Il Rituale Come Prassi Filosofica E Arte Di Memoria

Maurizio Nicosia
 

Il rituale d’apertura dei lavori in grado d’apprendista ha un incedere solenne, maestoso, e non potrebbe essere altrimenti: pone le basi, le fondamenta dell’opera massonica anche per i gradi successivi. Chi ben comincia è a metà dell’opera. A ripensarci, è evidente il sapore massonico di questo adagio, sia sul piano rigorosamente operativo, in cui salde fondamenta garantiscono la durata d’un edificio, sia sul piano iniziatico, in cui il cominciamento del cammino è conditio sine qua non.
Anche all’osservatore più distratto non può sfuggire il valore che nel rituale d’apertura è attribuito al tre: tre le domande del testamento a cui il profano deve rispondere, tre l’età simbolica dell’apprendista, tre i colpi di maglietto e della batteria, tre le luci e i gioielli di loggia, tre volte si nomina lo zenit, acme del percorso solare; tre i principî guida dell’opera: la saggezza, la forza, la bellezza; tre volte ripetuti i divieti di parlare di politica e religione, tre volte ripetuta la concessione della parola; il delta luminoso, infine, alle spalle del Maestro Venerabile 1.
Meno evidente invece la tripartizione che organizza e ritmicamente scandisce le fasi dell’apertura. Tre volte ci si pone all’ordine: 1) dopo la copertura del tempio, per verificare che tutti siano liberi muratori; 2) al momento di consacrare il tempio, con l’apertura del libro sacro e la sovrapposizione di squadra e compasso; 3) alla vera e propria apertura dei lavori. Non a caso ci si pone all’ordine tre volte: per scandire con la massima solennità le tre fasi d’apertura dei lavori. Nella prima fase il Maestro Venerabile si accerta che l’officina abbia consapevolezza dei proprî doveri: e sono nove i doveri menzionati, multiplo di tre, come la triplice batteria. Quindi si accerta che vi siano le condizioni idonee, nel tempo e nel fine: e ne enumera tre . La seconda fase riguarda la consacrazione del tempio, e la triplice comunicazione dei divieti che comporta. L’ultima, che vede la vera e propria apertura dei lavori, ribadita dai principî che la devono guidare: saggezza, forza, bellezza.

 

Ciò significa che il tre non è solo un importante simbolo del grado, ma un fondamentale criterio organizzativo, un sistema concettuale o filosofico o sapienziale, di cui tutto il rituale d’apertura è imbevuto; e questo criterio si applica sia ai singoli elementi, come l’età del grado e così via, sia a tutto l’insieme. In altre parole il rituale d’apertura ha struttura triadica o tripartita. È nel rituale d’apertura che si manifesta, immediatamente, un sistema organizzativo del pensiero: chi ben comincia è a metà dell’opera; o forse ancora più in là, come sostiene Aristotele 2.
In tempi in cui le tre Luci non avevano sotto mano il rituale stampato, e forse per ragioni di sicurezza nemmeno disponevano di un manoscritto, era assolutamente necessario darsi una struttura mentale per non dimenticare l’ordine rituale dei lavori, le proprie e le altrui funzioni, e per istruire l’officina: inevitabile dunque far ricorso all’arte della memoria 3. Ed è parecchio stimolante notare che per Giordano Bruno, che il Grande Oriente d’Italia considera come proprio precursore, «la sede della mente e della memoria è distinta in tre parti» 4.

Diagramma radiale dell’arte bruniana della memoria.
Dal De umbris idearum
 

L’indicazione di Bruno non è rimasta senza seguito. Francesco Bacone, nell’istituire una metodologia di ricerca sulla natura di tipo induttivo, che si fondi sull’esperienza e sulla verifica dell’esperienza, pone come fondamento la «dottrina delle tabulae», o delle tavole, termine non ignoto ai massoni. La compilazione delle tavole -così si esprime Bacone- apre la possibilità, da un lato, di condurre alla «fonte delle cose», e dall’altro di «organizzare e ordinare i contenuti acquisiti in modo da consentire all’intelletto d’agire su di essi»; quest’attività organizzativa dei contenuti acquisiti Bacone la chiama «Ministratio ad memoriam», organizzazione della memoria 5. In ciò le tavole, nel metodo baconiano, hanno funzione fondamentale, soprattutto le tavole di primo grado, che organizzano e dividono la conoscenza acquisita in tre parti, secondo il metodo di Bruno. Si avrà così la tabula presentiae, che raccoglie i casi in cui il fenomeno si manifesta; la Tabula absentiae, con i casi in cui il fenomeno non si manifesta, e la tabula graduum, dove rientrano i casi misti, graduali. Riconnettendosi esplicitamente alla tematica di Bruno della luce, delle tenebre, e dell’ombra, che è un caso graduale dei due fenomeni, Bacone, principiando l’indagine della natura dal fenomeno calore, ricovera nella tabula presentiae il sole e nella tabula absentiae la luna, altre effigî non sconosciute al tempio massonico6.

