Alchimia e Massoneria – Saggi

 

 

 

 

Vent’anni fa con tutto l’entusiasmo (e l’arroganza) del neofita che ha mosso un primo passo e si sente già maestro, pubblicai un articolo dedicato all’analisi dei rapporti tra rituale massonico e alchimia [1].

 

In Francia fu occasione di scandalo e severi biasimi. Lo sciocco servitore di uno sgangherato alsaziano che si autoproclamava maestro di alchimia, tutto votato alla salvezza di una Tradizione (ovviamente con la maiuscola), che si riassumeva per lui e per i suoi sconsiderati discepoli nella ripresa un po’ imbastardita di vecchi, maledetti, temi razzisti e antimassonici, mi dedicò un’invettiva su una misera rivista pubblicata grazie a finanziamenti politici di estrema destra. Mi accusò tra l’altro di voler tradire quella Tradizione portando i segreti dell’alchimia all’odiato nemico, il cospiratore giudeo massone.

 

Finii, sembra incredibile, sulle liste delle Brigate Nere. Ricordo un gentile incontro con un funzionario dell’antiterrorismo che voleva convincermi a precauzioni che mi parevano inutili e stravaganti. Una divertente avventura, di cui conservo alcuni documenti.

 

Oggi il servo sciocco (credo abbia passato qualche tempo nelle prigioni di Stato) vivacchia vendendo rimedi alchemici (sic!) a malati incurabili. Il suo capo, mi dicono amici francesi, è finito in ospedale con una malattia devastante.

 

La storia è tanto più ridicola se si tien conto che le loro conoscenze alchemiche erano nulle, le mie teoriche e appena abbozzate, tuttavia quell’articolo, terribile debito karmico, torna ogni tanto nella mia vita come una giusta punizione per l’errore commesso.

 

Lo riprenderò qui, ora, per una doverosa revisione.

 

 

 

Iniziava notando che per un innamorato della dottrina ermetica la tentazione di analizzare il simbolismo massonico per cercarvi i rapporti col l’Arte Regia è evidentemente irresistibile.

 

Sembra ineccepibile. Ma quando nel seguito sostenevo di analizzare a questo scopo i rituali dei primi tre gradi, già stavo imboccando una via evidentemente sbagliata. Mi spiego. In quel momento avevo in mente i rituali attualmente in uso nel Grande Oriente d’Italia che sono, a parte qualche modifica non sostanziale, di origine “scozzese”, ma non sono i rituali della Massoneria per antonomasia. Tutt’altro. Per esempio quelli della Libera Muratoria anglosassone, cioè dell’ 80% del mondo massonico, sono molto diversi, così come molti altri: quelli del rito francese, quelli scandinavi, quelli berlinesi, etc. Differiscono in alcuni punti importanti persino quelli della Gran Loggia d’Italia di palazzo Vitelleschi, che pure ha con il Grande Oriente d’Italia un origine comune e recente.

 

Quindi ora dico più correttamente che l’analisi si rivolge ai rituali “scozzesi” dei primi tre gradi praticati dal Grande Oriente d’Italia.

 

Il testo (farò qualche correzione) proseguiva dicendo:

 

«Che esista un legame con il simbolismo della scienza alchemica, il figlio della dottrina non può non notarlo sin dal suo ingresso nel Gabinetto di Riflessione. Il nero delle pareti della cameretta, il Testamento che il candidato deve compilare, l’atteggiamento del Maestro Esperto, sono tutti chiari segni di una morte, in qualche modo utile e benefica, che deve evidentemente precedere qualunque altra operazione. L’alchimista operativo sa che questo primo e fondamentale evento della Grande Opera fisica è il momento della putrefactio, della prima morte della materia, per l’ottenimento al termine dell’operazione, se questa è stata condotta con saggezza e prudenza, di quel nero più nero del nero – nigrum nigro nigrius – primo dono dello spirito e prima tanto attesa conferma che la preparazione fu canonica, il tempo e luogo scelti correttamente, e la teoria ben compresa.

 

Riferendosi a questo risultato straordinario e fondamentale, che conduce l’artista a superare il primo gradino della Scala dei Saggi e gli assicura col possesso della materia prima il successo dei lavori successivi, Iside nella Pupilla del Mondo dice con fierezza:

 

Ascolta Horo figlio mio, perché qui tu senti la dottrina segreta che il mio avo Kamephis apprese da Hermes… poi io da Hermes… quando egli mi onorò col dono del Nero perfetto [2].

