La tradizione alchemica nel XX secolo

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Relazione tenuta al convegno L’Altra Sapienza

dell’11 dicembre 1999, organizzato dalla
Associazione Alpi marittime

di Paolo Lucarelli

(articolo tratto da: http://www.zen-it.com/

Quello che mi propongo è un esame inevitabilmente molto succinto dei principali eventi con cui si è manifestata la Tradizione Ermetica in Europa in questo secolo.
Inizierò dalla splendida esposizione del professor Mola. Credo infatti che all’Ermetismo si possa adattare lo stesso commento che egli ha fatto per il mondo politico e sociale: il ventesimo secolo inizia con un’esplosione di speranze e di ottimismo, e si chiude, come diceva molto bene, come tutti noi possiamo confermare, in maniera piuttosto “melanconica”.
Il secolo precedente era parso ben poco favorevole alle metafisiche di liberazione. L’Ottocento positivista e scientista, glorioso dei suoi progressi scientifici e tecnologici, sembrava aver dato, e comunque prometteva di dare, tutte le risposte, anche quelle più profonde che nascono da esigenze spirituali ed esistenziali. Questa fiducia, questa sicurezza, permeava ogni settore della vita. Garantiva a tutti, per qualunque necessità, se non la risposta immediata, il Metodo per arrivarvi senza dubbi.    Ci vorrà una guerra, la prima guerra mondiale, per dare un vigoroso scrollone a questo edificio di certezze.
Si è detto che il Novecento è stato un secolo breve: inizia con quella guerra e termina con la caduta del muro di Berlino. La guerra del 14-18, la Grande Guerra, chiude la “Belle Époque”. Per la prima volta la tecnologia mostra il suo vero volto. Per la prima volta il “popolo”, questa misteriosa entità che si vuole talvolta chiamare con qualche disprezzo “massa”, parola che non piaceva a Lenin, forse perché troppo chiara e scoperta nel manifestare l’orrore che nasconde la prima, per la prima volta il popolo viene manipolato, usato, diventa “carne da cannone”, prima di diventare “mercato e risorsa”.
Le grandi illusioni cominciano a incrinarsi, il grande ottimismo vacilla. Curiosamente proprio il successo della scienza e della tecnologia risveglia nuovi, o vecchissimi, sentieri di spiritualità. L’Ermetismo, la Gnosi Ermetica, ha la sua parte che riassumiamo in quattro manifestazioni. La cronologia non sarà perfetta, tuttavia si possono collocare logicamente tutte nel primo periodo del “secolo breve”.
Sono: la pubblicazione delle opere di Fulcanelli e di Julius Evola; la divulgazione della tradizione tantrica; lo sviluppo della teoria psicologica di Jung. Questi quattro eventi, seppure in diversi modi, riporteranno l’Ermetismo, e l’Alchimia, in primo piano. Iniziamo da quello che ha avuto più successo, più influenza nel mondo comune, e più fama: la teoria junghiana.

Jung scoprì, e questo fu materia di forte contesa col suo maestro Freud, anzi di terribile contrasto sino a una rottura insanabile, che i suoi pazienti, i suoi clienti, sognavano secondo sistemi simbolici che ricordavano quelli alchemici.
Approfondì questi fenomeni, studiando più attentamente la simbologia ermetica e quella più generale dei miti e delle religioni, e ne dedusse una teoria molto semplice, ma molto soddisfacente. Questa riconosceva nel profondo della psiche umana un insieme di costellazioni simboliche che egli chiama Archetipi, manifestazione generale di qualcosa che possiamo definire Inconscio Universale. Questa psiche profonda sarebbe comune a tutta l’umanità, quasi un fattore genetico, e genererebbe, avrebbe generato, da sempre e per sempre, tutte le immagini mitiche, religiose, mistiche, iniziatiche dell’uomo.
Jung vedeva l’essere umano, o meglio la sua psiche, divisa in una parte maschile e in una femminile. Li chiamò “animus” e “anima”. Dalla sostanziale inconciliabilità di questi due opposti nascerebbero tutte le sofferenze psichiche e emotive dell’uomo, la sua incapacità ad accettarsi e ad accettare la propria vita per un rapporto armonioso col mondo. L’obiettivo del “malato” e del medico che lo cura sarà quindi una “coniunctio oppositorum”, una riconciliazione tra animo e anima, ricostituendo nell’essere umano una situazione di “salute”, cioè di integrazione soddisfatta con chi lo circonda, uomini, società e natura in genere.
La lettura dei testi di Alchimia convinse Jung che la cosiddetta Grande Opera era esatta descrizione di questo processo travestita da un linguaggio ingannevolmente chimico-metallurgico, dove a una lettura attenta e avvertita i simboli iniziatici diventavano trasparenti rappresentazioni di processi della mente profonda nel suo cammino di reintegrazione e di riconciliazione degli opposti.