 

L’ipotesi d’un influsso baconiano, per ciò che riguarda la consuetudine delle tavole massoniche, ci riconduce alle origini della metodologia moderna, ai tempi in cui a Londra la Royal Society innalzava a vessillo di una nuova filosofia sperimentale della natura proprio Francesco Bacone: correva l’anno 1660. Sappiamo che tra i fondatori della società figuravano Elias Ashmole e Robert Moray, entrambi massoni da quasi vent’anni e soci influenti, al punto che Isaac Newton, il grande personaggio della Royal Society, ha per molto tempo studiato l’antologia di Ashmole sugli alchimisti inglesi 7.
La Royal Society nasceva in quell’anno dopo una lunga, quasi ventennale gestazione. Le riunioni che porteranno alla prestigiosa fondazione cominciano intorno al 1645 per iniziativa di Haak, un tedesco originario del Palatinato, e di Wilkins, il cappellano del principe palatino. La Yates ha dimostrato con dovizia di dati come dal matrimonio del principe palatino con Elisabetta Stuart d’Inghilterra sortisse l’abbondante letteratura rosacrociana del Seicento. L’Europa protestante vide nel matrimonio la possibilità di fermare la Controriforma cattolica e la potenza asburgica dominante. È in quel clima fervido di speranze per una riforma generale delle arti, delle scienze, della religione, che i manifesti rosacrociani (1614) destano entusiasmo in tutta Europa. E le speranze per la riforma universale, brutalmente troncate dalla guerra dei trent’anni, si concreteranno quarant’anni dopo, almeno per i territorî scientifici, nel baconianesimo della Royal Society, e nella sua «dottrina delle tavole». E, per comune intento di superare definitivamente i conflitti religiosi che avevano devastato l’Europa, era proibito, nelle riunioni della Royal Society, parlare di religione: un altro aspetto non ignoto ai massoni 8.
Tra gli altri fondatori della Royal Society appare anche Cristopher Wren, il famoso architetto della cattedrale di S. Paolo, Gran Maestro della massoneria operativa 9. La sintomatica presenza di questo architetto d’influsso vitruviano-palladiano nella società che vedeva massoni e studiosi d’alchimia e pensiero rosacrociano ci introduce all’altra fondamentale influenza sul rituale d’apertura, in particolare sulla sua organizzazione mnemonica e metodologica tripartita, che proviene dal De Architectura di Vitruvio.

 

In Inghilterra Vitruvio 10 conosce una fortuna straordinaria in quel lasso d’anni che vede il fervore di riunioni e la fondazione della Royal Society, la fondazione della Gran Loggia Unita d’Inghilterra nel 1717, e la pubblicazione delle Costituzioni massoniche di Anderson del 1723. Periodo che i manuali di storia dell’arte definiscono «palladiano», fenomeno esclusivamente, tipicamente inglese, tanto che Anderson, nelle Costituzioni, lamenta con cognizione che «il grande Palladio non fu tuttavia sufficientemente imitato in Italia» 11.
Il testo di Vitruvio viene riscoperto e pubblicato in Italia nel Cinquecento: quattro edizioni latine e nove in italiano, senza contare le copie manoscritte e disegnate da architetti di grande fama. In Europa, salvo due edizioni cinquecentesche, la prima a consacrare la fama di Vitruvio tra gli architetti è del 1649, ad Amsterdam. È un’edizione quanto mai ampia, che raccoglie i commenti di Daniele Barbaro ed Henry Wotton 12. Nella concezione di Daniele Barbaro l’architettura «sopra ogni Arte, significa cioè rappresenta le cose alla virtù» 13.


Ritratto di Daniele Barbaro attribuito a Paolo Veronese. In mano regge la sua edizione del Vitruvius; alle sue spalle è il suo trattato sulla prospettiva
 

Il pensiero era condiviso anche dal Palladio, che nel suo trattato sull’architettura, dove dichiara Vitruvio suo «Maestro e guida», aveva posto a frontespizio un tempio con la virtù in trono sulla sommità: il suo trattato innalza letteralmente «un tempio alla virtù». Palladio che, giova ricordarlo, aveva compiuto il tradizionale percorso del maestro muratore 14, riteneva che l’arte poggiasse su principî universali e perciò approssimasse alla sapienza. E il suo amico Barbaro sosteneva che la «virtù consiste nell’applicazione»: la si raggiunge edificando.
Quanto a Wotton, nei suoi commentarî a Vitruvio, ricordava che il «Maestro Vitruvio» invitava a non essere un «Artefice superficiale e malcerto; ma un uomo che si immerge nelle Cause e nei Misteri della Proporzione» (corsivi e maiuscole come nel testo). Henry Wotton è altra persona legata al movimento rosacrociano che ha origine nel Palatinato giungendo addirittura a un culto per Elisabetta, la moglie del principe palatino, che durò tutta la vita 15.
Ma primo promotore della riscoperta dell’architetto e trattatista romano è Inigo Jones, amico di Wotton, architetto inglese e massone cui si deve l’avvìo dello stile palladiano che avrà stessa, straordinaria fortuna anche negli Stati Uniti d’America: basti pensare alla Casa Bianca.


