I diritti dell’uomo su ciò che lo circonda

Di Marco Riccomini  (http://www.zen-it.com/)

 

Penso che l’unico diritto dell’uomo nei confronti dell’Ambiente che lo circonda sia quello di assolvere ai suoi doveri. Può sembrare un gioco di parole, un’affermazione/negazione, ma è inevitabile che l’Uomo torni a riconciliarsi con la Natura per trovare un nuovo equilibrio, rispettando quelle leggi universali dalle quali gradualmente si è affrancato e ritrovare quell’armonia che manca tra l’Uomo e il suo Ambiente.
Noi esseri umani, a causa di retaggi religiosi e filosofici, pensiamo che l’Universo sia qui, ora, solo per noi, al nostro servizio. Non ci vogliamo rendere conto che metafisicamente apparteniamo a un complesso di cui non rappresentiamo che un elemento, un tassello. Una parte di quel «Tutto divino», come lo definiscono gli Aborigeni, in cui il nostro corpo è solo il guscio che ricopre uno spirito cosciente e ricco di grandissime potenzialità.
La visione antropocentrica dell’Universo costituisce l’handicap che non consente di dare una giusta luce al compito che l’Uomo ha su questa Terra. Siamo qui adesso per dare un senso e un valore alla nostra esistenza, per rispettare il concetto di «coscienza positiva» e non per surrogarci a ciò che non fa parte di noi stessi, delle nostre capacità,dei nostri diritti.
Forse tutto ciò avviene perché non ci soffermiamo abbastanza a capire qual è davvero il nostro compito, il nostro obiettivo di vita. Inseguendo falsi totem e ideali di plastica stiamo inesorabilmente perdendo la «parola»: quella spia luminosa che sostiene e accresce il nostro livello di coscienza, intendendo per «parola» ciò che definisce Aldo A. Mola: ‘parola significa cultura, cammino dell’uomo dalla condizione naturale al dominio di sé e dei suoi rapporti con il mondo’.
Nel corso del tempo abbiamo dimenticato il nostro legame con la Natura, che guarda caso è Madre, genitrice, sorgente di vita perpetua. Ma l’Uomo, per un diritto conquistato con l’arroganza, ha speso le sue energie per controllare, trasformare e modificare l’ordine e l’effetto degli elementi naturali. Ma per cosa? Per il progresso, per l’evoluzione della specie, per il benessere.
L’Uomo allora ha smarrito il rispetto e il contatto con l’Ambiente, pensando   che la Natura fosse una fonte inesauribile di energia e di prodotti. L’umanità ripone una fiducia illimitata nella tecnologia, nella scienza e nelle risorse, frutto della chimica e della fisica, ma disconosce la forza sovrastante e vincente della Natura che fornisce le materie prime per la nostra sopravvivenza e il nostro sviluppo. Ma non si tratta di uno «sviluppo sostenibile», in quanto c’è un elemento di «disturbo», un tassello fuori posto: è l’Uomo che s’è arrogato il diritto di diventare una sorta di apprendista-stregone innescando un congegno che non sa più controllare, perché forse non ne è all’altezza.
La nostra specie ha battuto tutti i record dell’evoluzione in un tempo geologico brevissimo, e ciò ha portato l’Uomo ad assumere un comportamento dispotico e intransigente. È come se l’Uomo avesse chiuso gli occhi e tarpato tutti gli altri sensi, per aprire la gabbia alla mente pensante, razionale e speculativa. Un atteggiamento oserei dire suicida, in quanto l’Uomo non ha fatto i conti con le sue debolezze, con i suoi doveri e con i suoi reali diritti. Sulla scia dell’evoluzione e del progresso tecnologico, l’Uomo ha bruciato tutte le tappe grazie a un concetto di materialità e positivismo in cui contano solo i risultati e non il modo per raggiungerli.
Mi chiedo come sarebbe stato l’Universo senza l’Uomo: certamente le piccole e grandi «catastrofi» quotidiane non avrebbero modificato quell’equilibrio delle cose che regola tutti gli avvenimenti. L’Uomo, secondo il mio modesto parere, si è appropriato indebitamente del ruolo di padrone e dominatore degli elementi, surrogandosi alla Natura. E forse questo atteggiamento può essere dovuto al fatto che ha capito presto quanto era debole e vulnerabile di fronte a un Ambiente di per sé dominante e condizionante. Su questa Terra, in questo Universo, non siamo i padroni ma solo degli ospiti di passaggio.