 

Senza questa separazione del nero nerissimo dal bianco splendente, del Cielo dalla Terra, che secondo gli antichi Maestri rappresenta la fine del primo giorno nella loro piccola genesi, l’Opera non può proseguire. Essa infatti non avrebbe ricevuto dall’alto quel sigillo che assicura l’ingresso in un mondo fenomenico più elevato di quello comune. Diventa perciò occasione di stupita meditazione per il filosofo il nome di questa cameretta oscura, poiché egli sa che è proprio il fenomeno della riflessione del segno spirituale, che il bianco riproduce come uno specchio – speculum artis – ad assicurargli l’esecuzione del resto dell’Opera:

 

Che si farà facilmente se Saturno avrà visto la propria immagine nello Specchio di Marte [3].

 

Questa verifica, che si fa in loggia simbolicamente mettendo ai voti il testamento del candidato, l’operatore la farà positivamente dopo aver assestato col martello il sapiente colpo che compie la separazione del nero caput dal bianchissimo corpo, cioè dopo che avrà compiuto quella decapitazione che il segno di Apprendista vuole ricordare come atto principale di questo grado.»

 

Qualche commento prima di proseguire.

 

Innanzitutto è certamente vero che la decapitazione rappresenta l’operazione capitale della prima parte della Grande Opera, ma non è certamente la prima ad essere eseguita, come si sarebbe potuto intendere.

 

Altre la precedono per preparare i materiali volgari, i misti imperfetti, come dice Fulcanelli, che danno origine alla materia prima. Ripeto qui quello che ho già detto altrove ormai infinite volte, sino alla noia. La materia dell’alchimista non si trova in natura, è il risultato di una serie di manipolazioni lunghe e faticose, è una produzione cui concorrono Arte e Natura. È il primo caos nero, ed è la pietra grezza su cui deve operare l’Apprendista, quella che va opportunamente tagliata.

 

Questo soggetto fetido, sudicio, sgradevole, cui – dice ancora l’adepto francese – si è dato convenzionalmente il nome del Diavolo, si ottiene alla fine con la misteriosissima e spontanea operazione descritta da:

 

Getta l’involucro, scegli il nucleo [4].

 

Perciò va rivisto tutto ciò che segue e che riprendo qui ancora con qualche correzione, tra cui la sostituzione dell’espressione Primo Caos a “Mercurio dei Filosofi” (questa era proprio una sciocchezza):

 

«Dopo questa operazione misteriosissima… il Primo Caos deve subire le tre purificazioni successive che lo innalzeranno a quello stato di perfezione che lo rende idoneo al lavoro successivo. Sono tre passaggi, nell’invariabile sequenza che dall’acqua, per il tramite dell’aria, conducono al fuoco… I tre viaggi del candidato li riproducono con esattezza, e il rumore, che qui descrive le scorie della materia, si attutisce sino scomparire definitivamente per l’elemento che rappresenta la stessa purezza. L’impresa è ripetuta simbolicamente alla fine di questi lavori, che sono poi in realtà quelli dell’Apprendista, quando il Maestro Esperto ne dimostra con l’esempio le modalità. In effetti è con l’acciaio dei Saggi, cioè con un martello di ferro, che la pietra va colpita tre volte per la sua estrema purificazione, o squadratura:

 

Purga per tre volte, per mezzo del fuoco e del sale [5].

 

A questo punto la Prima Opera è compiuta. Il suo risultato più importante è ricordato dalla colonna nera, il cui nome rammenta la forza occultata nel caput. Il libro si è schiuso… a dimostrare che la materia stessa si è aperta, mentre la squadra sovrapposta al compasso ci dice che lo spirito è profondamente imprigionato in quella terra da cui non può più sfuggire: esso è stato finalmente fissato e corporificato».

 

 

 

Qualche chiarimento.

 

Nel saggio originale si faceva molta confusione tra primo e secondo caos e mercurio dei filosofi. Chiarisco. Il primo caos è quella materia nera e disgustosa di cui ho parlato, rappresentata dalla colonna nera. Il secondo caos è bianco splendente. Sono, nella simbologia degli alchimisti cristiani, la Madonna Nera e la Vergine Bianca. Quanto al mercurio, non ha nulla a che fare con il grado di Apprendista.

 

È importante notare inoltre come solo all’ottenimento del primo caos, della materia prima, si può sperare di entrare nel Tempio, quando il profano è diventato candidato (si potrebbe dire imbiancabile ). Quindi, lo ripeto, il lavoro di questo grado consisterà nel passare dal nero al bianco, e di questo stesso colore sarà il grembiule del grado.