Inigo Jones sessantenne ritratto da Anton van Dyck, circa 1640
 

Inigo Jones, in esordio di carriera, viaggiò tra il 1613 e il ’14 tra Italia e Nel nostro paese studiò attentamente Germania. l’architettura antica, Vitruvio, e naturalmente Palladio; in Germania, dove lavorò anch’egli al servizio del principe palatino, il protettore dei rosacrociani, ebbe modo di approfondire gli studî su Vitruvio: stabilendo un’intensa amicizia col vitruviano Salomon de Caus, architetto francese protestante col quale nascerà un sodalizio che avrà un determinante seguito in Inghilterra negli anni Quaranta, nella stagione palladiana. De Caus, che progettò il giardino del castello di Heidelberg, dove viveva il principe palatino, connotandolo di una marcata flessione esoterica ed ermetica, nello stesso giro d’anni pubblica Les raisons des forces mouvantes, fortemente influenzato dai capitoli vitruviani sulla meccanica. Inigo Jones e Salomon de Caus, «sotto l’influsso della riscoperta di Vitruvio, coltiveranno quelle discipline che Vitruvio raccomanda come indispensabili per il vero architetto: le arti e le scienze basate sul numero e la proporzione, la musica, la prospettiva, la pittura, la meccanica e così via» Tornato a Londra Inigo Jones progettò per la 16. città un grandioso piano articolato significativamente in tre poli, distrutto purtroppo dall’incendio del 1666 esame attento il progetto di 17. E a un triarticolazione della città discende dagli attenti, continui studî vitruviani, durante i quali Inigo Jones si volle perfino procurare disegni di Palladio sul trattato vitruviano.

 

A tentare una sintesi, appare chiaro che il recupero di Vitruvio, del suo trattato e del suo modus operandi ci riconduce ogni qual volta, in quell’epoca, a persone direttamente o indirettamente legate al mondo massonico. Palladio, che è il primo, con Daniele Barbaro, a riscoprirlo, conobbe ancora le antiche corporazioni muratorie. Inigo Jones e quindi Cristopher Wren, entrambi massoni. De Caus e Wotton, di cui non sappiamo se fossero massoni, sono però legati al rosacrocianesimo che si sviluppa dal Palatinato, come lo stesso Inigo Jones. E al rosacrocianesimo d’impronta palatina sono legati molti esponenti della Royal Society, anch’essi massoni, e lo stesso Wren, Gran Maestro della Massoneria operativa, architetto vitruviano, cioè cultore di scienze e perciò promotore della Royal Society.
Infatti molti storici sostengono che il palladianesimo angloamericano sia, di fatto, lo stile architettonico della Massoneria 18. D’altronde un’attenta lettura delle Costituzioni di Anderson del 1723, sceverando mito da storia, conduce nella medesima direzione. Il primo architetto storico menzionato da Anderson è Vitruvio, «padre di tutti gli autentici architetti». Seguono a ruota, tra le figure storiche di «autentici architetti» Palladio e Inigo Jones, «Grande Maestro Muratore»: «al tempo di Augusto, sotto il cui regno nacque il Messia, Grande Architetto della Chiesa, visse Vitruvio, il Padre di tutti gli Autentici Architetti fino a oggi…il Grande Palladio non fu tuttavia sufficientemente imitato in Italia, ma giustamente esaltato dal nostro Grande Maestro Muratore Inigo Jones» . Chiude la carrellata Cristopher Wren, cui spettano lodi e menzioni 19.
Non è dunque un caso se la prima edizione londinese del De Architectura di Vitruvio esca qualche anno dopo le Costituzioni di Anderson, con i commenti di Barbaro, Wotton e naturalmente Inigo Jones, citato anche nel titolo 20; e nel giro di poco tempo, dopo una totale assenza nel mercato librario, si registrano ben cinque edizioni di cui una replicata l’anno successivo, cosa, a quei tempi, da best seller.
È da immaginare che persone così autorevoli, architetti e scienziati, soci della Royal Society, urbanisti, trattatisti e poeti, difficilmente in officina si siano limitati a portare la «bavetta rialzata». È da immaginare che abbiano contribuito attivamente alla edificazione della massoneria speculativa almeno quanto hanno contribuito all’edificazione della città, come voleva Vitruvio, e alla diffusione del suo stile. È da immaginare che abbiano plasmato il lavoro di loggia come plasmavano le fasi di progettazione e realizzazione architettoniche. È da immaginare insomma che abbiano introdotto loro, nel rituale, non solo le copiose citazioni da Vitruvio, ma la stessa struttura concettuale del «padre di tutti gli autentici architetti».

 

A un primo esame del testo vitruviano ci si imbatte nell’ormai familiare sistematizzazione logico-geometrica del pensiero per progressioni triadiche, prima delle quali divide le ‘parti’ dell’architettura in aedificatio, o costruzione, gnomica, o l’arte di misurare il tempo per la realizzazione d’orologi, e la machinatio, o meccanica. La aedificatio a sua volta si suddivide in tre generi: defensio, o architettura militare, religio, o edilizia religiosa, e opportunitas, le costruzioni di pubblica utilità. La aedificatio è governata in tutti i suoi generi da tre concetti: la firmitas, la venustas, la utilitas. E qui troviamo i primi concetti a noi consueti: firmitas, che si traduce correntemente in ‘solidità’, è criterio essenziale per il fondamento dell’opera; il rituale ne dispiega le valenze recitando: «la forza lo renda saldo»; la venustas è propriamente la bellezza – «la bellezza lo irradi e lo compia»; quanto all’utilitas, Vitruvio specifica che «richiede che la costruzione risponda allo scopo». Qui giova ricordare che per Palladio, il maestro indiscusso degli architetti inglesi, «l’arte si avvicina alla sapienza», e questo deve essere il suo scopo. Ed ecco il rituale auspicare che «la sapienza illumini il nostro lavoro». Se scopo dell’apertura dei lavori è d’innalzare «templi alla virtù», come volevano Barbaro e Palladio sulla scia di Aristotele, e dunque lavorare nel campo della aedificatio, allora i lavori devono vitruvianamente essere governati da utilitas, firmitas e venustas: sapienza, forza e bellezza.