Non era teoria originale, né sul piano dei contenuti, né su quello delle origini, ma certo stravolgente. Non per il primo, perché è ricostruzione banalizzata e molto semplificata di antiche metafisiche, che forse Avicenna, con l’immagine dell’Intelletto Attivo, dispiegò più esaurientemente. Ma evidentemente da Platone in poi tracce di uno Spirito o un’Anima Universali che racchiudono un mondo di Idee o Archetipi, sola e unica realtà, sono una costante in tutta la cultura occidentale.
Non per il secondo perché in Jung si chiude un percorso iniziato altrove. Un inglese, lo Yarker, iniziato in massoneria agli alti gradi del Rito di Memphis e Misraim, e quindi a un insegnamento squisitamente ermetico, ebbe contatti negli Stati Uniti con un confratello,  il generale Hitchcock, valoroso guerriero, uomo politico, interessato all’arte alchemica.
Fu Hitchcock il primo a divulgare la spiegazione spirituale e magica dei testi ermetici che gli parve di intravedere dalle spiegazioni dello Yarker. I suoi scritti giunsero tra le mani di Silberer, medico viennese che, molto colpito da questa lettura simbolica, cercò di adattarla alla psicologia umana. Jung, che lo frequentava, ne trasse tutte le conseguenze che ho detto.
Possiamo aggiungere che, come è evidente per poco che si conosca la letteratura ermetica, sullo psichiatra deve avere avuto influenza anche una forte figura di alchimista, allievo di Paracelso, e grande divulgatore degli insegnamenti del suo maestro nel XVI secolo, Gerhard Dorn, l’unico, a mia conoscenza, che invece di usare l’antica terminologia di Spirito e Anima per indicare Zolfo e Mercurio dei Filosofi, li definì Animus e Anima.

Il successo della teoria junghiana fu ed è ancora enorme. D’altronde spiegava in modo accettabile per una cultura che si credeva scientifica, un linguaggio esoterico che era rimasto per millenni chiuso e inaccessibile.
Inoltre dalla sua spiegazione, vagamente erotica, emergeva la soluzione di un problema della società contemporanea. Trasformare il Re e la Regina della Grande Opera, il maschio e la femmina, da complementari in “opposti”, è evidentemente una visione molto poco naturale, ma ben comprensibile in una società che non riesce più a sopportare questo rapporto senza soffrirne.
Non merita che un accenno il metodo di studio dei testi alchemici utilizzato da Jung e dalla sua scuola. Di norma si fonda sul fatto, semplicissimo, che essendo queste opere estremamente esoteriche, se si ha l’accortezza di eliminare le parti che non si possono in alcun modo interpretare, quello che resta, o che si sceglie opportunamente, con un po’ di buona volontà è adattabile quasi a tutto.
Parve all’uomo occidentale di poter finalmente penetrare la gnosi ermetica, e di scoprire che in fondo null’altro era se non una descrizione delle sue nevrosi quotidiane, e del modo per risolverle. Zosimo, Arnaldo da Villanova, Raimondo Lullo, Nicolas Flamel e tutti gli altri, diventavano così, diventano così, poco più della Profezia di Celestino, anche se scritti in modo un po’ più elusivo.
L’Alchimia ritrovò risorto interesse e si ripresero i testi degli antichi maestri, dal Rosarius all’Aurora Consurgens, mentre certi termini cominciarono ad essere quasi di uso comune.
Restava però un’Alchimia per psicologi, o psicoanalisti. Anche a voler approfondire le teorie junghiane, queste si disfacevano come nuvolette di fronte alla praticità dell’uomo immerso nella vita quotidiana. Finirono per sembrare quasi altrettanto esoteriche dei libri da cui erano partite.