 

Avevo anche scritto che il candidato sottoposto al rito personifica l’ente principale dello stesso, cioè rappresenta la materia su cui si sta operando e le sue trasformazioni. Perciò, sostituendo ancora una volta caos o materia prima a Mercurio:

 

«…quindi egli (il candidato) sostiene il ruolo della materia prima, ente dalla duplice natura, per metà su un piano, per metà su un altro, quindi ancora estremamente instabile o volatile come si suol dire più tecnicamente. Perciò il candidato all’inizio è stato reso simbolicamente zoppo, con un piede calzato e uno no, e semisvestito, come si può ancora leggere in questo catechismo dell’inizio del secolo scorso dove il Maestro Venerabile interroga l’Apprendista sulla sua iniziazione:

 

 

 

D. Come siete stato ricevuto ?

 

R. Con tutte le formalità richieste.

 

D. Quali sono queste formalità ?

 

R. Avevo il ginocchio nudo sulla squadra,

 

la mano destra sulla spada,

 

tenevo un compasso aperto a squadra

 

con la punta poggiata sul seno sinistro

 

che era nudo» [6].

 

 

 

Il testo proseguiva dicendo:

 

«Il passaggio al grado di Compagno fa riferimento a uno dei punti più segreti della pratica, punto che la maggior parte degli adepti ha taciuto o peggio ancora, come fa Filalete, ha sostituito con una serie di operazioni chiaramente fittizie ed inventate per gettare lo studioso nella più terribile confusione. Già Fulcanelli a questo proposito deplorava l’invidia del misterioso filosofo inglese e Pierre Dujols nella sua Ipotiposi al Mutus Liber, che firmò con lo pseudonimo di Magophon, scrive giustamente:

 

La pratica di Filalete, presentata in forma amabile e persuasiva, sta fra gli inganni più sottili e più perfidi della letteratura ermetica. Essa tuttavia contiene la verità, ma come il veleno talvolta racchiude suo antidoto, se lo si sa isolare dai perniciosi alcaloidi [7].

 

In effetti la preparazione del Mercurio dei Saggi è propedeutica alla liberazione dello zolfo dalla materia che lo tiene imprigionato. Tra i classici, solo Basilio Valentino può dare qualche indicazione sul problema dell’operazione che fu definita dagli antichi calcinatio e che permette di aprire la serratura della prigione del Re.

 

Si tratta dunque di penetrare nella Terra, di praticare positivamente l’assioma maggiore della scienza ermetica, a tutti noto, ma da così pochi compreso nella sua concretezza:

 

 

 

Visita Interiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem, Veram Medicinam

 

Visita le profondità della terra e rettificando troverai la pietra occulta, vera medicina.

 

 

 

L’iniziale delle parole del famoso apoftegma, ricordando che in antico la u vocale e la v consonante si confondevano, lette di seguito danno il nome del risultato preziosissimo:

 

 

 

VITRIOLUM

 

 

 

In effetti se noi riprendiamo nei cinque viaggi del rituale di passaggio la successione degli strumenti che sono portati di volta in volta, vediamo che nei primi quattro essi sono:

 

 

 

un Maglietto e uno Scalpello, cioè Fuoco

 

un Compasso, cioè Aria

 

una Cazzuola, cioè Acqua

 

una Squadra, cioè Terra

 

 

 

L’Apprendista ha ripercorso, questa volta in senso inverso, il cammino dei quattro elementi, per ritornare in seno a quella Terra da qui era partito, per visitarne le profondità e trovarvi il tesoro racchiuso. Questo è rappresentato, nel quinto viaggio, dal Pentalfa o Stella Fiammeggiante, antichissimo simbolo del Vitriolo dei Saggi che, essendo una perfetta ed equilibrata combinazione di spirito e materia, comporta che in questo grado la squadra e il compasso siano interconnessi.

 

A proposito di questa Stella, che è il vero sigillo canonico dell’Opera, dovremmo spiegare il significato della G che sta nel mezzo. Già Fulcanelli dice, in un capitolo che è una curiosa mescolanza di invidia e carità, che questa lettera è l’iniziale del nome volgare della materia che il filosofo operativo deve scegliere per compiere la sua Opera. Di più è evidentemente impossibile dire senza cadere in una divulgazione inutile. Possiamo tuttavia aggiungere alle parole del prestigioso Adepto che, essendo questo simbolo tra i più antichi, la parola va evidentemente cercata in una lingua che non è probabilmente più tra quelle vive, e forse nemmeno nel nostro alfabeto, anche se la struttura della lettera resta la stessa. Suggeriamo allora al volonteroso di guardare nei testi del Berthelot,  e gli assicuriamo che tempo dedicato, se sarà attento e paziente, non andrà sprecato.