 

Per Palladio l’arte si avvicina alla sapienza, ma la sua era sintesi del pensiero vitruviano, non escogitazione autonoma. Per Vitruvio l’architetto è uomo che si muove a suo agio sia per esperienza che per raziocinio, versato in molti campi e discipline; l’animo nutrito dalla filosofia, evita l’arroganza e la parzialità, deve cioè essere tollerante. È evidente che tale perfezione etica e filosofica non può essere raggiunta che da «coloro che fin dall’età puerile salgono per questi gradi di dottrine». Ma la ragione della necessità di essere versato nello scibile umano, oltre la pratica che porta l’architetto a dover costruire opere per le più svariate funzioni, è che solo l’insieme delle discipline conduce a una «scienza universale»: alla sapienza. Solo le disparate discipline, nel loro insieme, ricostruiscono, l’universo intero. E questo Vitruvio lo spiega con il principio di corrispondenza tra microcosmo, l’uomo, e il macrocosmo, l’universo: «Io non penso che taluni possano a ragione chiamarsi così di subito Architetti, se non coloro che fin dall’età puerile salendo per questi gradi di dottrine, e nutriti della cognizione di molte scienze e arti, giugneranno al più alto colmo dell’Architettura…tutte le scienze hanno fra loro una corrispondenza e una comunicazione: perché la scienzauniversale, è, a guisa di un corpo intero, composta da tutti questi membri» 21. Credo che questa descrizione dell’architetto sapiente, tollerante, riflessivo e attivo, inserito nel cerchio cosmico 22, si attagli abbastanza a ciò che dovrebbe essere il massone, e certamente la sapienza deve illuminare il lavoro d’entrambi. enciclopedica, ossia

 

Vi sono altre triadi concettuali che costellano il trattato vitruviano: ordinatio dispositio e distributio, symmethria eurythmia e decor, che a loro volta si diramano in ulteriori progressioni triadiche. Ma è da notare che non si tratta solo di astrazioni. Tutt’altro: si tratta di momenti concretamente operativi, legati intimamente alla prassi del cantiere 23. Ma il rituale di apertura mostra di seguire la stessa scansione che nel trattato di Vitruvio ha la aedificatio, o costruzione, per la semplicissima ragione che i lavori si aprono per costruire. Tenendo presente che il trattato procede con una visione complessiva, universale: con una visione urbanistica di realizzazione della città come immagine del mondo.
Perciò la prima parte del trattato affronta la defensio, o l’architettura di difesa, soprattutto mura e torri. Che è quanto il rituale affronta con i primi due doveri: la copertura del tempio, prima, e la verifica che chi si trova dentro sia libero muratore. Dopo la costruzione delle mura, va suddiviso lo spazio interno della città «secondo gli aspetti del cielo», cioè orientando la città secondo i quattro punti cardinali: «Innalzate tutto all’intorno le mura, rimane ad effettuarsi la distribuzione interna del suolo, e la direzione delle piazze, non che dei capi delle strade giusta gli aspetti del Cielo». Il metodo è il seguente: «Circa un’ora prima di mezzogiorno si segni, su un piano di marmo a livello, posto al centro della città, con uno gnomone, l’estremità dell’ombra; parimenti, dopo mezzogiorno…»: si giunge così all’individuazione dei punti cardinali.
E qui il rituale prescrive che il Venerabile, dopo essersi accertato della posizione dei due Sorveglianti, cioè a sud e occidente, e della propria a oriente, chieda a che ora sia consuetudine aprire i lavori e che ora sia in quel momento; e riceve per due volte la risposta: «mezzogiorno». Così, anche il «piano di marmo posto al centro della città», ricorda non poco il quadro di loggia.
A questo punto la fase successiva del trattato vitruviano investe la religio o l’architettura religiosa. Vitruvio indica chiaramente che il tempio abbia il lato minore la metà del maggiore, come l’ideale tempio massonico, e che sia disposto con la cella sacra a oriente: «I sacri templi degl’Iddii immortali debbono situarsi in modo che siano rivolti a quell’aspetto a essi conveniente…l’effigie riguardi verso Occidente, così che quelli che vanno all’altare per farvi immolazioni e sagrifizj, guardino l’Oriente». Il rituale segue la stessa scansione: il primo Sorvegliante, come «quelli che vanno all’altare a farvi immolazioni e sagrifizî», procede verso l’oriente, apre il libro sacro e vi sovrappone squadra e compasso. L’accensione delle tre luci e le tre invocazioni, che seguono la consacrazione del tempio, abbiamo già visto coincidono con i principî vitruviani della utilitas, firmitas e venustas.
Il trattato di Vitruvio affronta, dopo gli edifici religiosi, quelli di pubblica utilità, che riguardano la cittadinanza intera e l’ex Venerabile, al termine delle tre invocazioni, ricorda che il fine dei lavori è «di pubblica utilità», è per «il bene dell’umanità».
Il trattato di Vitruvio getta luce anche su altri aspetti del rituale che sono stati oggetto di estenuanti, e contrastanti, disamine simbologiche. Per esempio le tre età massoniche -tre, cinque, sette- corrispondono alle possibili tipologie del tempio. Tre sono gli ordini, cinque le specie di intercolumni e sette i generi planimetrici di templi. I tre ordini concernono la tipologia della colonna, le sue proporzioni e il suo ornamento, e ciò si attaglia all’Apprendista, che deve lavorare su se stesso, sulla pietra grezza, in solitudine e silenzio. Le cinque specie di intercolumni (letteralmente: ciò che sta tra le colonne) concernono invece i rapporti tra le colonne: cominciano a collegare, direbbe Vitruvio, le varie «membra» del tempio, come in grado di Compagno, il cui etìmo richiama appunto la condivisione. Mentre i sette generi planimetrici si attagliano alla figura del Maestro, che ha finalmente raggiunto una visione globale e non lavora più sulla pietra, ma sul progetto. E infatti i tre gradi sono distinti da pietra grezza, pietra cubica, e tavola tripartita.