Venne a soccorso l’aiuto di una serie di studiosi inglesi che visitando e studiando il Tibet e le sue tradizioni spiegarono il Tantra. Il Tantra divulgato, come era già avvenuto per altre metafisiche orientali, diventò una religione dell’atto sessuale, che vi trova giustificazione, appagamento e raffinatezze sconosciute, per non dire inimmaginabili, all’uomo comune.
Qui, con un’incoerenza che pare sfugga ancora, si volle fondere una metafisica in cui l’unione del maschile e del femminile diventa ricostruzione dell’androgino primordiale, con la “congiunzione degli opposti” junghiana. Ma non si cercava né coerenza, né metafisica.
In realtà quello che stava avvenendo era la corporificazione, per dirla alchemicamente, delle nevrosi occidentali, che potevano finalmente tradurre la semplice, ma confusa e comunque inapplicabile, teoria junghiana in un’operatività concreta e soddisfacente.
La teoria non era completamente insensata. In effetti la tradizione tibetana aveva certamente ricevuto tra l’altro influssi persiani, e per loro tramite, ermetici. Certo simbolismo, così simile a quello dei testi greco alessandrini, che colpì l’immaginazione degli studiosi, derivava probabilmente da un contatto, anche se mediato, tra i due centri. Ricordiamo inoltre che il fondatore più o meno mitico del buddismo tibetano, Nagarjuna, resta nella leggenda come un grande alchimista, e suoi testi sono estremamente coerenti sia sul piano simbolico che su quello linguistico con quelli di Alessandria.
Non posso qui approfondire un problema tanto discusso. Zolla sostiene, con ottime argomentazioni, che sia l’inverso ad essere avvenuto, e cioè che monaci buddisti nel III secolo abbiano portato insegnamenti nella città egizia, dando stimoli non solo all’ermetismo ma allo stesso messaggio cristiano. L’ipotesi è affascinante, ed è confortata da studiosi che trovano nell’antico cinese, e non nel greco o, come fanno altri, nel nome antico dell’Egitto, l’origine etimologica della parola Alchimia.
Certo il simbolo dei due canali che circondano la colonna vertebrale come i serpenti del Caduceo di Mercurio, i sette “chakra” attraverso cui deve salire “Kundalini” per raggiungere la sommità del capo e provocare il risveglio metafisico dell’iniziato, sono così strettamente simili a certi insegnamenti ermetici e a certe immagini dell’antica gnosi, che sembra difficile contestare uno stretto rapporto.
Tuttavia nella divulgazione tutto ciò, come è noto, diventò semplicemente lettura sessuale della tradizione ermetica, con interpretazioni che scivolano tra il ridicolo e il pervertito.
Per l’uomo comune, il profano diremmo noi, anche se studioso ed erudito, il problema ermetico aveva ora una soluzione soddisfacente che sposava le teorie psicoanalitiche e tantriche in un’unione perversa che spiega tutto: il simbolo come produzione costante nel tempo e nello spazio dell’inconscio universale che tutto unifica in una grande e altrettanto universale nevrosi, dove le pulsioni sessuali si manifestano nella loro forma più brutale e primigenia. L’alchimia è l’arte che le domina, le incanala e in qualche modo le traduce in fenomeno controllabile, cioè la fusione armonica degli opposti, dei due sessi, in congiunzioni che vincono i timori del maschio e quietano le ritrosie della femmina.

Mentre l’Alchimia si “istituzionalizzava” trovando definizioni molto tranquillizzanti per la cultura ufficiale, la pubblicazione di due opere, una in Francia, l’altra in Italia, rischiarono di sconvolgere questa pacifica situazione mostrando che l’antica Arte Sacerdotale era ancora viva e praticata, e che non era scomparsa dall’Occidente, ridotta a rovine da esaminarsi come puri resti archeologici. Erano La Tradizione Ermetica, di Julius Evola, e Il Mistero delle Cattedrali, seguito poi da Le Dimore Filosofali, di Fulcanelli.
Si trattava in realtà di due opere molto diverse, anche se unite dal comune sentire. La prima rivolta alla parte filosofica della tradizione, ne rievocava simboli misterici, proponendo interpretazioni metafisiche, con una incredibile ricchezza di citazioni simboliche. Fulcanelli invece, alchimista operativo nel senso più antico del termine, ricostruiva partendo dal simbolismo ermetico i punti principali della Grande Opera illustrandone i principi teorici e la prassi sperimentale, con un dettaglio e una precisione mai visti prima.
Entrambi testimoniavano non solo una evidente vitalità dell’Ermetismo, ma anche l’esistenza di almeno due centri “iniziatici”, collocati uno probabilmente a Napoli e l’altro in Francia, forse a Parigi.
Ci si chiede inevitabilmente se esistesse un qualche collegamento. È possibile, anche tenendo conto di alcuni documenti venuti recentemente alla luce in modo affatto casuale. Ma al di là dei fatti biografici, sempre insignificanti, queste opere costringevano ad ammettere la necessità di una lettura dei testi ermetici che non fosse psicoanalitica, o buddista, o iperchimica, ma “alchemica”. Non solo: l’Alchimia cessava di essere una manifestazione del passato, da studiarsi come curiosità antropologica o storica, ma acquisiva una attualità sconcertante.
La reazione fu inevitabile e ovvia. La cultura ufficiale, o istituzionale, rifiutò di prendere in considerazione il fenomeno, non volle affrontarlo nemmeno per curiosità naturale. D’altra parte sia Evola che Fulcanelli dimostravano tale ricchezza culturale, anche dal punto di vista profano, da rendere difficile la critica o la derisione. Calò un imbarazzato silenzio. Letti da tutti, venduti in milioni di copie, pochissimi osarono parlarne.
Basta leggere un qualsiasi trattato universitario sull’ermetismo della seconda metà del ventesimo secolo, o gli atti di un qualche convegno sull’argomento, per notare l’assurdo: Evola e Fulcanelli non sono mai citati, mentre continuano ad essere fondamento di qualunque epistemologia l’interpretazione junghiana e quella che possiamo definire genericamente yoghin. Ci si chiede se ciò abbia contato nella società europea.