 

Infine, per completare brevemente il commento su questo grado, notiamo che il Segno (dell’ordine) fa evidentemente riferimento all’operazione di estrazione dal centro, cioè dal cuore, di qualcosa che viene reso visibile. Semmai è proprio in una particolarità di questo Segno, che ritroveremo in un momento importante dell’elevazione al grado di Maestro, che è racchiuso il trucco che permette di riuscire con estrema semplicità dell’operazione.

 

Il Vitriolo, se è ottenuto correttamente, assume una splendida colorazione verde che lo ha fatto chiamare anche Smeraldo dei Filosofi, e che si dice fosse il colore del Santo Graal. Di conseguenza, per quanto si è detto prima, questo è evidentemente il colore del grembiule del grado».

 

 

 

Commento.

 

Qui ho fatto un po’ di confusione tra il primo mercurio, quello comune, e il secondo. All’epoca l’ambiguità fu certamente involontaria, ora la lascio di proposito. È quello che Fulcanelli chiama l’enigma dei due mercuri, di cui dibatte a lungo nel capitolo dedicato al mito di Adamo ed Eva nelle Dimore Filosofali. Le uniche cose che posso aggiungere onestamente sono, innanzitutto che si deve ottenere il primo mercurio per avere il secondo, e in secondo luogo il prezioso suggerimento di Etteilla: non vi fidate troppo dei colori.

 

 

 

Il testo prosegue confrontando il rituale del grado di Maestro con l’ottenimento dello Zolfo dei Filosofi. Salto la premessa, inutile e sbagliata. Nel seguito (con qualche correzione, comprese quelle richieste da molti errori di stampa dell’originale) dice:

 

«Per il suo stesso carattere di estrazione dal seno della terra, e poiché questa operazione incomincia con una seconda putrefactio, gli antichi Maestri ne hanno sempre parlato come di un’uscita di un resuscitato dalla tomba e hanno spesso insistito a questo proposito sulla necessità di “restituire la vita al morto”. In effetti, morto e seppellito profondamente nella terra, Hiram rappresenta positivamente quell’anima metallica di cui il ramo di acacia ricorda simbolicamente il carattere aureo e che, vero Spirito Universale corporificato, può essere liberato dal suo sepolcro con una lunga e difficile serie di operazioni definite sublimazioni…

 

Queste furono anche chiamate Aquile da alcuni Maestri, in particolare da Filalete, perché il rapace dedicato particolarmente a Giove, e quindi all’elemento aria, ben rappresenta l’azione attrattiva del Mercurio dei Saggi che solo può capitare e di impadronirsi del minuscolo seme che non tarderà, una volta liberato dalle tenebre, a diventare per semplice cottura – ludus puerorum – nel vaso appropriato la splendida gemma della Terza Opera.

 

Di questo nome e di questo simbolo resta nel rituale di elevazione la presa di Maestro ad artiglio che sola può risollevare dalla tomba il corpo putrefatto…

 

Questa serie di operazioni, se condotte a buon fine, sono davvero il segno della Maestria, il Magistero, come si chiamò sempre in spagiria e farmaceutica l’estrazione e l’ottenimento della quintessenza di un corpo. A questo riguardo l’Adepto inglese ci dice:

 

Sappi fratello che l’esatta preparazione delle Aquile dei filosofi è considerato il primo grado della perfezione per conoscere il quale si richiede un ingegno abile [8].

 

Poco più avanti aggiunge:

 

Comprendi perciò, fratello, i detti dei Saggi quando scrivono che bisogna condurre loro aquile a divorare il leone, delle quali, tanto minore il numero, tanto più dura la lotta, tanto più tarda la vittoria, peraltro l’operazione è compiuta in modo eccellente dal numero sette o nove [9].

 

E sette sono infatti i maestri mandati alla ricerca di Hiram nel rituale attuale, mentre in un catechismo più antico si leggeva:

 

D. Che significano le nove stelle?

 

R. Il numero dei maestri inviati alla

 

ricerca del corpo di Hiram [10].

 

 

 

Coerentemente con i gradi precedenti il grembiule si tinge di rosso sulfureo mentre finalmente lo Spirito – il compasso – si è innalzato sulla materia – la squadra – e la domina perfettamente fissato. L’artista, il Maestro Massone, ha ritrovato l’acacia. Emulo di Ulisse, di Enea e di tutti i veri iniziati, è penetrato nella Camera di Mezzo e ha colto il ramo d’oro…il tanto prezioso Oro dei Filosofi che tuttavia:

 

…non è ancora la pietra ma il nostro vero zolfo [11].