 

Spero di essere riuscito a restituire una minima parte dell’importanza che alle origini della massoneria speculativa si attribuiva al rituale d’apertura, col suo vigoroso impulso all’edificazione: chi ben comincia è a metà dell’opera. E l’avvìo non può che riguardare il comportamento, cioè l’etica: «innalzare templi alla virtù».
È comprensibile che chi conosceva bene il trattato di Vitruvio, come accadeva a Inigo Jones e ai suoi amici, difficilmente dimenticasse l’ordine di apertura dei lavori e d’altro canto chi cominciava a impratichirsi nel rituale si trovava agevolato nello studio dell’architetto romano. Ma non è solo funzione utilitaristica. Il rituale d’apertura ci si presenta, sotto l’angolazione vitruviana, come un vero, grandioso progetto di costruzione della città ideale, centrato su una rigorosa struttura di pensiero tanto teorica quanto operativa, che tante menti ha impegnato, dalla Città del Sole di Tommaso Campanella alla Nuova Atlantide di Francesco Bacone: per il bene dell’umanità.

 Note

1. Chiamato delta dai pitagorici e dai platonici per l’analoga forma con la lettera maiuscola greca, va meditato in grado d’apprendista come principio e fine del viatico: sintetizzando il rapporto tra l’Uno (il vertice, costituito da un solo punto) e il molteplice (la base, di n punti), indica sia il percorso cosmogonico originario che conduce alla molteplice varietà dell’universo, sia il percorso inverso, fine dell’iniziazione, che riconduce il molteplice all’Uno, secondo il motto massonico: «riunire ciò ch’è sparso».
2. «Il principio costituisce più che la metà del tutto»: ARISTOTELE, Etica nicomachea, Milano 1987, Rusconi, I, 8, 1098B.
3. Con arte della memoria si indicano quei metodi scaturiti sin da età antica, quando i libri non erano tascabili, e l’efficace organizzazione del discorso era fondamentale per il poeta, il retore, il giureconsulto, il politico. La prima straordinaria diffusione di quest’arte coincide con la stagione democratica ateniese, quando l’efficacia del discorso era determinante per convincere l’areopago. I famosi sofisti insegnavano a organizzare efficacemente il discorso e, naturalmente, a ricordarlo. Il sistema più noto utilizzava luoghi e immagini: il discorso veniva immaginato come un percorso entro un tempio o un altro edificio, reale o immaginario, e in questo luogo si collocavano immagini associate agli argomenti del discorso. La trattatista antica ha conservato diversi testi di arte della memoria, fra cui Cicerone e Quintiliano. Possiamo distinguere grosso modo tre fasi nell’arte della memoria: quella antica, fase retorica, in cui la memoria ha la specifica e limitata, se pur importante funzione di conservare l’ordine del discorso e del sapere; la seconda fase s’avvia nel Rinascimento, con Giulio Camillo, Giordano Bruno e Robert Fludd, in cui l’arte della memoria acquista una precisa significazione ermetica, e invece di conservare il sapere, lo organizza e lo crea: nella memoria si rispecchia l’ordine macro-microcosmico che congiunge l’uomo e l’universo. Attraverso la memoria, dunque, si giunge alla sapienza. La stessa struttura mnemonica è profondamente diversa: non più per luoghi e immagini, è organizzata secondo un criterio cosmogonico che dall’Uno, centro e origine di tutte le cose, muove per gradi al molteplice, posto inevitabilmente in periferia, al margine della circonferenza; quindi sistemi radiali e monocentrici. La terza fase, che possiamo chiamare scientifica, comincia con Francesco Bacone e vede nella memoria lo strumento di organizzazione della ricerca nel campo della filosofia naturale. La mia sintesi non poteva non essere, data la mole dell’argomento, schematica; per ulteriori approfondimenti si vedano: YATES F. A., L’arte della memoria, Torino 1972, Einaudi, YATES F. A., Giordano bruno e la tradizione ermetica, Bari 1985, Laterza, ROSSI P., Clavis universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna 1983, Il Mulino, ROSSI P., a cura di, La memoria del sapere, Bari 1988, Laterza-SEAT, testi fondamentali sull’argomento; utile anche ROSSI P., Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Torino 1974, Einaudi, per approfondire l’arte della memoria baconiana come strumento d’indagine scientifica. Segnalo anche SVIZZERETTO S., POZZESI P., Magia della «Tempesta» nel teatro della memoria, Roma 1986, Atanòr, non per il saggio dei due autori, che compendiano non brillantemente i testi che ho già citato, quanto perché in appendice vi sono stralci di un interessante testo sulla memoria di Fludd, ermetista e alchimista inglese che può aver influenzato la disposizione del tempio nella massoneria speculativa: i suoi teatri cosmici della memoria sono retti da due colonne e hanno sul tetto il cerchio stellato dello zodiaco.