Sicuramente agli inizi del secolo, sino alla seconda guerra mondiale, credo di poter affermare che le influenze furono molteplici, alcune estremamente interessanti. È difficile per esempio comprendere a fondo il fenomeno surrealista senza tener conto dei contatti con quella che possiamo chiamare la “scuola di Fulcanelli”, e lo stesso potremmo dire di altre manifestazioni artistiche, come quella del “Cavaliere azzurro”, o la sperimentazione musicale di Schömberg.
L’ermetismo, se non l’alchimia operativa vera e propria, penetrò in molti ambienti, influenzò alcune dottrine politiche, eccitò la curiosità di personaggi insospettabili, come un sottinteso legame sotterraneo tra momenti molto diversi della vita sociale e culturale. Come un ultimo sprazzo di vitalità, prima della definitiva scomparsa. Dico questo perché, alla fine del secolo, tutto si capovolge.
Fulcanelli lasciò un solo discepolo, Eugène Canseliet. Questi forse uno o due. Restano forse in occidente ancora alchimisti, ma in un numero che possiamo immaginare ridottissimo. Non rappresentano certo un’entità significante né sul piano culturale né su quello iniziatico.
Anche di Evola, e del centro che egli rappresentava, non risultano successori. Entrambi, Evola e Fulcanelli, appaiono come  due ultimi e definitivi istanti eccezionali, quasi due sussulti, di un corpo moribondo che giunto alla fine, come avviene talvolta, manifesta uno sprazzo di incredibile vitalità, per spegnersi poi silenziosamente.
Il secolo si chiude quindi con il ritiro della Tradizione Ermetica dall’Occidente, scomparsa melanconica, come abbiamo detto all’inizio.
Resta l’evidente mediocrità di una cultura “manierista”, fatta tutta di epigoni, fondata su una visione esclusivamente mercantile, giunta alle ultime conseguenze della vittoria borghese della Grande Rivoluzione, entrata ormai nel suo ciclo calante, anche in termini biologici se dobbiamo ammetterne l’evidente calo demografico.
Non è, si noti, la fine della Tradizione Ermetica. Sappiamo che questa continua ad essere forte e vitale in altri paesi, in altre culture. In India, dove Benares ha il privilegio di possedere addirittura una cattedra universitaria dedicata all’Alchimia. In Cina, dovunque il taoismo continui ad essere praticato. A Burma, come testimonia Zolla. In paesi musulmani, nell’Iran così ben studiato da Corbin, in Marocco e altrove. Sono le culture ora biologicamente più vitali, quelle che dovranno sostituirci, da cui a suo tempo l’Ermetismo fu trasportato in Europa, ormai quasi mille anni fa.
Nell’immenso gioco di alternanze dei cicli storici delle civiltà e dei popoli, la nostra curiosa convinzione di essere eterni ricorda gli ultimi anni dell’Impero Bizantino. Dovremmo rammentare piuttosto che tutto su questa terra nasce, cresce, evolve, deperisce e muore, e che in fondo è un interessante privilegio poter assistere alla decadenza di una civiltà che, persi gli archetipi, resta come corpo morto destinato alla putrefazione, lenta ma inesorabile.
Uno dei più famosi aforismi alchemici dice: Putrefactio unius est generatio alterius. Dalla putrefazione nasce sempre un corpo nuovo e rivitalizzato, di norma più puro e migliore del precedente. Forse la nostra melanconia è solo attaccamento sterile e un po’ sciocco a qualcosa che è già svanito, come i parenti e gli amici più affezionati amano talvolta visitare la tomba dello scomparso, ricordandone atti o carezze.
Abitudine per lo più da vecchi un po’ rimbecilliti.

La tradizione alchemica nel XX secoloultima modifica: 2009-04-14T18:07:22+02:00da giovannisantoro
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2 pensieri su “La tradizione alchemica nel XX secolo

  1. Complimenti per il blog. Ottimo, ben curato per veste grafica e contenuti. Una vera passione che condivido pienamente. Grazie.

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