 

Poiché qui termina il rituale massonico, vediamo che esso non completa l’insegnamento, ma si arresta sulla soglia della Terza Opera senza nemmeno accennarvi…

 

Peraltro le nostre ricerche sui cosiddetti “alti gradi” dei Riti più noti non ci hanno permesso di trovare qualcosa di diverso. Tutti, a cominciare dal Santo Arco Reale per finire con il 33º ed ultimo grado del Rito Scozzese, ripercorrono gli insegnamenti già dati, senza nulla aggiungere a quanto di positivo gli antichi Maestri avevano profuso con tanta sapienza e semplicità…»

 

 

 

 

 

Le conclusioni che seguivano erano davvero imperfette, quindi non le cito se non per opportune correzioni e chiarimenti doverosi.

 

Innanzitutto noto che in realtà nel tempo non ho trovato nessun riferimento esplicito all’alchimia nei cosiddetti “alti gradi”, se non in quelli del Rito Scozzese, e anche in questo caso solo in alcuni, non certamente in quello di Rosa Croce, il XVIII, che viene sempre invece curiosamente citato come ermetico. In realtà ne esiste uno abbastanza operativo, ma non è praticato e il rituale non è facilmente accessibile. Questo, tra l’altro, gli ha permesso di evitare i miglioramenti che nei secoli si sono apportati a gradi più noti e in uso.

 

In secondo luogo, come già premesso, tutta questa esegesi vale solo per i gradi scozzesi del Grande Oriente di Italia. Quindi come conclusione possibile, non mi pare si possa dedurne un rapporto tra Alchimia e Massoneria, ma casomai l’affermazione che alla base di parte della tradizione “scozzese” e dei suoi sviluppi ci furono degli innamorati della dottrina alchemica. Rileviamo in questi gradi quello che vi fu messo di proposito, con qualche scostamento dal messaggio originario libero muratorio. Comunque questo simbolismo alchemico è davvero molto marginale, poco approfondito, un po’ confuso, poco utile a chi volesse davvero penetrare gli arcani dell’alchimia. Più che altro un segnale, come a dirci che dei fratelli alchimisti sono passati di lì, simile a certe firme sui muri di vecchi monumenti lasciati da turisti vagabondi e poco educati.

 

Un’ultima cosa va detta doverosamente. Preso evidentemente da una crisi di smarrimento scrivevo:

 

«…operazioni della Grande Opera, così come le abbiamo apprese dall’insegnamento del nostro maestro Eugène Canseliet F.C.H. –  unico discepolo di Fulcanelli…»

 

Ora, più vecchio e un po’ più saggio, ben consapevole che, secondo il vecchio detto taoista, a dichiararsi allievi di qualcuno se si dicono sciocchezze si fa fare pessima figura al Maestro, chiarisco: io non ho alcun motivo per dichiararmi discepolo di Canseliet. Tutto quello che posso onestamente dire è che il buon Maestro di Savignies mi ha onorato della sua amicizia, e di questo gli sarò sempre infinitamente grato.

 

Perciò qualunque cosa io abbia detto e scritto, o dica e scriva ora, non può essere che responsabilità – merito o colpa – mia e di nessun altro.

 

 

 

Paolo Lucarelli

 

 

 

NOTE

 

[1] Muratoria e Arte Regia, Hiram, n° 5, 1985.

 

[2] Frammento di Stobeo n. XXIII: “Estratto del libro sacro di Ermete Trismegisto intitolato Pupilla del Mondo”, § 31.

 

[3] Eireneo Filalete, Opere, tradotte e curate da Paolo Lucarelli, Ed. Mediterranee, Roma 2001. Entrata aperta al palazzo chiuso del re. Cap. VII.

 

[4] Ibidem.

 

[5] Ibidem

 

[6] Instructions pour les trois premiers grades de la Franc-Maçonnerie.

 

[7] “Mutus Liber” avec une hypotypose de Magophon, in “Bibliotheca Hermetica”, Paris, 1971, p. 24.

 

[8] Filalete, op. cit.

 

[9] Ibidem

 

[10] Instructions, op. cit.

 

[11] Filalete, op. cit., cap. XIX.

Alchimia e Massoneria – Saggiultima modifica: 2009-11-30T18:41:00+01:00da giovannisantoro
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