4. G. BRUNO, De umbris idearum, 1582 (Le ombre delle idee), Milano 1988, Spirali, p. 41. Lo afferma un suo personaggio, emanatore di logos (Logifero), in uno dei suoi testi più ermetici di arte della memoria che contiene istruzioni e concetti per creare sistemi concentrici divisi radialmente in trenta parti. La stessa idea dell’ombra, che dà titolo al testo, ha questa funzione perché, spiega Bruno, è sia luce che tenebra e al contempo non è né l’una, né l’altra. L’ombra è per il Nolano il terzo, necessario polo mediatore degli estremi: essa esprime in massimo grado la concezione esistenziale dell’uomo. Superfluo ricordare a un iniziato apprendista la funzione simbolica della luce e delle tenebre nella massoneria. In De gli eroici furori Bruno afferma che la luce divina, sempre presente nelle cose, è stata descritta da Salomone come colei che «batte alle porte dei nostri sensi».
5. Si veda il citato ROSSI P., Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, in particolare i capp. VI. 5 e VI. 6, sulla dottrina delle tabulae e la mnemotecnica baconiana. Già Aristotele nell’Etica nicomachea aveva introdotto l’uso delle tavole per stabilire difetti ed eccessi nella virtù. Spiaccia o no ma per intendere il sistema etico massonico è necessario approfondire questo testo aristotelico. La virtù è il fine dell’attività umana e sociale, della polis: «il bene è ciò verso cui ogni cosa tende» (I, 1, 1094A; il bene «praticabile») e tutte le attività che coordinano le altre in vista di questo fine Aristotele le chiama «architettoniche»: parafrasandolo, si direbbe che si tratta di «innalzare templi alla virtù». La virtù è superiore, ma anch’essa è imperfetta -spiega Aristotele: «è possibile che chi possiede la virtù si trovi in stato di sonno» (I, 1, 1096A). Per lo Stagirita la virtù deve tendere al mezzo: in ogni attitudine umana la virtù consiste nell’evitare eccesso e difetto: «se i buoni artefici… lavorano tenendo di mira il mezzo, e se la virtù è più esatta e migliore di ogni arte, come anche la natura, essa dovrà tendere costantemente al mezzo» (II, 6, 1106B). Se quindi l’obiettivo è «d’innalzare templi alla virtù», è inevitabile che si giunga a conquistarla solo in camera di Maestro, la camera di mezzo. E ciò spiega perché la camera di maestro della massoneria azzurra sia definita così, malgrado sia ’finale’. Tornando a Bacone, le sue tavole rovesciano la metodica deduttiva di Aristotele, sì da consentirci di vedere l’origine della tavola massonica in termini aristotelici sul piano dell’etica, e baconiana sul piano della metodologia di ricerca.
6. Dopo la compilazione delle tavole, Bacone intendeva trattare i nove aiuti all’intelletto, che avrebbero dovuto perfezionare il lavoro ottenuto con le tavole: un ulteriore esempio dell’organizzazione geometrica del pensiero e della ricerca.
7. Ashmole era stato iniziato il 16 ottobre 1646 in una loggia del Lancashire, a Warrington, loggia che in tempi di repubblica cromwelliana, aveva fratelli sia monarchici, come Ashmole, che repubblicani come suo cugino Manwaring: concretissimo esempio dell’antica tolleranza massonica. Moray era stato iniziato nella loggia di Edimburgo, in Scozia, il 20 maggio 1641. Le logge erano già operanti al momento della loro iniziazione. Cfr. YATES F. A., L’illuminismo dei Rosacroce. Uno stile di pensiero nell’Europa del Seicento, Torino 1976, Einaudi, alle pp. 247 e 248, nel cap. Rosacrocianesimo e massoneria. Sappiamo anche degli interessi di Ashmole per la letteratura rosacrociana e per l’alchimia; alla sua penna dobbiamo una delle più importanti antologie degli alchimisti inglesi, il Theatrum chemicum britannicum, che Newton, afferma il suo biografo Manuel, «lesse e rilesse più volte attentamente» (MANUEL F. E., A portrait of Isaac Newton, Cambridge 1968, pp. 160-190).
8. «La Royal Society ebbe molti nemici in quei primi anni; non appariva chiaro quale fosse la sua posizione religiosa…La regola di non discutere nelle riunioni questioni religiose, dev’essere sembrata una saggia precauzione e l’insistere nei primi anni sulla sperimentazione, sulla raccolta e la verifica dei dati scientifici, secondo i principî di Bacon, guidò gli sforzi della società»: YATES F. A., L’illuminismo dei Rosacroce…, cit., p. 224.