Cosa siamo di fronte a una goccia d’acqua che cade nel mare, all’«eternità» di un cristallo di carbonio, all’energia d’un terremoto o a un vulcano che trabocca lava incandescente? La cultura di sfruttamento irrazionale delle risorse ci ha portato a non «sentire» l’energia che proviene dai componenti del nostro habitat. Non a caso nel rito di iniziazione intraprendiamo un viaggio attraverso i quattro elementi: un itinerario di purificazione che comincia dalla «terra» nel gabinetto di riflessione fino ad arrivare alla prova del fuoco. Sono prove di grande valore esoterico ma anche realistico, in quanto ogni giorno dobbiamo confrontarci con la nostra Madre Natura, sempre pronta a elargire ricchezze e a stupirci con i suoi effetti mirabolanti.
L’Uomo però non ha creato niente ma ha distrutto e trasformato per il suo fabbisogno di sopravvivenza, in primis, e di piacere e benessere poi. Dobbiamo capire, forse, fino a dove vogliamo spingere il grado di alterazione della Natura e dell’Ambiente nel quale obbligatoriamente dobbiamo vivere e convivere, spesso anche in flagrante contraddizione con le esigenze spirituali e materiali della nostra specie.
«Nulla si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma». Con il passare del tempo mi sono reso conto di quanto sia valida questa legge: una sorta di aforisma universale a cui niente e nessuno può sottrarsi. Nell’affannosa ricerca del benessere, del progresso e della conquista a tutti i costi non ci accorgiamo di quanto siamo arroganti, ignoranti e autolesionisti.
Siamo forse come un’auto bellissima e super-accessoriata ma senza motore; senza quell’anima, quello spirito vitale che ci distingue dalla materialità fine solo a se stessa. Una materialità che risponde a delle leggi artificiali, valide solo per il consumismo e per quel progetto «diabolico» che vede l’Uomo al centro di un Universo non certo suo ma che comunque non lo merita.
Essere non è un presupposto divino o istituzionale. Penso che per far parte dell’umanità e dell’Ambiente è necessario conquistare sul campo il diritto di essere e quindi d’esistere. Esistere non è come essere, altrimenti rischiamo di confondere il concetto evolutivo della vita con un postulato, con un principio artificiale frutto solo della convenienza.
È giunto il momento di riconciliarsi con la Natura, di stipulare un nuovo contratto, con due firme stavolta, in cui l’Uomo sarà sicuramente il maggiore beneficiario. Il mondo incontaminato potrà continuare a esistere e l’uomo potrà ritrovare quell’equilibrio materiale e morale che gli manca.
A questo punto l’Uomo sarà davvero l’artefice del proprio destino, conservando un tesoro culturale che effettivamente gli appartiene di diritto. Il grado di civiltà e di evoluzione non si misura in kilowatt o tonnellate di petrolio ma da chiari connotati morali e spirituali, in diretta connessione con la saggezza degli uomini.
Tutto questo in sintonia e in accordo con le leggi della Natura e dell’Universo – ossia di quel «Tutto divino» – dalle quali l’Uomo non può svincolarsi, perché sono leggi incise nella costituzione stessa del mondo in cui l’Essere Supremo lo ha posto.
Come Massone m’impegno per lavorare al bene e al progresso dell’umanità, ma non perdendo di vista i doveri nei confronti con tutto ciò che mi circonda. Perché se sono qui ora e posso sopravvivere, lo devo solo a mia Madre, Madre Natura Universale, sorgente di vita. Nei suoi confronti ho solo il diritto di onorarla, rispettarla e conservarla perché senza di Lei non potrei neppure esistere e il mio spirito vagherebbe nell’infinito. Noi Figli della Vedova abbiamo il compito di irradiare di luce tutto ciò che ci circonda, grazie al lavoro in Officina, sgrossando una pietra che non diventerà mai perfettamente liscia.
Dobbiamo quindi affrontare un percorso alchemico per trasformare la materia in spirito, per spogliarci di questa «prigione corporea», e guadagnare così il diritto di essere il quinto elemento.
«Voi potete guardarmi con ironico compatimento, tutto ciò che dico vi può sembrare inutile e risibile, ma quando passo lungo il bordo di un bosco che ho salvato dalla distruzione, o ancora quando odo stormire e fremere un giovane alberello piantato con le mie stesse mani, allora sento che la Natura stessa è un poco in mio potere, e che se fra mille anni l’Uomo potrà essere felice, sarà anche, in piccola parte, merito mio».
(Cechov)
I diritti dell’uomo su ciò che lo circondaultima modifica: 2009-05-22T17:10:00+02:00da giovannisantoro
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