamente il Gran Maestro dello Stato di New York confermava invece il riconoscimento al solo Goi (Circolare Ferrari n. 6 del 21 ottobre 1912, Asgoi).
  39. Sugli avvenimenti di quell’anno si veda A. M. Isastia, «Ettore Ferrari, Ernesto Nathan e il Congresso massonico del 1917 a Parigi», Il Risorgimento, n.3 1995, pp.603-643.
  40. G. Leti, Il Supremo Consiglio cit., p. 140.
  41. Relazione del Gran tesoriere presentata alla Giunta nella seduta del 27 novembre 1913.
  42. Seduta di Giunta del 23 giugno 1909.
  43. Seduta di Giunta del 26 ottobre 1910.
  44. La dichiarazione fu fatta in Giunta il 24 maggio 1911.
  45. Ordine del giorno votato dal Grande Oriente d’Italia il 6 settembre 1914, in Biblioteca Comunale di Lucera, Archivio Salandra, Fondo Massoneria.
  46. A. M. Isastia, Il congresso massonico del 1917, cit.
  47. Fu eletto Ernesto Nathan dopo che il candidato alla carica, Achille Ballori, fu assassinato da uno squilibrato. Nathan accettò fino alla fine del mandato naturale di Ferrari che scadeva nel 1918.
  48. « La vita del Rito», Lux, novembre 1923, p.5.
  49. Circolare n. 34 del 21 settembre 1923, Lux, novembre 1923, p.4.
  50. Balaustra del 15 maggio 1906 cit.

Ettore Ferrari Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia 1904–1917ultima modifica: 2009-12-04T12:02:00+01:00da giovannisantoro
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