9. Sprat, lo storico della Royal Society, cita Wren tra i protagonisti nelle riunioni d’organizzazione della società. Che Wren fosse Gran Maestro della massoneria operativa è affermato, senza indicazione di fonti, da FAGIOLO M., Architettura e massoneria, cit., scheda 40 (la fonte di Fagiolo è molto probabilmente Quirico Filopanti, Dio liberale, testo in cui l’autore definisce Wren «Presidente della Frammassoneria inglese»: ma A. Reghini, I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, Roma 1988, p. 129, definisce la sintesi scientifica e storica di Filopanti «molto fantasiosa»). Nel testo di Fagiolo si afferma che la cattedrale di S. Paolo, a Londra, è stata inaugurata con «rito massonico». Wren (1632-1723), oltre che architetto era anche fisico. Dedicatosi agli studi scientifici, divenne uno dei maggiori matematici e astronomi del tempo: incarna l’ideale architetto vitruviano. Dopo il grande incendio del 1666 Wren Fece parte della commissione per la ricostruzione della City di Londra e progettò un razionale piano regolatore, di evidente orma vitruviana, che tuttavia non fu realizzato; ebbe comunque l’incarico di sovrintendere alla ricostruzione delle chiese della City devastate dal fuoco: un cospicuo gruppo si rifà allo schema basilicale secondo Vitruvio o ad altre fonti romane. A Greenwich iniziò nel 1696 il grandioso complesso del Royal Hospital. Modificò il progetto iniziale per consentire la vista, nella distanza, della Queen’s House di Inigo Jones. Il progetto dell’edificio per il primo museo pubblico d’arte del mondo, organizzato da Elias Ashmole, reca la firma di Wren.
10. Vitruvio (sec. I a.C.), architetto e trattatista romano. Fu autore del De Architectura, in dieci libri, dedicato ad Augusto, il più celebre trattato del genere nell’antichità e l’unico pervenutoci: sull’esempio di analoghi testi greci, l’opera svolge l’intera problematica architettonica, dalla struttura della città ai materiali da costruzione. Nel Medioevo accomunato ai testi che trattavano il simbolismo numerico, come il Somnium Scipionis di Cicerone e i trattati sulla musica di Agostino e Boezio (RYKWERT J., La casa di Adamo in paradiso, Milano 1976, Mondadori, p. 119), dopo la riscoperta di Poggio Bracciolini del 1414 il testo vitruviano godette nel Rinascimento di enorme fortuna, testimoniata dalle numerose edizioni, spesso illustrate, e costituì imprescindibile modello per la trattatistica architettonica, dall’Alberti al Palladio.
11. James ANDERSON, Le costituzioni dei liberi muratori, 1723, Foggia 1974, Bastogi, p. 77. Il pastore in questo caso citava Colin Campbell senza menzionarlo, il primo trattato che è all’origine della riscoperta di Vitruvio e Palladio. Lo Scozzese Campbell, nel suo Vitruvius britannicus del 1715, affermava che «Palladio ha superato tutti quelli venuti prima di lui», ma che «gl’Italiani sono completamente attratti da capricciose decorazioni»; invece «Palladio e il nostro architetto Inigo Jones hanno mostrato la via da seguire».
12. Mi riferisco a Joan de Laet, M. Vitruvii Pollionis De Architectura libri decem cum notis…Guglielmi Philandri integris, Danielis Barbari excerptis…; Praemittuntur Elementa Architecturae collecta ab illustri viro Enrico Wottono eequite anglo…;, Amsterdam 1649. Daniele Barbaro, veneziano, era l’autore della fondamentale edizione del 1556 realizzata a quattro mani con Andrea Palladio. Ambasciatore veneziano in Inghilterra, noto per la sua relazione sugli inglesi, era d’impostazione aristotelica. Il suo commento a Vitruvio è amplissimo. Henry Wotton, ambasciatore inglese a Venezia, poeta e intimo amico del neoplatonico John Donne, era un fervente cultore di Vitruvio e anch’egli legato al principe palatino ed Elisabetta Stuart, i protettori del pensiero rosacrociano.
13. In WITTKOWER R., Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo, Torino 1979, Einaudi, p.70. Sulla virtù vedi anche nota 6.: l’aristotelismo di Barbaro e Palladio è l’origine di questa concezione, certamente derivata dall’«Accademia della virtù», fondata a Roma da Claudio Tolomei con lo scopo di chiarire i passi incerti di Vitruvio. Nel 1547 Tolomei è a Padova e viene pubblicato contemporaneamente a Venezia il programma della sua accademia vitruviana.
14. Palladio risulta iscritto alla corporazione dei muratori vicentini dall’aprile 1524. Nel 1542 è ancora definito «lapicida». Dal 1545 in poi è chiamato regolarmente architetto. Cfr. WITTKOWER, op. cit., p. 62.
15. Sua è la famosa poesia «alla Sua Signora, la regina di Boemia», in cui paragonò Elisabetta Stuart, la protettrice di ermetisti e alchimisti d’impronta rosacrociana, alla rosa. Fu scritta a Greenwich dove Inigo Jones costruì, probabilmente in suo onore, la Queen’s House. Quando lì Cristopher Wren edificò il Royal Hospital, modificò il progetto originario perché si vedesse la Queen’s House: duplice omaggio all’architetto, e alla regina.
16. YATES F. A., L’illuminismo dei Rosa Croce, Torino 1976, Einaudi, p. 15.
17. «Il monumento principale che riassunse in parte le idee massoniche e neoplatoniche fu l’eroico rifacimento della facciata di S. Paolo da parte di Inigo Jones, che ne fece una grande chiesa metropolitana e un adeguato contrappeso ’augusteo’ (cioè vitruviano, N.d.A.) al progettato palazzo reale, di cui la Banqueting Hall costituì una prima parte e rispetto al quale il Covent Garden sarebbe stato il terzo polo». Cfr. RYKWERT J., The First Moderns, Cambridge 1980. Evidente, per chi leggerà il seguito, che la triade sia concepita in modo da comprendervi i tre generi dell’architettura vitruviana: la defensio, in questo caso l’autorità governativa, la religio, l’autorità religiosa, e la opportunitas, che concerne gli edifici pubblici come i teatri -che Vitruvio tratta per primi in questo gruppo- qual è il Covent Garden. Non ancora completato il progetto, l’incendio del 1666 distruggerà ciò che aveva realizzato Inigo Jones. Toccherà a Wren ricostruire la cattedrale di S. Paolo. E nel suo piano, non attuato, oltre a strutture vitruviane inserirà incroci che in pianta si rivelano come intrecci di squadra e compasso.
18. Fra i tanti FAGIOLO, op. cit.: «Nel 1723 il palladianesimo diviene, per dir così, l’Architettura di Stato della Massoneria»; meno decisa, più precisa la YATES, L’illuminismo…, op. cit., p. 252: «sembra probabile -e questo punto viene normalmente messo in rilievo dagli storici massoni- che la massoneria «speculativa», e il suo graduale distinguersi dalla massoneria «operativa», iniziasse con il risvegliarsi dell’interesse per Vitruvio e per l’architettura classica».
19. ANDERSON J., The Constitutions of the FreeMasons Containing the History, Charges, Regulations,etc., of that Most Ancient…Fraternity, Londra 1723.
20. CASTELL R., M. Vitruvii Pollionis De Architectura libri decem, cum anglica versione et variorum commentariis tam editi, quam Inigo Jones et aliorum ineditis, multisque figuris et iconibus…, Londra 1730.
21. VITRUVIO MARCO POLLIONE, Dell’architettura, libri I-X, Milano 1829, trad. Di Carlo Amati, I, I, 11. Do di seguito ampî stralci sull’architettura e l’architetto: «L’architettura è una scienza ch’è adornata da più dottrine. Ella nasce dall’esperienza non meno che dal raziocinio. Chi fa professione di Architetto bisogna che sia uomo di talento, e riflessivo nella dottrina: perché né talento senza disciplina, né disciplina senza talento non possono rendere perfetto un’artefice. Sia perciò egli letterato, esperto nel disegno, erudito nella geometria, e non ignorante d’ottica, istruito nell’aritmetica, siangli note non poche istorie, abbia udito con diligenza i filosofi, sappia di musica, non ignori la medicina, abbia cognizione delle leggi dei giurisprudenti, intenda l’astronomia e i moti del cielo (I, I, 7 quindi enumera le ragioni). La Filosofia poi fornisce l’Architetto d’animo grande, e fa ch’egli non sia arrogante e, ciò che maggiormente importa, che egli non sia avaro (tronco della vedova, metalli); perché non può degnamente farsi niun’opera se non da chi sia sincero e incorrotto. Non sia egli parziale, né abbia l’animo dedito a ricevere doni, ma con gravità sostenga il proprio decoro… (I, I, 9). Gli Antichi primieramente non commettevano opere se non ad Architetti di buona famiglia: quindi s’informavano se fossero onestamente educati (liberi e di buoni costumi). Ancora i medesimi artefici non altri ammaestravano se non i proprî figlioli, o congiunti, e li formavano uomini probi, a’ quali senza tema veruna affidar si potesse il danaro in cosa di sì grande importanza (VI, pref. 167).
22. Le immagini di uomini ad arti distesi inscritti nel cerchio, così diffuse in età rinascimentale, inclusa quella di Leonardo, sono di origine vitruviana. Tra i tanti esempî, Vitruvio descrive le fasi di realizzazione di un’abitazione privata, mostrando concretamente di applicare le seguenti tre triadi di concetti, che parecchio hanno a che fare con la tavola tripartita:

Firmitas

Venustas

Utilitas

Symmetria

Eurythmia

Decor

Ordinatio

Dispositio

Distributio

In primo luogo, spiega, si stabiliscono i criteri proporzionali (ordinatio o composizione dei singoli elementi); poi si passa all’esecuzione della pianta in larghezza e lunghezza (e questa è la dispositio); ciò fatto si provvede al decor (che è come dire distributio).
23. Qui si chiarisce il rapporto micro-macrocosmico tra uomo e universo, in cui la città è il terzo, mediano polo: «sembra esser composta armonicamente la macchina di questo Mondo per l’obliquità del Zodiaco, e con molta consonanza mediante gl’influssi del Sole» ( VI, I, 169). Dunque determinare l’assetto urbanistico della città, disposta sui punti cardinali, rispecchia «l’armonia del zodiaco».

Articolo tratto da:

http://www.zen-it.com/

Il Rituale Come Prassi Filosofica E Arte Di Memoriaultima modifica: 2009-01-08T19:48:35+01:00da giovannisantoro
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